Al cantiere contemporaneo culturale Cre.Zi. Plus nel centro storico di Palermo ha avuto luogo un appuntamento musicale e artistico, terzo appuntamento di una rassegna di “musiche altre” ideata e diretta da Mario Crispi (noto artista di musica world, etnica nonché fondatore della band Agricantus), e prodotta da Associazione Culturale Formedonda. Una performance ha richiamato un folto pubblico di appassionati e curiosi che hanno assistito ad un insolito spettacolo musicale e coreografico che ha avuto come protagonisti assoluti Alfredo Giammanco, compositore palermitano ma trapanese di adozione e Silvia Giuffrè, nota danzatrice trapanese di grande esperienza nella danza contemporanea.
La dimensione sonora di Alfredo Giammanco rappresenta sempre un evento speciale quanto inusuale per via del suo sapiente uso dei sintetizzatori modulari analogici in grado di creare sonorità estese e fluttuanti che rappresentano la componente essenziale e primaria del genere “drone music” ovvero l’elaborazione nel tempo di un singolo suono che viene trasformato attraverso inserimenti di altri suoni e modulazioni coadiuvati da computer dotati di specifici software di sintesi musicale che insieme riproducono rumori e suoni filtrati e riprodotti in sequenza. Le atmosfere che avvolgono i luoghi teatro delle performance riescono sempre ad ammaliare e catturare l’attenzione e l’interesse proprio per le sonorità trasversali che mai come in questa performance raggiungono l’apice di bellezza sonora e visiva grazie anche alla gestualità e ai movimenti di Silvia Giuffrè e al suo approccio “filosofico” alla danza, che crea quel valore aggiunto artistico che ne garantisce la piena riuscita. Un connubio artistico fuori dagli stereotipi e dalle consuetudini che in un evento speciale e inedito come questa performance ha unito esperienze e ricerche musicale diverse.
Una volta conclusa la serata abbiamo avvicinato Giammanco che si è dimostrato da subito sorridente e disponibile a spiegare con le sue parole le origini e quali sono stati gli stimoli e le passioni che lo hanno portato a scegliere queste sonorità complesse e fascinose: “Quando ero un bambino mio padre mi iniziò all’ascolto dei monumenti musicali della storia, Bach, Vivaldi, Beethoven, (ancora oggi gli sono grato!) che ascoltavo di continuo come fossi in paradiso”. Una gioventù trascorsa con assidui ascolti di musica progressive dove la sua cultura musicale spaziava in vari generi: “Il sabato invece di andare in discoteca con i compagni di scuola mi ritrovavo in sala prove con altri seguaci della Psichedelia”. Dalla psichedelia all’elettronica e sicuramente è quello il momento in cui matura la sua direzione che lo porterà ai sintetizzatori modulari: “Dopo aver acquistato il mio primo sintetizzatore analogico e dopo aver imparato a controllare la fisica del suono attraverso la matematica e i computer, potevo plasmare la mia musica come uno scultore plasma il marmo. La Drone Music fu quello che ne derivò, un “viaggio sonoro”, tutto resta fermo e tutto si muove… riuscire ad intervenire nella forma sonora attraverso il pannello del mio set strumentale è una cosa che mi appaga come fossi un bambino nella stanza dei bottoni! Un “singolo” suono che si trasforma nel tempo, che muta l’emozione del suo essere e che suggerisce alle mie mani dove intervenire sul pannello dell’elettronica. Le perturbazioni nello spazio di diffusione del suono, agiscono come un mantra e la musica diventa tridimensionale, un oggetto che puoi osservare da tante angolazioni. Se poi uniamo tutto questo alla goduria di muovere “pippoli” ecco che il gioco è fatto. Gli strumenti musicali sono il frutto della tecnologia dalla notte dei tempi, un flauto di osso è un manufatto tecnologico se ci pensiamo, oggi abbiamo anche l’elettronica al servizio della musica e far interagire le diverse tecnologie è ciò che mi stimola maggiormente”.
A fine performance Silvia Giuffrè ha spiegato origini e significato della sua particolare coreografia: “La mia formazione di danzatrice ha origini in un versante americano, si chiama infatti “Release Technic” e “Improvisation and contact improvisation”. Molti anni fa ho fatto una borsa di studio con la compagnia di Trisha Brown e poi ho continuato a lavorare con Steve Paxton che è l’inventore di questa disciplina di movimento basata sull’improvvisazione; si chiama “composizione istantanea”, una danza contemporanea basata su una improvvisazione che ha delle strutture con cui sviluppare ritmicità, cambi di spazio e di livello, pause e ripetizioni; è un lavoro sul corpo e spirito che lavorano in simbiosi univoca, si cerca di essere il più possibile neutri aprendo tutti i sensori e recettori nei confronti dello spazio, del pubblico che sta di fronte, nei confronti della musica e ci si lascia ispirare da questi elementi. Si comincia cosi a raccontare una propria storia, fatta di sensazioni e di movimenti astratti che si sprigionano quasi inconsapevolmente in tempo reale con la musica quale fonte ispiratrice”.