
Il 2019 è stato, per Alda Merini, il decennale della morte e la sua Milano, non ha perso l’occasione per ricordarla, dedicandole mostre, spettacoli e incontri. La poetessa dei Navigli, classe 1931, “nata il 21 a primavera” , si è spenta nel novembre del 2009, a settantotto anni, dopo un’esistenza singolare e per nulla comune, contraddistinta da un’insolita convivenza interiore tra il tormento di essere diversa e l’esultanza di sentirsi tale. Autrice illuminante e molto discussa, la cui sterminata produzione poetica è stata oggetto, il più delle volte, di giudizi semplicistici e di valutazioni estreme e radicali, in più di quarant’anni di scrittura Alda Merini è stata fedele, come pochi altri scrittori, alle tematiche più care alla sua ispirazione, inabissandosi nelle più profonde ombre dell’umano, in una sorta di lunga ricognizione di contrasti e rivelazioni esistenziali.
Decennali e commemorazioni a parte però, c’è a Milano, in via Magolfa, nella zona sud della città, un luogo aperto tutto l’anno che tiene in vita l’opera e il ricordo di Alda Merini già da diverso tempo. Nato come “Casa delle Arti – Spazio Alda Merini”, il comune di Milano lo ha inserito da poco nella guida dei musei milanesi, prendendo così il nome di Casa Museo Alda Merini.

“Nel 2011 il Comune di Milano – racconta la Direttrice Artistica dello spazio, Diana Battaggia- scelse in autonomia di destinare questo luogo alla memoria di Alda Merini, utilizzando i mobili di arredo e i suoi oggetti personali che provenivano dalla dismissione della sua casa originaria in Ripa di Porta Ticinese 47, dati in comodato d’uso dalle sue figlie. Questa fu certamente una delle numerose testimonianze di stima e affetto da parte del Comune di Milano per la poetessa dei Navigli. Nonostante lo spazio fosse stato acquisito, purtroppo rimaneva molte volte chiuso per insufficienza di personale che potesse accogliere i visitatori, e allora nel 2014 fu lanciato un bando rivolto ad associazioni per avere in gestione questi spazi e renderli fruibili. La Casa delle Artiste, l’associazione di cui faccio parte, si aggiudicò il bando nel giugno 2014 e, da quel momento, noi api meriniane ( è questo il modo in cui amiamo definirci), siamo qui per mantenere la memoria di Alda”.
Al 32 di Via Magolfa, giungono ogni giorno decine di persone. Che si tratti di visite spontanee o guidate, la Casa Museo Alda Merini è sempre aperta. A tenerla in vita sono i volontari dell’Associazione, che dedicano il proprio tempo alla causa e organizzano inoltre molti eventi culturali. “Cerchiamo di spaziare tra le diverse forme d’arte – continua Diana Battaggia – dalla pittura alla fotografia, dalla musica al teatro fino ai reading o alle tavole rotonde, e non sono mancate in questi anni iniziative intorno a temi sociali importanti. A novembre ci siamo occupati di contrasto alla violenza sulle donne per il terzo anno consecutivo, e la partecipazione è stata molto soddisfacente. Alda Merini è qui con noi, la sentiamo come presenza fissa, e il numero dei visitatori che ogni giorni ci raggiunge, ci offre la dimensione di vicinanza e comunione molto forte che questa donna è riuscita a costruire con il suo pubblico”.

Il pubblico appunto, quella numerosa schiera di persone di tutte le età che continua a leggerla, ad amarla, a ricercarne inediti (era abitudine della scrittrice dettare poesie al telefono o trascrivere versi su pezzi di carta volanti, per poi consegnarli senza troppe remore anche a chi non conosceva), a ripercorrerne l’esistenza e le tracce, attratti dal suo atteggiamento libero, quasi sfrontato, provocatorio e così tanto umano.

“Non possiamo incanalare Alda in schemi e categorie – dice Diana Battaggia – lei non è epigona a nessuno. La più grande poetessa del Novecento? Certo è un’affermazione di non poco conto. Sicuramente l’attenzione che il pubblico le tributa ancora potrebbe già essere una risposta. Molte scuole visitano questo spazio, e i giovani sono parecchio affascinati dai suoi testi, forse perché in essi la realtà si confonde e si fonde con una dimensione altra e visionaria, in una doppiezza che, pur essendo apparentemente destabilizzante, avvicina i ragazzi alla sua lettura. La potenza dei versi di Alda arriva ovunque, indipendentemente dal fatto che chi li legga sia un frequentatore della poesia. La sua è una letteratura degli ultimi, degli emarginati, con i suoi testi il lettore si sente meno solo. Alda Merini ha prodotto molti scritti, alcuni li regalava senza prestare troppa attenzione al destinatario, tant’è che spesso saltano fuori suoi presunti inediti ma non sempre si tratta di versi scritti da lei. Anche la rete è infingarda sotto questo aspetto, perché sono decine i siti che riportano stralci di opere a firma Alda Merini che non sono i suoi, ma questo è uno dei tanti rischi che si corre dinanzi a una produzione così vasta e ancora non del tutto emersa. Ci rendiamo conto che, a distanza di dieci anni dalla sua morte, la Merini riaffiora di continuo, ricompare nella contemporaneità e non si arresta la curiosità intorno alla sua figura, lo testimoniano i tanti scritti che sono nati intorno alla sua opera. Era una donna eclettica, multiforme e per molti suoi comportamenti fu snobbata da numerosi critici, talvolta anche derisa. Ora in molti hanno cambiato rotta”.

L’accostamento fin troppo generico e approssimativo della Merini unicamente alla questione della malattia mentale, ha prodotto numerose interpretazioni semplicistiche della sua vita e quindi della sua opera nonché diverse detrazioni- “Gli anni di manicomio – racconta Diana Battaggia – sono stati dichiarati da Alda come propedeutici al bene, le sono serviti per dialogare con se stessa, acquisire una certa consapevolezza che poi è emersa con la sua opera La terra santa, da molti considerata il suo capolavoro. Quel che è certo è che Alda avesse un grande attaccamento alla vita, dunque la privazione di libertà l’ha sì molto segnata ma non l’ha annientata. Proprio ispirandoci alla sua forza e alla sua vitalità, al suo desiderio autentico di immergersi tra la gente, noi dell’Associazione cerchiamo di lavorare con altre realtà del territorio anche con quelle che hanno obiettivi differenti da noi, più legati al sociale. La cultura spesso non unisce, Alda in questo però fu un’eccezione, a lei si avvicina chiunque. Cultura è innanzitutto aggregazione, commistione, unione: per noi nel momento in cui due persone si siedono al tavolino del nostro caffè letterario, nasce un seme di integrazione che certamente è positivo. Vogliamo aumentare la possibilità di incontro, non vogliamo essere un circolo pickwick settario, chiuso, destinato solo ai letterati di professione e non aperto ai curiosi, ai passanti di ogni genere. Non vogliamo escludere nessuna fascia di utenza, questo luogo è dedicato ad Alda e vogliamo che somigli a lei”.
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