Per la quarta edizione di In Scena! Italian Theater Festival, arriva a New York Diario di una casalinga serba. Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Mirjana Bobic Mojsilovic, per la regia di Fiona Sansone e con Ksenija Martinovic, lo spettacolo racconta della presa di coscienza di una giovane donna che rivive i propri ricordi, dall’infanzia nella Yugoslavia di Tito alla maturità nella Serbia di Milosevic.
Lo spettacolo, prodotto da CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia con musiche del gruppo Idoli e scenografia di Claudio Mezzelani, è stato selezionato nell’ambito di Dominio Pubblico/All-in 2015, rassegna di teatro under 25 promossa dai teatri Argot Studio e Orologio di Roma.
Con questo spettacolo, Ksenija Martinovic, giovane interprete serba originaria di Belgrado e che da molti anni vive in Italia, ha vinto il Premio Nazionale Giovani Realtà del Teatro 2014, sezione monologhi e quindi ricevuto un sostegno come prima produzione del progetto triennale StartArt assegnato dal CSS a giovani artisti e compagnie emergenti. L’abbiamo intervistata prima del debutto newyorchese.
Con che obiettivo arrivate a NY?
“L’obiettivo principale è sempre lo stesso, trasmettere emozioni al pubblico. Spero che lo spettacolo possa far riflettere lo spettatore sull’oggi, anche se storicamente si tratta di vicende accadute alcuni anni fa: come tutti gli eventi storici, lo spettacolo si riverbera sull’attualità e questa è una delle ragioni per cui ho deciso di metterlo in scena”.
Che cosa potrà vedere il pubblico attraverso il vostro spettacolo?
“Potrà vedere la storia di una donna, Andjelka, che attraversando i ricordi della propria infanzia nella Jugoslavia di Tito e la sua età matura nella Serbia di Milosevic, cerca di affrontare la vita con semplicità, ironia pur nella sua fragilità. Andjelka è una tipica donna serba belgradese che potremmo definire, in una sola parola, sognatrice”.
Come mai avete scelto questo tema?
“Io sono nata a Belgrado nel 1989. Credo che le proprie radici, la terra da dove uno proviene, siano un punto focale per la vita di ognuno, sopratutto se si decide di fare teatro o qualsiasi altra forma d’arte. Questo spettacolo racconta gli ultimi anni della Jugoslavia e il suo sfacelo. Non sono anni che ho vissuto in prima persona essendo di una generazione successiva ai fatti storici accaduti, ma è sicuramente qualcosa che mi porto dietro. È come una valigia invisibile di ricordi mai vissuti, racconti dei miei genitori e nonni. Cosa c’è di più bello se non raccontarli? Questa necessità nasce anche grazie allo stupendo omonimo romanzo della scrittrice serba Mirjana Bobic Mojsilovic che è riuscita, a mio avviso, a dare un’ idea molto precisa di tutto un periodo storico, quello della generazioni dei piccoli pionieri della fine degli anni Sessanta, senza parlare direttamente della politica. Mi è piaciuto il suo modo di raccontare la vita di Andjelka e ho deciso di riadattare il testo e trasformarlo in un monologo teatrale”.
Qual è lo stato del teatro italiano? È difficile oggi fare teatro in Italia? Perché?
“Sì, oggi è difficile fare teatro in Italia, specialmente per i giovani. Sono poche le realtà che riescono a lavorare bene e in questo sono stata molto fortuna in quanto prodotta, con il mio spettacolo, dal CSS Teatro Stabile di Innovazione del Friuli Venezia Giulia. Il CSS è una delle poche realtà teatrali che sta facendo davvero molto per la cultura italiana e l’opportunità che mi è stata data oggi, purtroppo, è rara. Credo che in Italia ci sia una difficoltà generale nel gestire il budget limitato che spesso si ha a disposizione e la cultura attraversa momenti molto difficili”.
Ritieni che il teatro italiano sia esportabile? Quali caratteristiche lo rendono più o meno esportabile?
“L’Italia è un paese di grandi ricchezze e da straniera posso dire che la cultura Italiana mi ha sempre affascinato molto. Per questo motivo ho voluto completare la mia formazione in Italia, prima all’Accademia Silvio d’Amico di Roma e poi all’Accademia Nico Pepe di Udine. La bellezza del teatro italiano è la sua ricchezza di generi e stili, si va dalla commedia dell’arte, patrimonio teatrale italiano, al teatro di ricerca, dal teatro tradizionale fino al teatro di regia”.
Che accoglienza vi aspettate dal pubblico americano e cosa volete lasciare con questo spettacolo alle persone che verranno a seguirlo?
“Spero che il pubblico americano sarà interessato sopratutto all’argomento e alla tematica storica, visto che lo spettacolo riguarda anche L’America. Inoltre parla di due terre, in primo luogo la mia terra nativa ,cioè la Serbia, e in secondo luogo la mia seconda terra, l’Italia, il paese dove lavoro e vivo. Credo che sia un racconto multiculturale che possa raggiungere molti cuori e incuriosire chi sa molto poco di questi paesi. Ma si tratta anche di un racconto universale che può parlare a tutti, grazie ai temi che affronta: l’infanzia, il ricordo, la famiglia, la presenza forte della politica, l’emigrazione, l’amicizia”.
Puio dare ai nostri lettori una ragione per venire a vedere il vostro spettacolo?
“Questo è uno spettacolo sincero, senza filtri, semplice e fruibile, per chi ama storie che hanno la forza di trasmettere un variegato registro di stati d’animo: dall’ironia al dramma, dalla nostalgia alla parodia”.