Il terzo album Paradise è uscito a inizio anno ed è stata una piacevole conferma per chi guarda ancora a New York come crocevia di musicisti decadenti e spiriti punk mai lusingati dalle mode del momento. I Pop. 1280 passeranno dall’Italia a inizio per cinque date molto attese: al Blah Blah di Torino (3 maggio), al Ligera di Milano (4 maggio), al Pn Box di Pordenone (6 maggio), all’Hana-Bi di Marina di Ravenna (7 maggio) e al Centro Avanzi di Verona (8 maggio).
E anche loro guardano ancora a quella New York di inizio anni Ottanta, affascinante per la sua anima artistica malata e poco rassicurante. Il nome del progetto deriva dalla spietata crime novel di Jim Thompson del 1964, dove 1280 è il numero dei residenti nel fantomatico paese di Pottsville dove il protagonista, uno sceriffo, ha il vizietto dell’omicidio. E pop appunto sta per popolazione, non per il genere musicale.
Il progetto muove i suoi primi passi già nel 2008 quando, dopo due anni di soggiorno accademico in Cina, il futuro leader della band, Chris Bug, si trasferisce a New York su invito del vecchio amico Ivan Lip.
Accomunati dalla passione per l’industrial, l’hardcore e la no-wave di tre decenni fa, mettono insieme un duo che cerca subito di farsi strada nella variegata scena di Brooklyn di fine Anni Zero. Il tema dei loro primi lavori è tutto a base di sesso e droga, con storie e racconti più o meno torbidi e autobiografici che si mescolano ai riferimenti letterari più svariati. L’approccio è do it yourself, le registrazioni praticamente casalinghe, ma il duo decide presto di espandersi includendo nella formazione John Skultrane e Andrew Smith (oggi non più parte della band), che fino a quel momento non avevano mai preso in mano uno strumento. Bug canta, Lip suona la chitarra, John sceglie il basso e Andrew va alla batteria.
Il primo album esce, dopo il promettente EP Grid, nel 2012, con un titolo eloquente, The Horror, ed è pubblicato dall’influente label di Brooklyn Sacred Bones Records, che più di ogni altra, è riuscita a tenere in vita (e a diffondere) i progetti di matrice dark, post-punk, psichedelica e noise. Il disco è ispirato al “re dell’horror venereo” David Cronenberg e agli scenari distopici dei suoi capolavori. I primi versi che aprono il disco sono un biglietto da visita altrettanto eloquente: “two dogs fucking” e la proposta musicale attraversa la tradizione noise-rock degli anni Ottanta dei Birthday Party di Nick Cave e dei Suicide con momenti più violenti e infuocati di scuola The Jesus Lizard. Le loro performance da Greenpoint conquistano Brooklyn e New York, nei loro show si respira quell’aria malsana dei maestri del genere. Un ritorno al passato dalle parti di East Village e del Lower East Side degli anni Ottanta. Il seguito, del 2013, ha un titolo altrettanto forte, Imps of Perversion, e procede per gli stessi sentieri tortuosi e oscuri del suo fortunato predecessore. Il suono è più pulito e mette in luce le doti vocali di Bug, ma le chitarre sono altrettanto affilate.
Sembra la transizione più naturale verso sonorità meno punk e più d’autore in piena tradizione industrial che arriva a compimento tre anni dopo con questo Paradise che, a dispetto del titolo, non è abbagliato da luci divine e squarci celesti. Il duo diventa a tutti gli effetti un quartetto con il contributo ai sintetizzatori di Allegra Sauvage, che ci infila il violoncello in due brani. Nella title track sbuca fuori una tromba, suonata dall’incontenibile batterista Andy Chugg, ed emerge sempre il Nick Cave più tossico degli albori tra i punti di riferimento più evidenti. Nei testi affiora invece un revival da nostalgici cyber-punk con delle critiche tutt’altro che velate alla tecnologia e al controllo sempre più ingombrante delle autorità nelle vite dei cittadini, grazie ai nuovi strumenti informatici (non mancano menzioni a Snowden e al caso NSA). La stessa voce di Chris sembra nella canzoni in una continua tensione, minacciata dalle drum-machine e i synth che rischiano di prendere il sopravvento sulle sonorità più vive e umane che un tempo prevalevano nei Pop. 1280.
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