Jackie Nickerson nasce come artista di arti visive e collabora come fotografa per svariate riviste di moda: Vogue, Vanity Fair, Dazed. È un personaggio poliedrico che usa l’arte per creare conversazioni e dibattiti su tematiche odierne. “Field Test” è il suo ultimo progetto in cui si raffigurano soggetti ibridi e l’idea dell’indumento protettivo mostra quotidianità oltre che una direzione astratta e concettuale.

Come mai hai scelto il titolo “Field Test” per il tuo ultimo lavoro?
“Il termine Field Test è collegato alla medicina, è un esame fatto per controllare il campo visivo dell’occhio. La perdita della vista è solitamente impercettibile da un giorno all’altro, dunque questo test è una prova scientifica di quanto effettivamente vediamo opposto a quanto pensiamo di vedere”.
Che materiali hai utilizzato per realizzare i “personaggi” nelle tue fotografie?
“Ho iniziato a collezionare e comprare diversi materiali da parecchi anni, sono affascinata dalla loro consistenza, dal packaging e dal design industriale. Utilizzo oggetti con alta densità di polietilene, jersey sintetico, neoprene, camici da medico, mascherine, pellicola in policarbonato, fascette, reti… è una lista molto lunga”.
Sei socialmente attiva nel preservare il nostro ambiente?
“Direi che m’impegno a rispettare le regole basi e supporto la causa, ma non sono attiva politicamente. Impiego l’arte per iniziare conversazioni che trattano diversi temi”.

Che cosa pensi della funzione della plastica? È un argomento molto complicato perché, come sappiamo, oggi questo materiale è usato come tutela per proteggersi dai virus ma allo stesso tempo è una minaccia d’inquinamento
“La plastica ha una funzione essenziale in ambito medico, il problema è come noi impieghiamo l’uso di questo materiale. La scienza cerca di comprendere una via per affrontare il cambiamento dalla sua natura stessa, ma i singoli devono avere una propria responsabilità nel cercare di ridurre la produzione”.
Le immagini di “Field Test” suggeriscono un mix d’identità oscura e difesa dalla paura. Può essere un possibile e corrente scenario?
“Ho iniziato questa serie molto prima dell’arrivo della pandemia da Covid19, in realtà il punto di partenza è stato lo studio dell’ebola. In seguito ho pensato a tutto ciò che è banale o mondano e che si protrae sempre più nella robotica e nell’automatizzazione. Stiamo guardando una persona o un oggetto inanimato? Politici, aziende, social media companies ci vedono come individui o come numeri? I dati di ricerca tentano di influenzare ogni aspetto della nostra vita. Siamo tutti mercificati attraverso sistemi di big data”.

Solitamente da dove prendi la tua ispirazione?
“Mi ispira tutto quello che mi circonda riflettendo sulla mia vita e su ciò che davvero mi interessa nel profondo. Sono un’appassionata di arte, design e architettura”.
Quanto è rilevante la moda nella tua carriera?
“Nella fotografia l’arte visiva e la moda hanno due approcci totalmente diversi, sebbene si usufruisca dello stesso mezzo. Nel fashion system hai un team, devi collaborare con persone e l’obiettivo è specifico. Nelle arti visive si lavora per se stessi cercando di trasmettere quello che si pensa o si prova”.
Progetti per il 2021?
“A Marzo ho una mostra che si terrà alla Jack Shainman Gallery di New York. Ho anche in programma la pubblicazione di una coppia di libri: uno incentrato su New York, l’altro sulla rivisitazione dei miei primi lavori”.