Siamo ormai a metà della seconda settimana del festival di Cannes, edizione 2018, e iniziano a delinearsi le prime coordinate del bilancio complessivo e le linee tematiche generali.
Tentando di riepilogare quanto abbiamo visto in questi giorni sulla Croisette, non possiamo che partire da un nome sicuramente caro ai nostri lettori newyorchesi, Spike Lee, che ha realizzato e portato in concorso il suo film migliore dai tempi de “La 25a ora“.
Si tratta di “Blackkklansman”, opera arrabbiata e ispirata come ai vecchi tempi, un divertente e intelligente film poliziesco che articola in modo molto efficace una riflessione sconcertante sulla società americana odierna, che ha permesso le scellerate politiche razziste del presidente Trump. “Blackkklansman” racconta una storia vera ai limiti dell’assurdo, tratta dal romanzo autobiografico Black Klansman del poliziotto afroamericano Ron Stallworth, pubblicato nel 2014. Stallworth, negli anni ’70, in collaborazione con un collega (bianco ma ebreo) si era infiltrato nella cellula cittadina di Plam Springs del Ku Klux Klan fino a diventarne un leader, prima contattandone e raggirandone telefonicamente il capo, poi usando il suo partner per proseguire l’operazione di persona. Insomma, ecco la dabbenaggine grossolana del Ku Klux Klan: un nero e un ebreo ne diventano i dirigenti più stimati. Nelle mani di Lee, questa vicenda che è quasi una barzelletta, diventa un funambolico flipper di trovate, gag, rimandi alla blaxploitation e rovesciamenti al limite del surreale.

Il ritmo rimane altissimo, senza cali, anche grazie alle ottime performance di Adam Driver e John David Washington (figlio di Denzel, grande scoperta), e non mancano degli efficacissimi anacronismi che rimandano alla White supremacy trumpiana: dal divertentissimo incipit, con il cameo di Alec Baldwin – imitatore/fustigatore di Trump al SNL – che interpreta un ideologo della superiorità ariana, fino agli slogan della campagna di “The Donald” fatti coniare dal leader del KKK, si ride amaro, almeno fino all’appendice finale, quando, off story, Lee monta le scioccanti immagini di repertorio degli scontri di Charlottesville, assestando un duro pugno nello stomaco. A quel punto, la tesi del regista di “Fa’ la cosa giusta” diventa chiarissima: mentre nel pieno dei Seventies, le parole razziste pronunciate durante tutto il film erano dette da (comunque pericolosi) bifolchi di provincia, ora sono addirittura il mantra dell’inquilino della Casa Bianca, democraticamente eletto dal popolo americano. Un’involuzione sociale perfettamente fotografata da uno Spike Lee in stato di grazia, che ci auguriamo possa ricevere qualche premio che amplificherebbe ulteriormente la forza del suo messaggio.
L’impronta molto politica del festival, già emersa con i film di Serbrennikov e Honoré, viene ribadita dal ritorno “virtuale” del grande Jafar Panahi. Il regista iraniano, Leone d’oro a Venezia nel 2000 con “Il Cerchio” e orso d’oro nel 2015 con “Taxi Tehran”, non può abbandonare il paese ed è costretto a lavorare clandestinamente, poiché accusato di attività culturali anti-islamiche. Qui sulla Croiestte ha presentato “Three Faces”, una storia fortemente simbolica ambientata nel cuore di una comunità di montagna del nord dell’Iran e incentrata sulla volontà di una ragazza di studiare al conservatorio, osteggiata però dal nucleo familiare. Superficialmente accogliente ma decisamente retrogrado e conservatore nel profondo, questo villaggio sembra, nelle intenzioni di Panahi, una rappresentazione metaforica della società iraniana, alle prese coin una serie di tabù che appaiono ancora inviolabili.

L’Italia ha visto sfilare sul red carpet il cast del primo dei due film in concorso, Lazzaro felice, terzo lungometraggio di Alice Rohrwacher, che si colloca in prima fila per un premio finale. Il realismo magico della brava regista di “Corpo celeste” e “Le meraviglie” funziona qui al massimo della sua forza poetica, al servizio di una storia sospesa tra “L’albero degli zoccoli” e “Miracolo a Milano”, ambientata nel cuore di una comunità di mezzadri al servizio di una spietata marchesa (Nicoletta Braschi). Tra loro c’è Lazzaro (l’esordiente Adriano Tardiolo), giovane di animo puro e ingenuo, sempre disponibile con tutti. A metà il film svolta, con un colpo di scena che non sveliamo: la seconda parte è ambientata in una metropoli, anni dopo, in cui tutti i personaggi sono invecchiati ma Lazzaro no. E nel poetico e commovente finale di questo storia laica ma intrisa di spiritualità, fa capolino un lupo di impronta francescana.
Mancano quattro giorni al termine della kermesse e ancora molti film attesissimi devono essere presentati, dal “Dogman” di Matteo Garrone al nuovo film del maestro turco Nuri Bilge Ceylan. Nel prossimo appuntamento con il nostro diario di Cannes vi diremo anche dei due film presentati oggi, “Solo – A Star Wars Story” di Ron Howard e “Under a Silver lake” di David Robert Mitchell.
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