“La vita non è come l’hai vista al cinematografo: la vita è più difficile”, recitava Nuovo cinema Paradiso (film che nemmeno i più accaniti detrattori di Giuseppe Tornatore possono non amare), facendomi pensare alle tante vite che scorrono a New York ogni giorno, a quelle vite newyorchesi raccontate sugli schermi cinematografici e ai tanti cinematografi di New York, quelli gloriosi, di un tempo, negli splendidi edifici art déco ora diventati banche e megastore, quelli nelle main street di periferia, quelli luccicanti intorno a Times Square, quelli underground del Village, quelli colti ed eleganti dell’Upper East Side.
Penso anche ai tanti cinema d’essai che questa città ha avuto e fortunatamente e contrariamente a tante altre città, continua ad avere. The Paris, il più vecchio monosala rimasto aperto a Manhattan, proprio accanto al Plaza, inaugurato da Marlene Dietrich nel 1948, quasi 600 posti, charme d’altri tempi, ha visto passare cineasti di tutto il mondo. Il più nuovo è il Metrograph, in un angolo un po’ defilato del Lower East Side: nome che richiama i vecchi studios, proiezioni in pellicola e in digitale, due sale, rassegne, programmi per bambini, capolavori restaurati, oltre a una bella libreria, un “angolo caramelle” vecchio stile, un cocktail bar e un ristorante.
È vero che la vita è più difficile che al cinematografo (e questo mi sa che è un pensiero diffuso), ma il cinematografo ci può portare lontano dalle nostre vite per qualche ora, o ci può far andare più a fondo nelle nostre vite, o guardare più a fondo le vite degli altri. Qui è questione di scelte. Mi sembra però che il punto di fondo, con il cinema d’essai, è che racconta storie e persone che sono il più vere possibile, vite che non sono costruite apposta per lo schermo, c’è verità in quei racconti, e ci sono scelte artistiche. I film d’essai qui si chiamano art movies e le sale d’essai sono art cinemas, dove il cinema oltre che intrattenere è rimasto anche una forma d’arte, cambiata con il tempo, come sono cambiati gli edifici che la ospitano, come sono cambiati i modi di vedere il cinema fra schermi televisivi e computer portatili.
Penso che a rischio non sia tanto il cinema in sé ma piuttosto le sale. E New York, da sempre città di cinema, sembra essere corsa ai ripari prima di altre città.
Lo scorso 29 aprile The New York Times pubblicava un articolo dal titolo In an Era of Streaming, Cinema Is Under Attack: vero, ma l’articolo lascia intravedere possibilità nuove per il cinema in sala, in particolare a New York. Certo anche qui negli ultimi anni molte sale hanno chiuso i battenti, come il Beekman Theatre (chiuso nel 2015, anche se poi il suo nome è stato dato al Clearview dall’altra parte della strada, essendo già della stessa proprietà) e The Ziegfeld, appena pochi mesi fa. Certo Netflix, Amazon Prime e tutti gli altri hanno creato nuovi modi di guardare il cinema, forse inappropriati, privilegiando le serie TV che ormai sono quasi-cinema, sicuramente togliendo allo spettatore quella pratica sociale e civile che è andare al cinema, condividere la visione con altre persone, tenere l’attenzione, nel buio e nel silenzio della sala, sul grande schermo. Ma è anche vero che DVD, televisione e in seguito le varie piattaforme digitali hanno per la prima volta dato la possibilità a un pubblico potenzialmente infinito di vedere e rivedere film che non avrebbero mai avuto la possibilità di vedere prima. Quindi, il pubblico dei cinema d’essai guarda anche film, serie TV e tutto il resto sul computer e in televisione, ma a New York quello stesso pubblico continua ad andare al cinema.
I cinema si sono quindi attrezzati per far fronte alla nuova realtà. Ci sono i multiplex che puntano sempre di più sullo spettacolarità: supereroi, action movies e tanto cinema di genere affollano gli schermi per le decine di migliaia di teenager che affollano le sale. I cinema d’essai, dal canto loro, puntano su altro: una programmazione accurata per proporre quanto viene prodotto in giro per il mondo e non è visibile altrove se non ai festival e in alcune (poche) sale d’essai, e accanto a questo in particolare i nuovi cinema d’essai si sono inventati altre forme per cui il film in sala diventa un’esperienza arricchita da altri aspetti. Primo fra tutti, un aspetto fondamentale tanto a New York quanto in Italia: the food!
Resistono con successo alcuni storici art cinemas: l’Angelika Film Center, aperto nel 1989 ai confini del Greenwich Village, amato e citato da registi, attori e pubblico, è un’istituzione a New York, con le sue tre sale che offrono una programmazione di film indipendenti e film stranieri; poco lontano il Film Forum, non profit, aperto nel 1970 a Hudson Square e spostato nell’attuale location nel 1990: tre schermi anche qui, retrospettive, serie tematiche, Q&A con gli autori; Quad Cinema, qualche strada più in su: quando ha aperto, nel 1972, con le sue quattro sale è stato il primo multiplex della East Coast. Nel 2010 ha cominciato la politica della four wall distribution (affitto della sala per produttori e filmmaker indipendenti), è ora chiuso per ristrutturazione e dovrebbe riaprire durante l’estate; IFC Center (ex Waverly), aperto nel 2005, è attualmente di proprietà della AMC Networks, che possiede diversi canali via cavo e anche la produzione e distribuzione IFC Company: tre sale, rassegne e festival fra cui quello del documentario. E ancora l’Anthology Film Archives, indipendente, sperimentale, retrospettivo e d’avanguardia.
Accanto a questi, nuovi cinema d’essai sono stati aperti negli ultimi anni, e altri stanno per aprire. Oltre al “manhattaniano” Metrograph, le sale più interessanti vanno cercate a Brooklyn, da tempo nuovo orizzonte della cultura cinematografica newyorchese. A Williamsburg troviamo il Nitehawk Cinema, che dal 2011 propone film d’essai, retrospettive e Q&A in tre sale con tanto di popcorn gourmet, cocktail e hamburger serviti sui tavolini annessi alle poltrone da cinema: l’idea è quella di proporre accanto a un cinema di qualità un menù curato e drink sfiziosi per tirare fuori di casa il pubblico più pigro o troppo abituato a guardarsi i film a letto o in poltrona. Videology è un ex videonoleggio che pur conservando il noleggio DVD ha aperto uno spazio bar e uno schermo su cui propone film curiosi, serie tv cult, trivia e tanto altro. C’è poi The Syndicated, nel ri-nascente quartiere di Bushwick, cinema e teatro che offre seconde visioni, rassegne e cult movies a un prezzo concorrenziale, accanto a un ricco menù di food & drinks da gustare in sala. Sempre a Brooklyn, molto attesa è l’apertura della filiale newyorchese dell’Alamo Drafthouse Cinema, art cinema di qualità nato qualche anno fa ad Austin, Texas (nuova mecca del cinema indipendente americano), e fra i primi a inventarsi un nuovo modo di fruire il cinema, con il motto “cold beer, hot movies, and delicious snacks and meals”.
Ora, i tempi del Nuovo cinema Paradiso sono lontani, lontanissimi, e i cinéphile trasaliranno all’idea di pollo fritto trangugiato davanti a Mekas e Rossellini, ma in fondo il dopoguerra aveva portato i drive-in, e gli anni Cinquanta la televisione, tutti modi nuovi di vedere il cinema. Adesso sta per arrivare Screening Room, che per 50 dollari o poco più promette di portarci in esclusiva nel salotto di casa, per 24 ore, l’ultima uscita d’autore. Un po’ inaspettatamente, Scorsese e Coppola sottoscrivono l’iniziativa.
Altri tempi. Negli anni del meraviglioso Cinema Paradiso le sale cinematografiche erano popolari, come lo erano le piazze dove i film venivano proiettati le sere d’estate, in Sicilia come anche qui, dove di piazze ce ne sono pochine ma ci sono parchi, cortili, tetti, dove ancora oggi Rooftop Films e altri tenaci sostenitori del cinema visto sul grande schermo organizzano ogni estate proiezioni di film di ogni tipo, nei cinque borough, in collaborazione con il Comune di New York e alcuni fra i principali cinema d’essai della città.
Il cinema è e deve continuare ad essere arte, cultura, deve essere parte e contribuire allo sviluppo della società, e si spera continui ad esserlo per sempre, pur trovando nuove forme, nuovi modi, nuovi spazi. Ma non è solo questo, e piaccia o non piaccia occorre tenerne conto. Come si sarebbe detto ai bei vecchi tempi, “that’s entertainment, darling”.