“Sono Gassman! Vittorio re della commedia”, è il bellissimo docufilm scritto e diretto da Fabrizio Corallo e dedicato alla vita e alla carriera di Vittorio Gassman. Il documentario viene presentato domenica pomeriggio al Lincoln Center, all’interno della Rassegna “Open Roads” (Proiezione domenica, alle 3:30 pm). Noi abbiamo incontrato l’autore-regista, alla fine del vivace dibattito con i registi e condotto da Antonio Monda, che si è tenuto venerdì sera alla Casa Italiana Zerilli Marimò della New York University e di cui presto vi riferiremo. Qui di seguito intanto, l’intervista con Fabrizio Corallo.
Perché Gassman?
“Vivo a Roma da 40 anni. Faccio il giornalista e mi occupo di cinema e teatro. Ho avuto la fortuna di conoscere bene Vittorio Gassman e i suoi familiari, sua moglie e i suoi figli, frequentandolo a lungo dal 1980 fino al 2000, l’anno in cui è scomparso. Avevo realizzato negli anni precedenti un altro documentario per la Rai, a sua volta accolto molto bene in Italia, in occasione dei 90 anni del regista Dino Risi, di cui ho avuto l’ulteriore privilegio di essere a lungo buon amico. Risi aveva girato con Gassman ben 16 film. Alcuni molto popolari, come “Il sorpasso”, “Profumo di donna”, “I mostri”…”
“Profumo di donna”, successo da Oscar…
Il film originale di Risi del 1974 – per ui tra l’altro Gassman vinse l’anno successivo il premio per la migliore interpretazione al Festival dI Cannes – ricevette due nomination dall’Academy mentre qualche anno dopo il remake americano di Martin Brest intitiolato “Scient of a Woman” consentì ad Al Pacino di vincere il suo primo Oscar come miglior attore protagonista.
Massimo Vigliar e Adriano De Micheli, due produttori romani, detentori dei diritti di molti film di Gassman avevano visto e apprezzato il mio precedente documentario e mi hanno proposto di girarne uno analogo su Vittorio. A quel punto io ho chiesto la collaborazione e il sostegno dei figli e dei familiari che hanno accolto volentieri l’idea perché si fidavano di me, sapevano che conoscevo bene sia il lui che il suo lavoro e che avrei avuto un approccio il più possibile discreto e rispettoso.
Gassman dal secondo dopoguerra fino quando è scomparso nel 2000 aveva recitato in 130 film in Italia e all’estero e si era esibito per oltre 60 anni nei teatri e in tv, il suo era un repertorio davvero sterminato e già in passato eranos tasti realizzati altri interessanti documentari su di lui. Era importante perciò evitare di girare una semplice biografia che seguisse passo dopo passo della sua carriera, ma cercare una chiave di racconto piuttosto insolita e l’abbiamo trovata concentrandoci soprattutto sul passaggio cruciale del 1958 anno in cui grazie a “I soliti ignoti” Vittorio valorizza la sua vocazione brillante e inizia il suo felice percorso nel filone della cosiddetta “commedia ll’italiana” . Abbiamo però iniziato ovviamente col raccontare come fosse nata la sua vocazione artistica”.

Era stata la madre, per sconfiggere la timidezza del figlio…
“Si, era una donna molto colta e una grande appassionata di recitazione, era stata lei nei primi anni ’40 ad iscriverlo a Roma all’Accademia Nazionale d’ arte drammatica Silvio D’Amico, che era ed è ancora l’istituzione più prestigiosa per gli aspiranti attori. Questa esperienza gli è servita come una sorta di terapia, per vincere la timidezza. Gassman è subito diventato capocomico a Milano nel primo dopoguerra. Poi alla fine degli anni’ 40 era diventato molto popolare grazie certi film drammatici e seri, da lui giudicati spesso seriosi come “Riso amaro”, con Silvana Mangano, che ebbe anche un grande successo commerciale e molti altri film dove continuava a mostrarsi in ruoli da cattivo piuttosto cupi. Intanto nel dopoguerra aveva avuto grande successo con gli allestimenti teatrali, era apparso in un memorabile Amleto nel 1952, era diventato uno dei giovani attori più autorevoli non solo in Italia ma in Europa. Una volta sposato fulmineamente a Roma l’attrice americana Shelley Winters, dalla cui unione era nata la figlia Vittoria,si era trasferito negli Stati Uniti, ad Hollywood, e anche qui aveva interpretato diversi film che in genere detestava trovandoli strappalacrime e spesso ridicoli…”
Eppure noi, su questo giornale, ne abbiamo scovato uno recentemente in cui recita la parte di un profugo ungherese, che entra illegalmente negli Stati Uniti, e ad un certo punto scappa dentro le Nazioni Unite…
“Era “The Glass Wall” (“Il muro di vetro” ) di Maxwell Shane, un thriller del 1953 che era uno dei suoi pochi film dell’epoca che apprezzava Ma c’erano altri film, melodrammi che lui detestava, era costretto a recitare con enfasi eccessiva, troppo sopra le righe… non si piaceva affatto Verso la metà degli anni Cinquanta, tornato in Italia dopo il fallimento del matrimonio con Shelley Winters, continua a livelli altissimi la sua carriera teatrale, però c’è una chiave nuova, e sia nel cinema che nel teatro comincia a privilegiare i ruoli brillanti e a spostarsi verso la commedia. E quindi, come dicevamo arriva una straordinaria commedia corale come “I soliti ignoti” di Monicelli che rivela tutte le sue potenzialità comiche e da allora, con soprattutto tre grandi registi che erano lo stesso Monicelli, Dino Risi e poi anche Ettore Scola, diventa con Sordi, Manfredi, Mastroianni e Tognazzi, uno dei cosiddetti “colonnelli” della grande commedia italiana”.
”.

Nel tuo documentario tante interviste con chi ci ha lavorato, tra i quali molti registi. Alcuni scomparsi da tempo…
“Gli interventi di Dino Risi sono tratti da sequenze edite e inedite girate in occasione del mio precedente documentario a lui dedicato. Poi abbiamo potuto contare su diversi materiali d’archivio dalla Rai, di Cinecittà Luce, Mediaset e anche su filmati personali e privati che la famiglia mi ha fatto avere. Molte testimonianze d’epoca di registi e attori del passato scomparsi arrivano da questi archivi mentre per l’occasione ho girato varie nuove interviste con colleghi di lavoro, come Stefania Sandrelli o Gigi Proietti, e con gli eredi della commedia italiana di oggi come Carlo Verdone, Diego Abatantuono e Paolo Virzì ecco raccontano come è stato importante un attore come Gassman per la loro vocazione artistica”.
Una madre fortissima, Luisa Ambron, di origine pisana e di religione ebraica, che vediamo nel documentario. Il padre, Heinrich Gassman, tedesco. Gassman nasce nel 1922 a Genova.
“La figlia di Vittorio, Paola Gassman, anche lei attrice apprezzata, racconta che il nonno era un tedesco imponente, di grande presenza, ma anche con una sua grazia che Vittorio aveva sempre ammirato e mitizzato, fino a quando non è prematuramente scomparso. Erano molto legati, facevano molto sport insieme, ed è stato un colpo durissimo per la sua adolescenza (lui aveva solo 14 anni) che lo segnerà per tutta la vita. Paola raccontava tra l’altro che suo nonno, insieme un amico, a piedi attraversò le Alpi dalla Germania, fino ad arrivare a Genova, col preciso intento di andare in Italia per trovare due belle donne e sposarle.. Heinrich incontrò infatti sua moglie, la sposò e dopo qualche anno si trasferì a Roma con lei e con i figli Vittorio e Mary. Qui Vittorio cominciò a dedicarsi agli studi di letteratura e alla poesia, rivelando presto una memoria prodigiosa. Il figlio Alessandro racconta che fin da quando frequentava l’Accademia suo padre era capace di leggere una pagina di giornale e poi recitarla dopo pochi minuiti più o meno a memoria… Nonostante il lavoro e la vita lo portassero in giro per il mondo, nonostante abbia confessato di essere stato un padre piuttosto distratto nei confronti dei suoi due primi figli, Gassman si è rifatto strada facendo. E’ stato molto legato ai quattro figli Paola, Vittoria, Alessandro e Jacopo considerando un figlio a tutti gli effetti anche Emanuele Salce, figlio della sua ultima moglie Diletta D’Andrea che ha vissuto con lui e la madre fin da quando aveva pochi anni. Li ha adorati tutti e Paola mi diceva che nonostante l’apparente lontananza, è stato un grandissimo padre”.
La figlia americana, Vittoria, avuta con Shelley Winters, ha partecipato al documentario.
“Lei fa il medico, vive in Connecticut e verrà domenica (oggi ndr) al Lincoln Center per assistere alla proiezione e rispondere con me alle domande del pubblico. Lei fa il medico, vive in Connecticut. Vittoria ha apprezzato molto il nostro lavoro e quando il documentario è stato proiettato alla festa del cinema di Roma non è voluta mancare all’anteprima così come ha voluto fortemente esserci alla proiezione al Lincoln Center nell’ambito di “Open Roads””.
Gassman era contento che gli altri figli avessero scelto la strada del cinema?
“Vittorio era molto legato a tutti e ianche i vari figli lo sono tra loro, Vittoria non ha mai coltivato la passione per la recitazione e ha scelto un altra carriera. Paola è una attrice importante di teatro, Alessandro è uno degli artisti italiani più popolari e amati sia in cinema che in teatro dove si è rivelato anche un ottimo regista e il figlio più piccolo di Gassman, Jacopo, che ha oggi 39 anni, è un regista di teatro molto apprezzato. E poi c’è un quinto figlio, perché a tutti gli effetti può essere considerato tale, che si chiama Emanuele Salce, figlio del primo matrimonio dell’ultima moglie di Vittorio, Diletta d’Andrea, e che è cresciuto con sua madre e con Vittorio e si è rivelato un interprete e un regista molto dotato sia al cinema che in teatro.
Li ha adorati tutti, insomma, e Paola mi diceva che nonostante l’apparente lontananza, è stato un grandissimo padre”.
Gassman qui in America era conosciuto come il più grande attore italiano, il Laurence Olivier d’Italia. Giusto?
“E’ stato un impeccabile attore shakesperiano, aveva un’assoluta padronanza con i classici.Era molto apprezzato anche da Olivier che quando vide il suo “Amleto” disse che si tratttava dell’allestimento che avesse mai visto fuori dalla Gran Bretagna”.
A proposito di Monicelli. Nel film “La Grande Guerra”, Gassman è in coppia con Alberto Sordi. Mentre quest’ultimo rappresenta le solite debolezze del carattere italiano, in Gassman ne vediamo uno completamente diverso. Ecco anche Gassman, come fece Sordi, rappresentò il carattere degli italiani?
“Sì, ma essendo una persona estremamente sensibile, intelligente, raffinata, colta, e con uno spirito di osservazione molto acuto.. ecco il dato più significativo della sua interpretazione di certi caratteri rivela secondo me la contraddizione e la “condanna” che accompagnano da sempre la commedia all’italiana. Che ha saputo rappresentare benissimo l’Italia del dopoguerra che cresceva, il costume che cambiava, il boom economico, l’euforia, ma anche le contraddizioni e certe caratteristiche nazionali di sempre che sono doti solo presunte, come la furbizia, il cinismo, l’arte di arrangiarsi, la voglia di strafare oltre le proprie possibilità”.

Appunto nel ruolo de “La Grande Guerra”, lui alla fine interpreta quell’atto di coraggio, mentre Sordi recita fino alla fine il vigliacco…
“C’è un riscatto e molte volte nelle commedie migliori, con gli sceneggiatori più acuti e attenti, piuttosto che compiacimento c’era anche la capacità di nobilitare l’umanità profonda di certe persone anche umili e modeste, che si rivelano nobili e capaci di riscatto”.
Un aspetto che emerge dal suo documentario, e che ripetono registi come Scola, è che Gassman uomo molto timido, nella recitazione trova il suo equilibrio. Per Pirandello solo l’attore vive realmente, tutti gli altri invece sono condannati a recitare una maschera. Gassman viveva recitando?
“Volevo sottolineare come lui fosse capace di portare in scena i suoi personaggi cialtroni ma spesso simpatici e accattivanti prendendo al volo la possibilità di denunciarne i difetti, la mostruosità, e quindi di prenderne le distanze smascherandone i difetti e l'”impresentabilità”. Erano film che dietro il grande divertimento e la commedia all’italiana hanno saputo rappresentare l’Italia, evidenziandone le contraddizioni e le tanti costanti auto referenzialità che sono purtroppo da sempre molto presenti nel carattere nazionale… C’era per esempio una commedia meravigliosa che lui ha fatto con Risi e Tognazzi che si chiamava “I mostri” che in una ventina di episodi evidenziava tante caratteristiche appunto mostruose degli italiani. Però dietro il divertimento, c’era chi si è fermato a vedere solo la prima lettura di facciata, e chi invece si interrogava criticamente su tutte le contraddizioni e gli aspetti negativi dei personaggi”.
Il suo documentario, già presentato alla festa del cinema di Roma, ora arriva qui a New York: cosa ancora un attore come Gassman può trasmettere alle giovani generazioni di italiani che non l’hanno conosciuto, così come anche agli americani?
“Domanda difficile. Certamente il mio tentativo è stato quello di mostrarlo nella sua complessità, nella sua enorme ricchezza sia professionale che umana, e anche nella sua estroversione e nella sua vorace capacità di recitare personaggi così diversi tra loro. La sua unicità secondo me (e questo emerge nella seconda parte del documentario) nel fatto che che lui aveva anche una sua impensabile vulnerabilità, una timidezza di fondo, una ritrosia che ogni tanto già nei momenti di enorme successo e di estrema popolarità, nascondeva delle ombre, certi aspetti anche più intimi, segreti dove era più guardingo, quasi impaurito… e che andavano al di là della proverbiale estroversione dell’uomo pubblico”.
La depressione, di cui soffrirà….
“Purtroppo la malattia di cui ha sofferto, la depressione, lo ha colpito in tre lunghi periodi. La prima volta, all’inizio degli anni ’80, si era ripreso scrivendo una autobiografia di successo, molto spiritosa e allegra che si chiamava “Un grande avvenire dietro le spalle”, poi ne ha avuto un’altra nei primi anni ’90 e negli ultimi due tre anni è arrivata quella che lo ha accompagnato sino alla fine, nel 2000. Lui continuava comunque sempre a lavorare e a recitare, nonostante i momenti bui, aiutato anche dalla famiglia che lo stimolava a scuotersi, nei limiti del possibile. Alle volte non c’è spiegazione razionale di certi momenti cupi. Secondo me l’esempio che ha lasciato Vittorio Gassman è stato quello di una persona che ha sempre avuto una estrema attenzione non solo al mondo della cultura e dell’arte, ma ad un umanesimo di altissimo spessore e livello alternato ad una straordinaria capacità di prendersi in giro: nonostante la grande cultura, il grande sapere, avere la capacità di smitizzare tutto e soprattutto di smitizzare se stesso. Credo sia stato unico e irripetibile perché è sempre stato capace di volare alto e di pensare oltre, nonostante le sue segrete vulnerabilità”.