Fra le varie categorie in concorso qui al festival di Venezia, ormai da 4 anni, si premia la miglior produzione in VR (Virtual Reality). Fra i diversi prodotti, è interessante il lavoro del regista Claudio Casale, che è qui presente con ‘Om Devi: Sheroes Revolution’, un viaggio a 360° nell’India di oggi. La sceneggiatura è ad opera di Claudio Casale, Viola Brancatella e Gaudi Grazia De Santis. Con i ‘google’ della Virtual Reality vedere il film significa immergersi completamente nelle realtà fisica del film stesso “ Abbiamo volute portare lo spettatore sul set, in questo caso dentro le realtà dell’India e solo la tecnologia del VR può offrirci questa totale immersione in spazi seppur lontani” commenta Casale.
Il regista con il suo lavoro offre l’opportunità di vedere l’India attraverso lo sguardo di tre donne che si battono per l’emancipazione femminile, affermando, nella vita privata e nei loro luoghi di lavoro, il diritto alla vita, l’indipendenza economica, la parità di diritti e il libero accesso alla conoscenza.
La prima storia è quella di Anjali, una ginecologa che lavora nel più grande ospedale pubblico di Varanasi, nello Stato indiano dell’Uttar Pradesh, uno dei più tradizionalisti del Paese. Ogni giorno incontra decine di partorienti arrivate dalle campagne più sperdute dello Stato che, spesso, non hanno mai messo piede in un ospedale.
Anjali le segue in questo delicato momento di vita, le assiste come medico e le sprona a diventare indipendenti dal punto di vista economico. Apre a proprio nome un conto in banca, all’insaputa dei familiari. “Per una donna indiana”, ci spiega Anjali nel corso del documentario, “spesso è impossibile possedere del denaro proprio, fatto che rende la donna indiana completamente dipendente dal marito.” Il uso lavoro non si limita, quindi ad aiutare le giovani donne a partorire ma a emanciparle.
La seconda testimonianza è quella di Shabnam, una donna di 28 anni che è sopravvissuta a un attacco con l’acido all’età soli 16 anni. Da allora la sua vita è cambiata radicalmente. Durante sette lunghi anni di solitudine e clausura casalinga, Shabnam ha conosciuto la vergogna, il dolore e la rabbia, pensando di essere l’unica donna al mondo ad aver subito questo attacco. Dopo di allora, rivolgendosi spiritualmente a una dea come ‘Durga’, la dea della forza e dell’invincibilità, ha reagito con forte spirito di volontà fino a trovare l’amore di un compagno e una nuova via libera. I suoi originari tratti somatici sono calcati sul volto di sua figlia Ikra, sua compagna di vita inseparabile. Questa sua orribile esperienza è servita per lavorare con una associazione che impiega esclusivamente donne vittime di attacchi con l’acido in un caffè-ristorante, lo Sheroes Hangout.

Devya Arya, la terza protagonista del documentario, ha 20 anni, vive e studia da quando ne ha 9 in un monastero per sole donne nella città sacra di Varanasi. Ogni giorno da oltre dieci anni, si prepara a diventare una sacerdotessa, imparando gli antichi saperi mistici, che un tempo proibiti alle donne. Le sue giornate sono scandite dalla meditazione, lo yoga, i canti sacri, gli esercizi fisici, la preparazione scolastica e lo studio del Sanscrito e dei Veda, i testi sacri della tradizione indù. L’anno prossimo frequenterà il dottorato all’università per diventare un’insegnante di Sanscrito e poter diffondere le antiche conoscenze della tradizione indiana a chiunque lo desideri. Per lei il diritto alla conoscenza gratuita e senza distinzione di genere e di status dovrebbe essere alla base per una società giusta ed equilibrata.
Quello che accomuna queste donne è la presenza spirituale nei loro pensieri della dea ‘Devi’, la dea, da sempre al centro della cultura e della tradizione religiosa indiana. Si intrufola nelle loro storie, le accompagna nel percorso di emancipazione e di scoperta di sé e, come un filo invisibile, le avvicina, in un Paese di sterminata grandezza, in cui le donne hanno l’urgenza di affermare i propri diritti.
“La prima volta che ho posato gli occhi sull’India è stato dieci anni fa, quando, intenzionato a trascorrere in questo paese solo tre mesi, finì per rimanervi due anni, perdendomi tra le sue capitali antiche e campagne sperdute, alla ricerca di quello smarrimento e di quel ricongiungimento con se stessi che solo questo tipo di viaggi sa generare” ci racconta il regista.
Quando ho chiesto il perché della scelta di questo soggetto documentaristico, Casale ha spiegato: “ Sono rimasto molto turbato quando nel 2013 l’India fini sulle pagine dei giornali di tutto il mondo per il “New Delhi Case”; la violenza di gruppo su una ragazza in un autobus a New Delhi” e continua “ lo sdegno di migliaia di indiani verso questo drammatico episodio di violenza di genere ha fatto irruzione nelle pagine della storia contemporanea, dando inizio a un dibattito interno per la difesa dei diritti civili e di genere”.
Con ‘Om Devi: Sheroes Revolution ci ha voluto offrire la possibilità di vedere, comprendere e osservare pezzi di questa nuova realtà indiana, di cui Anjali, Shabnam e Devya Arya sono interpreti e protagoniste di un’India che cambia e ogni giorno cerca il suo punto di equilibrio in tema di diritti civili, e dove mito, religione, storia e antropologia, si mescolano senza soluzione di continuità.
La scelta del regista di optare per un racconto filmico a 360° è servito a creare una connessione più intima con le protagoniste e con il Paese India. Originale il soggetto, originale la tecnica; non ci rimane che fare i nostri più grandi auguri al giovane regista italiano in Concorso VR.