
Questo week end ho trovato finalmente oltre tre ore di tempo per vedere“The Irishman”, il tanto atteso film di Martin Scorsese considerato, dalle prime reazioni dei critici cinematografici, del livello del Godfather di Coppola.
Per ragioni accademiche (da anni insegno un corso sulla mafia ad un college della CUNY), il film mi interessava più per l’aspetto storiografico che cinematografico. Che l’opera di Scorsese fosse all’altezza, come forma d’arte a quella di Coppola, non avevo dubbi. Scorsese è un maestro e anche sotto questa sua regia – magari il film avrebbe potuto essere accorciato di almeno un terzo – la performance di grandi attori come Robert De Niro, Al Pacino, Joe Pesci, Harvey Keitel, raggiunge il top. Nel caso di Joe Pesci poi, che interpreta Russell Bufalino, boss della “piccola famiglia” del Nord Est della Pennsylvania, merita sicuramente l’oscar.

Il film, basato sul libro I Heard You Paint Houses scritto dal giornalista Charles Brandt e basato sul racconto fattogli pochi mesi prima di morire da Frank Sheeran (interpretato nel film da Robert De Niro), descrive la vita di un “killer” della mafia, di origini irlandesi, che per il suo lavoro di camionista faceva parte degli International Brotherhood of Teamsters e che diventa anche il braccio-destro guardia del corpo del presidente del sindacato, il carismatico Jimmy Hoffa (Al Pacino).
Il film di Scorsese, fin dal battage pubblicitario di Netfix che ha investito decine di milioni di dollari nella pellicola più cara mai girata dal regista italoamericano, anche se “liberamente ispirato”, vuole essere percepito come una narrazione di fatti realmente accaduti. E in effetti, tutti i personaggi principali del film sono esistiti, dal mafia boss Russell Bufalino, a quello ancora “storicamente” più importante, il boss di Philadelphia Angelo Bruno (Harvey Keitel), al sindacalista e “capo mafia” Tony Provenzano (“Tony Pro”, il vice dei Teamsters e chiamato da Hoffa “the Little Guy”, interpretato da Stephen Graham) e ovviamente lo stesso Hoffa con un superbamente in forma Al Pacino.
Il successo nelle vendite del libro da cui si ispira il film, fu determinato dalla “rivelazione” dell’assassinio di Jimmy Hoffa. Secondo il racconto che Sheeran avrebbe fatto all’autore del libro, sarebbe stato proprio lui ad avere avuto dalla mafia l’incarico di uccidere il capo sindacalista e nel film viene ricostruita anche la preparazione dell’omicidio del 1975, con la sparizione del corpo nei dettagli. Nel racconto, tutta la ricostruzione dell’omicidio sembra piuttosto incredibile (il viaggio in aereo di Sheeran etc) anche se non impossibile.
Non sono mancate le polemiche per il fatto che De Niro e Scorsese, che da anni volevano realizzare insieme questo film, abbiano creduto al racconto di Sheeran nonostante, a quanto pare, fossero stati avvertiti che molte delle storie nel libro fossero poco credibili. Dal 1975 infatti sono stati tanti, troppi a “rivelare” come sia stato ucciso Hoffa, ma alla fine ancora il mistero della sua sparizione, almeno secondo le autorità, non è stato risolto. Per l’FBI il caso non è mai stato svelato e il racconto di Sheeran non avrebbe quindi dissolto il mistero.

Eppure il film di Scorsese, a prescindere se “The Irishman” non abbia raccontato tutta la verità sulle sue esperienze come killer della mafia, ci mostra uno spaccato piuttosto realistico dei tempi in cui Cosa Nostra dominava la criminalità organizzata negli Stati Uniti. Soprattutto sono le ricostruzioni del rapporto “incestuoso” tra il sindacato di Hoffa e la mafia, come i soldi del fondo pensioni dei camionisti servivano a finanziare vari progetti di Cosa Nostra, come la costruzione di hotel e case da gioco. Scorsese non risparmia battute, sguardi e gesti dei suoi protagonisti, per darci una ricostruzione la più realistica possibile di quegli anni. Siamo già a oltre un’ora di film, quando si arriva al duello tra Hoffa e i Kennedy, in particolare con Robert Kennedy quando ancora è soltanto un consigliere della commissione del Congresso incaricata di indagare i rapporti tra sindacati e criminalità organizzata. I Kennedy e il loro ruolo di “alleati-nemici” viene messo in risalto nel film. Vediamo Scorsese descrivere la mafia, soprattutto a Chicago, dare un appoggio convinto alla candidatura di John F. Kennedy alla presidenza grazie all’intervento e promesse del padre Joe. Poi i mafiosi se ne pentiranno amaramente quando invece JFK nomina il fratello Robert Attorney General, il più giovane e potente ministro della giustizia della storia americana che scatena infatti una guerra in cui Hoffa è solo uno degli obiettivi e neanche il principale. Restano i grandi boss della mafia il nemico pubblico numero uno per RFK che nonostante gli ostacoli posti dal capo dell’FBI Hoover e dei tempi della guerra fredda, li considera il vero “enemy within”.
I mafiosi, sempre secondo il racconto che Scorsese ci trasmette attraverso le parole riferite da Sheeran-De Niro che a sua volta ci racconta quello che gli avrebbe riferito Bufalino-Pesci, si sentono doppiamente traditi dai Kennedy. Infatti avevano contato su di loro, una volta alla Casa Bianca, anche per buttare fuori Fidel Castro dal potere a Cuba e poter rimpossessarsi degli hotel con le case da gioco di L’Avana in cui avevano anni prima investito così tanto. Invece i Kennedy li “tradiscono” due volte: con RFK che scatena i federali nelle indagini contro la mafia, e JFK che abbandona gli anti-castristi a essere massacrati nella baia dei porci invece di assecondare le operazioni organizzate dalla Cia con la mafia…
Tutto molto realistico, dicevamo. Tutto molto dettagliato. Ma a noi, più che la più o meno verosimile fine di Jimmy Hoffa, che secondo il racconto in “The Irishman” viene fatto fuori dalla mafia , che avrebbe usato proprio Sheeran, uomo di cui lui si fidava, per togliere di mezzo un troppo orgoglioso leader sindacale che non voleva più, una volta uscito di galera, continuare a garantire prestiti per gli investimenti di Cosa Nostra, ci interessano più gli aspetti della storia che nel film Scorsese, pur facendoci capire di ben conoscere, decide comunque di non approfondire ma di sfiorare soltanto.
C’è una mirabile scena in cui Bufalino-Pesci sussurra a Sheeran-De Niro che “that’s it”, che per Hoffa non ci sono più margini di discussione, o accetta senza fiatare le condizioni imposte dai mafiosi o … “that’s it”. Quando De Niro, ricordiamo nel film di origini irlandesi, esprime a Pesci dubbi non solo di coscienza ma anche di opportunità, insomma è pur sempre il leader sindacale dei camionisti, troppo importante per potergli fare paura così, Pesci senza esitare lo avverte: “Tu credi che chi ha fatto fuori il presidente, possa avere problemi a far fuori lui?”. Quel presidente è JFK, di cui Scorsese ci aveva mostrato in una scena precedente la tv che ne annunciava nel novembre del 1963 l’assassinio a Dallas.
Nell’inchinarci anche noi alla bravura di Scorsese nel realizzare questo film – anche se forse troppo lunga opera cinematografica che sembra interessarsi più ai rimorsi di un padre che perde i rapporti con le figlie che si accorgono del mondo di violenza di cui si è circondato e le ha costrette a vivere – abbiamo una domanda da porre al maestro: perché nel realizzare il film sulla mafia più costoso di tutti i tempi, Scorsese ha scelto la storia dei “piccoli pesci” Sheeran e Bufalino, invece di prendere i milioni di dollari di Netfix e buttarsi a capofitto su chi ha fatto la storia di Cosa Nostra in America? La scelta di Scorsese è dovuta alla sensibilità del regista, attratto più dalla storia di un “padre pentito” che ormai vicino alla morte, cerca di spiegare le sue scelte sbagliate e almeno dare un ultimo messaggio alla figlia che lo ha rinnegato… O magari questa scelta è dovuta ad altro?

Perché Scorsese per tutto il film ci fa capire di ben conoscere la storia “dei pesci grandi”. Ad un certo punto, vediamo Pesci, che si presta bene al gioco di parole per riaffermare che lui, come boss di mafia, nella storia di Cosa Nostra è stato al massimo “un pesce medio”, spiegare a Sheeran perché Hoffa ha sgarrato e deve pagare, che si è addirittura permesso di non rilasciare le garanzie per il finanziamento di un Hotel “che a New Orleans ha già iniziato Carlos…”. Cioé quel Carlos Marcello – nato Calogero Minacori – boss di New Orleans e che nella mafia americana, dal dopoguerra fino alla sua morte nel 1993, ricoprirà un ruolo così importante che sembra incredibile che ancora Hollywood non lo abbia mai voluto protagonista per un film che ci racconti quale è stato il vero peso e potere di Cosa Nostra in America.
Eppure Scorsese, nel suo film, mostra di conoscerlo bene Marcello nel ruolo che ha avuto. Non solo perché lo fa menzionare da Pesci-Bufalino, ma perché poi escogita un modo tanto realistico quanto ingegnoso per farcelo indirettamente riapparire in una scena importante: quando Pesci incarica De Niro di guidare un camion carico di armi da dover portare alla Cia, con presente E. Howard Hunt, che sta addestrando gli esuli anti castristi in Florida (e Alabama). E chi troviamo tra gli organizzatori-addestratori ad accogliere Sheeran De Niro dagli anti-castristi? David Ferrie, proprio l’ex pilota da lungo tempo al servizio del boss di New Orleans Carlos Marcello e che, forse qualcuno lo ricorderà, nel film “JFK” di Oliver Stone, aveva avuto giustamente un importantissimo ruolo impersonato da Joe Pesci!
Ecco, Scorsese quindi è magnifico nel dirci che lui sa, ci crede pure agli intrecci di mafia, servizi segreti, military industrial complex ed un certo “establishment” (Hoover? Johnson?), ma decide che di quella storia non vuol occuparsi mettendola al centro del suo film. La sfiora soltanto, e chi vuole capirà.
Eppure qualche anno fa, sembrava che tutto fosse pronto, con l’attore pupillo di Scorsese, Leonardo Di Caprio, che appariva lanciato nel realizzare un film sulla storia del grande boss Carlos Marcello. L’attore protagonista? Robert De Niro! Invece Scorsese sceglie la storia di Sheeran e spende il capitale di Netfix per farci sapere come muore Hoffa, un pesce importante ma poi non così grosso…
Ultima nota: Scorsese sceglie De Niro e Al Pacino, attori italoamericani ma che nel film impersonano “altra gente”, per lanciare quello che ci sembra uno sfogo contro “la sua gente”. Come dicevamo, il mafioso-sindacalista “Tony Pro”, nemico di Hoffa, lo vediamo avere due volte una scazzottata col leader del sindacato dei camionisti. I motivi sono tanti, ma quello che scatena la furia di “Tony Pro” è quando Hoffa gli dice “you people”. Per Provenzano, si tratta di un insulto nei confronti degli italiani in America. E infatti lo è, dato che in una seconda scena Hoffa lo condirà aggiungendo “wops” e ben altro… Scorsese insomma mette in mostra la suscettibilità degli italoamericani che vengono nel film offesi semplicemente per il loro essere…” you people!”. A noi ci sembra che Scorsese, mettendolo insieme con la rabbia e il rancore delle figlie di Sheeran per un padre che si è mischiato con “certain people” così violenta e sanguinaria, voglia lanciarci col suo film sulla mafia un ultimo messaggio: “What’s wrong with us, Italian Americans?” Altro che Wise Guys, e i divertenti mobster dei tempi passati (già anche qui comunque quelli descritti da Scorsese ci sembrano più de gangster che dei mafiosi siciliani…) che hanno insanguinato le strade delle metropoli americane in cui lo stesso regista siculo-americano è cresciuto. Basta con farli diventare eroi, non sono personaggi che possono ancora trasmettere un certo fascino misterioso, come magari capitò con Marlo Brando e Al Pacino dopo “The Godfather” di Coppola, ma solo degli ignoranti e spietati fuorilegge. Insomma gente di cui vergognarsi, e basta.