Un taglio del nastro straordinario quello di Italytime, spazio teatrale inaugurato lo scorso 25 Febbraio dall’anteprima mondiale di Una pittrice di provincia, atto unico a firma Dacia Maraini.
L’evento, nella cornice simbolica di Carmine Street del West Village, nel grande spazio-teatro messo a disposizione dalla Chiesa Our Lady of Pompeii che sabato era stracolmo di gente, avvia il progetto di Vittorio Capotorto, direttore e fautore di questo centro culturale. “Di Vittorio mi piace la passione che mette nelle cose che fa” – ha commentato Maraini, che ha concesso di patrocinare la serata con la composizione di Una pittrice di provincia – “sono stata contagiata dalla sua passione, dalla sua allegria, dalla sua voglia di fare e costruire.”
L’istrionico Capotorto, nell’introdurre la messa in scena della piece, ha ribadito il ruolo del neonato Italytime come medium tra i giovani artisti della città e il loro pubblico. Una missione importantissima che va sostenuta con la promozione, anche materiale, da parte di tutti gli appassionati e addetti ai lavori.
Una pittrice di provincia, che trae ispirazione dal lavoro dell’artista Lisa Zaccaria, racconta le contraddizioni di una giovane italoamericana che, una volta raggiunta la tanto attesa popolarità nel mondo dell’arte, viene schiacciata dal cinismo dell’industria culturale. Rosa, protagonista dell’opera, finirà per accettare le logiche del mercato culturale anche a costo di abiurare la sua identità di pittrice. Ma nella storia scritta da Maraini, si immagina anche la condizione femminile di una ragazza italoamericana. Come ha scritto Francesca Gentile in una intervista a Maraini, “la storia è ambientata nella comunità italoamericana della Pennsylvania, in una casa nei sobborghi di Philadelphia dove vivono Rosa e il padre. Nonostante le pressioni familiari la giovane decide di intraprendere la sua strada, tentando la fortuna a Chicago. Sconfitta e umiliata ritornerà sotto le ali paterne, ma sarà poi il padre-pigmalione a promuoverla e farle trovare il successo nella Grande Mela, a discapito però della sua libertà creativa. Una situazione “claustrofobica”, senza via d’uscita, nella quale la protagonista femminile ha solo due opzioni: rimanere a casa in un ruolo di accudimento, abbracciando un ruolo tradizionale, oppure raggiungere il successo, appiattiendosi in un lavoro alienante”.

Alla prima dell’opera ha fatto seguito una conversazione tra il pubblico e Dacia Maraini, moderata da Anthony Tamburri e Giorgio van Straten, rispettivamente direttori del John Calandra Italian American Institute del CUNY-Queens College e dell’Istituto italiano di cultura di New York. “Proprio in un momento di crisi morale di una società” ha dichiarato van Straten “promuovere la cultura e le arti diventa un dovere, perché vengano costruiti ponti dove si cerca di erigere dei muri.”
Alle domande della platea Maraini ha risposto con la grazia e la verve che la contraddistinguono. Nel suo racconto dell’opera, Dacia ha condiviso l’esperienza di scrittrice e lo scontro personale con le logiche asfittiche del mondo editoriale “che pretende si scrivano libri come se si producessero scarpe o cioccolata.”
A un capitalismo che reifica l’arte, denuncia Maraini, andrebbe contrapposto un ritorno al valore qualitativo dell’opera. Una visione più umana dell’arte, dunque, quella auspicata da Maraini, da contrapporre alle esigenze di un mercato che ha fatto della quantità la misura di tutte le cose.
Applausi e foto ricordo terminano il dibattito con l’autrice. L’evento di fund-rasing si è concluso con il vernissage delle opere di Lisa Zaccaria.