“Lacci” è tratto dal romanzo omonimo scritto nel 2014 da Domenico Starnone, giudicato tra i cento libri più belli nel 2017 dal New York Times. Il film co-sceneggiato dall’autore del libro insieme al regista Daniele Luchetti e Francesco Piccolo, è un film centrato sui temi del legame, del tradimento e della separazione in ambito familiare, dinamiche che sono il fulcro dei meccanismi nella costruzione dei processi d’identità. I lacci delle scarpe, che possono essere fatti in diversi modi, diventano così la metafora dei nodi, dei legami che possono imprigionarci.

Il film apre emblematicamente con il ballo di gruppo sulle note di “Lasciati baciare con il Letkiss” lanciato dalle mitiche gemelle Kessler, e rimarrà il tema principale di tutta la colonna sonora. Aldo – un melanconico Luigi Lo Cascio– decide di lasciare a Napoli figli e moglie – un’ottima Alba Rohrwacher – per andare a vivere a Roma con Lidia – la “monocorde” Linda Caridi – senza esplicitare chiaramente le motivazioni che lo spingono a lasciare la famiglia. Vanda, anziché far leva sui sentimenti quando il marito le confessa il tradimento, trova solo il modo di ricorrere al ricatto richiamando Aldo ad un loro ipotetico patto – non è dato conoscerne i termini, però! – stretto prima di sposarsi. Emerge quindi fin da subito il problema dell’incomunicabilità, non solo affettiva, ma anche intellettuale, tra i due.

La vera motivazione che spinge Vanda ad una colpevolizzazione sistematica delle azioni del marito sembra essere la rabbia per averne perso il possesso. Una rabbia furiosa che non si fa scrupolo di coinvolgere i figli, Sandro e Anna, nelle continue scenate e nei tentativi di trattenerlo in casa con forza o con il ricatto, come il tentativo di suicidio, che appare, in verità, come una messa in scena. Purtroppo, come spesso accade, in questi frangenti, i bambini diventano vittime silenziose, incapaci di sopportare le frustrazioni e impotenti nel loro incerto futuro. Vanda non porta la lotta all’esterno della casa, affrontando magari la rivale o cercando alleanze tra gli amici più stretti del marito che le preferiscono Lidia, ma concentra tutte le sue energie nella relazione distimica con Aldo utilizzando intenzionalmente i figli come arma di ricatto.

La sua “guerra al marito” dura in pratica tutta la vita, anche dopo la fine della relazione tra Aldo e Lidia. Aldo è un mite che tende a deresponsabilizzarsi. Ripete più volte a Vanda: “E’ successo” senza trovare altra argomentazione plausibile e consolatoria nei suoi confronti. Si piega sempre di più sotto le torture psicologiche della moglie. Le subisce con una pacatezza ed una rassegnazione che lasciano intendere la consapevolezza di uno stato mentale compromesso e vorrebbe mantenere, senza rogne, solo i vantaggi delle due situazioni. A Vanda, dopo il tentativo di suicidio, scrive: “Neanche la tua morte potrà impedirmi di amare Lidia”.

Tornato con Vanda (interpretata in tarda età da Laura Morante), ma sempre incapace di fare una scelta netta, con vantaggi e svantaggi che ogni scelta porta con sé, l’anziano Aldo (Silvio Orlando) conserva nell’intimo il ricordo di Lidia dentro un secretaire antico che custodisce le foto di lei nuda e felice! Anche in età avanzata Vanda continua ad essere molto dura con il marito, non mancando mai di sottolineare la sua rassegnazione: “Non sarai mai quello che vuoi essere ma quello che ti capita”. I loro figli, ai quali è mancata una guida negli anni cruciali della crescita, sempre in mezzo agli alti e bassi della vita matrimoniale dei loro genitori, restano sempre in superficie per tutto il film, senza un’introspezione psicologica – voluta o no? – anche in età adulta.

Da sottolineare solo l’emblematica affermazione di Anna – una Giovanna Mezzogiorno incredibilmente imbolsita e per questo ancora più verosimile nel ruolo della figlia cresciuta bulimica, che confida al fratello Sandro -Adriano Giannini – che avrebbe voluto assomigliare a Lidia e non alla madre. Tutto ciò prima di scatenarsi entrambi nella devastazione dell’appartamento in un catartico impeto liberatorio, un gesto che però ha del grottesco che poco si addice allo stile di Luchetti. I lacci ricordano nella terapia familiare il concetto di rete: protegge gli acrobatici trapezisti nelle cadute, ma la rete può anche imprigionare, catturare, togliere la libertà delle persone.

Daniele Luchetti ha detto, presentando il film: “Legami che somigliano più al filo spinato che a lacci amorosi. Si esce con una domanda: hai permesso alla tua vita di farsi governare dall’amore? Lacci è un film sulle forze segrete che ci legano. Non è solo l’amore ad unire le persone, ma anche ciò che resta quando l’amore non c’è più. Si può stare assieme per rancore, nella vergogna, nel disonore, nel folle tentativo di tener fede alla parola data. Lacci racconta i danni che l’amore causa quando ci fa improvvisamente cambiare strada e quelli – peggiori – di quando smette di accompagnarci”. Lacci è un film che fa riflettere su molti aspetti della vita di coppia e suscita molte domande: per esempio, cosa rispondere alla frase di Aldo “Per stare insieme bisogna parlare poco, l’indispensabile, tacere si, tanto”? La pellicola è disponibile sulle piattaforme Chili e Rakuten.
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