C’è una temutissima Manhattan nell’opera Tightrope Walker di Ali Hassoun, artista libanese traferitosi da oltre vent’anni a Milano: un brivido di pericolosità attraversa l’osservatore che si ritrova improvvisamente nella prospettiva del funambulo ritratto sulla tela, impegnato ad attraversare lo spazio vertiginoso tra i grattacieli della più ambita New York.
Ma chi è Ali Hassoun? Nasce a Sidone (Libano) nel 1964, e già nel 1982 si trasferisce in Italia per proseguire gli studi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, laureandosi in architettura nel 1992 all’università della stessa città. Dagli anni Novanta le sue mostre si susseguono senza tregua in Italia e all’estero: dalle città più importanti della Toscana (Firenze, Siena, Museo Piaggio di Pontedera – Pisa, Pietrasanta, Arezzo, Volterra), proseguono incessantemente nel resto della penisola (Napoli, Milano, Venezia, Torino, Roma, Bologna, Monza, Genova, Pavia, Piacenza, Verona, Vicenza, Catania), fino a Istanbul; partecipa a importanti eventi internazionali come il Damasco – Beirut – Cairo nel 2008; la 54° Biennale di Venezia (Padiglione Lombardia) nel 2011; Arte Fiera Bologna nel 2014 e 2015; Art Basel a Miami nel 2015; Award Art China sempre nel 2015.
C’è ironia e sacralità nelle tele di Hassoun: un connubio controverso, forse paradossale, ma inequivocabile. E lui ne è assolutamente consapevole perché le sue opere, dallo stile sobrio, equilibrato, talvolta misterioso, spesso intrise di contaminazione, conservano un’elegante armonia: ogni soggetto è al proprio posto, ogni elemento è legato egregiamente al contesto ritratto; ogni colore è perfettamente inserito nei suoi cromatismi accesi e sempre misurati. Le tonalità, la loro corposità (o la trasparenza degli acquerelli) sono dosate con diligenza ed eleganza. Le tele più vivaci, in costante movimento, sono anche le più brillanti e dinamiche e, in esse, contesti e luoghi assolati provenienti da ogni parte del mondo – di Oriente e Occidente – fanno da sfondo a soggetti in contrasto tra loro e con gli scenari ritratti, nei quali icone memorizzate sui nostri computer e simboli di ogni specie, cultura e tradizione, si impongono in quei contesti e si contrappongono ai protagonisti dell’opera (Icons).

Visioni che Hassoun porge, creando le sembianze di un racconto, come rivelasse ogni volta una storia nuova, alla stregua di un cantastorie o un moderno storyteller o, forse, come canterebbe Bob Dylan, chiedesse di immaginare un mondo migliore.
Nelle opere sono disseminati indizi, simboli, tracce, ma anche fatti della vita e della sua esperienza: ciò che ha vissuto e visto Hassoun, i suoi viaggi – quelli che ha condotto e conduce ogni giorno, dentro e fuori di sé – la sua cultura, gli studi, la conoscenza, la raffinatezza di pensiero, la capacità con la quale osserva l’evolversi degli eventi, quasi ascoltando lo scandire dei fatti nel tempo e assaporando i racconti della vita di chi incontra. Hassoun non raffigura i suoi ricordi nel modo in cui li ha vissuti, ma li propone secondo una visione nuova che in quei contrasti trova un senso e una ragione e nella quale, mescolando soggetti e contesti, oggetti e culture diverse, rielabora immagini originali, forse fantasiose o ai limiti del reale ma, comunque, sempre e semplicemente possibili (Esso).

I dettagli che inserisce rappresentano le impronte che contraddistinguono il suo stile e la sua poetica. Le espressioni dei volti, la gestualità, le posture che ritrae sonopiene di delicatezza, speranza e coraggio, e custodiscono un’umana sensibilità; Hassoun guarda al prossimo e al mondo circostante senza rabbia o irriverenza bensì con placata accettazione, speranza e fiducia, imprescindibili tra loro e da se stesso: è il modo in cui l’autore vive e guarda la vita che gli passa davanti, con la sensibilità di chi sa capire la disperazione, ma anche il coraggio di chi sa affrontarla, offrendo una speranza a coloro che credono in un futuro migliore. E questa delicatezza è la stessa che contraddistingue le sue donne, che ritrae cariche di femminilità e talvolta di forza, caratteristiche che ritroviamo nei lineamenti dei volti, nelle linee rigorose dei corpi, nella loro tensione o nelle azioni che compiono.
Spesso sono rappresentati temi impegnativi, da un lato introspettivi e sociali – la paura, l’ingiustizia, il dolore, le contraddizioni che caratterizzano la nostra epoca, le incoerenze o la distanza costruita dal pregiudizio; dall’altro, gli stessi temi sono trattati con estrema eleganza, talvolta ironia, ma sempre magicamente mescolati fra loro e tramite i quali l’artista raffigura la sua “realtà possibile”. Nelle tele la diversità viene spazzata via non da ideali, demagogia, buone intenzioni, luoghi comuni o forzature morali, ma da fatti concreti, quegli stessi che l’artista ritrae senza esitazione e senza equivoci; proprio come se descrivessero un mondo realmente esistente, un posto in cui la integrazione razziale e culturale sono possibili, nel quale ognuno conserva e alimenta le proprie origini e la propria storia inserendosi, allo stesso tempo, nella vita degli altri paesi, di adozione e non, senza per questo tradire la propria terra o se stessi.
Per questi motivi Hassoun, da profondo conoscitore dell’Oriente e dell’Occidente, intinge le sue tele con la propria esperienza – originata dall’intima e personale rielaborazione di convivenza dei due mondi – contaminandole delle culture – fortemente impresse nell’autore – che lo stesso fa di tutto per tenere insieme, legate in una danza armoniosa e “naturale”, dentro una musicalità figurativa priva di forzature o di elementi che, improvvisamente, stridano o interrompano la fluidità complessiva di ogni sua opera (La Bagnante).

Così si concretizza la sua idea di integrazione (e contaminazione), ovvero nella fusione di quelle contraddizioni che, pur se apparentemente insormontabili, risultano unite da una linea comune alla quale siamo tutti legati, che ci permette di essere ancora su questo mondo, ancora vivi, ancora insieme, solo perché ancora uomini, cioè fatti di umanità, quella stessa che, se in parte rischiamo di perdere, è pur sempre ancorata dentro di noi. Pertanto le sue opere non devono essere considerate “contraddittorie” ma “autentiche” in quanto ritraenti un mondo possibile, quello di Ali Hassoun,l’artista dei due mondi, di Oriente e Occidente.
Una visione d’insieme che ha origine dalla convinzione che esista una caratteristica comune, l’Umanità, a dire dello stesso Hassoun “intesa come qualità universale e comune fra tutti i popoli – fondata su una spiritualità originaria che precede le diversificazioni religiose e politiche”; una sorta di fattore comune, intrinseco dell’uomo; una “umanità”che appartiene a tutti i popoli. Se consideriamo questo come punto d’origine, possiamo anche comprendere come Hassoun lo superi: attraverso la sua arte ci offre una soluzione, in quanto, nell’atto stesso di creare – seguendo il proprio gesto intuitivo – e rielaborando – secondo percorsi più o meno consci – la personale idea iniziale (l’umanità come fattore intrinseco dell’uomo) approda a qualcosa che non conosce ancora, ma che si rivela dentro la trasposizione della rielaborazione inconscia di quel gesto.

Hassoun si focalizza sulla bellezza di quella caratteristica, l’Umanità. Porgendo il suo sguardo sul mondo valorizzala bellezza che appartiene all’Uomo, che vive nell’Uomo; intelligentemente saccheggia a Oriente e a Occidente – sceglie, ruba, trattiene ciò che di buono ci resta. Attraverso la sua arte intuisce che c’è qualcosa che va oltre qualsiasi tipo di emancipazione, evoluzione, evento, credo: siamo fatti di umanità, siamo uomini prima di ogni altra cosa, e Hassoun lo tiene sempre presente. In questo senso la sua arte dona la speranza che possiamo farcela; ritraendo un futuro possibile, in cui accettarsi nel rispetto reciproco elude ogni ombra di prevaricazione: nessuno subisce nessuno.
Perché ognuno sceglie la bellezza – cioè la bontà quanto tale, la sua essenza più elevata (propria dell’umanità), che ci distingue da tutto il resto. Una bellezza che abbiamo il dovere di difendere ad ogni costo da coloro che non ne hanno bisogno, che non sanno riconoscerla, tanto meno sceglierla, né vogliono comprendere cosa sia, di quale valore universale essa sia fatta. Perché chi non riconosce quel valore, non vi appartiene.
Chi non ha interesse a custodire e conservare alcuna umanità non può più ritenersi un uomo. Per questo siamo tutti chiamati a difenderla, con le unghie con i denti. E’ indispensabile alla sopravvivenza di tutti. E Hassoun sta dicendo che possiamo farcela. Senza regalare nulla. Anzi, difendendo la civiltà – tutte le civiltà – che proprio con l’Umanità abbiamo creato. Tutto il valore della vita e che per la vita l’uomo ha conquistato.
Nei profughi di Heroes non è raffigurato solo quello che stiamo guardando; non è solo la fuga dalla guerra ma molto di più: è la fuga da tutto ciò ci abbrutisce, che non dovrebbe appartenerci. La fuga dalle atrocità, dalle ingiustizie.

Le atrocità che creiamo quando perdiamo la nostra identità di uomini. Eppure, in quel contesto di orrori, Hassoun conserva gli sguardi di chi vuole farcela, di chi ama la vita e in cui l’ardore e la speranza di vivere possono condurre ad un futuro migliore. Una chance che possiamo ancora giocare. Chi non difende quel valore non ama nulla, nessuno, neanche se stesso. E Hassoun, proprio nella concretezza delle immagini ritratte, afferma l’esistenza di ogni civiltà, di ogni stato sociale, di qualsiasi realtà, restituendo in quel riconoscimento, un valore e un’identità a ognuno. Senza alcun messaggio politico tantomeno sociale: Hassoun non giudica; non interpreta gli accadimenti, non propone la sua visione di realtà. E non ha bisogno di lanciare messaggi, perché l’arte non è comunicazione; né politica.
Soprattutto l’arte non si strumentalizza. E questo Hassoun lo sa bene. Piuttosto l’arte induce alla riflessione: l’artista vero, indaga, ricerca, dentro e fuori da sé. E con le sue opere rivela la sua scoperta e la sua intuizione – quella stessa alla quale è approdato proprio attraverso l’atto del creare. Svelandoci una verità che fa riflettere o indagare anche l’osservatore. In modo intimo, profondo, spesso solo percettivo e anche inconscio. Rivelando misteri che non riusciamo a cogliere con la ragione.
Qui, in queste parole è la poetica di Ali Hassoun: la sua verità è nell’affermazione di quella capacità che abbiamo, di scegliere la nostra umanità, di recuperarla e averne cura. Perché senza umanità perdiamo la nostra verità di uomini– la nostra essenza e il senso stesso della nostra esistenza – distruggendo le nostre coscienze. E senza coscienza non siamo più nulla.