Ci sono persone che si fanno chiamare intellettuali ma che quando le ascolti sai già che parlano per quello che “serve”, a loro stesse o alla “tribù-partito” di appartenenza. Persone che davanti ad un pubblico, soppesano le parole per servire coloro ai quali devono il loro status. E ci sono poi quelle persone che ascoltandole capisci subito che pensano quello che dicono e quando dicono quello che pensano lo fanno perché con le loro parole partecipano e lottano nella evoluzione della società, da intellettuali veri questa volta. Parlano da persone libere e indipendenti, forti solo del potere della loro capacità in quell’arte che li ha fatti arrivare dove sono, ad essere quindi l’oggetto dell’attenzione di chi ascolta.
Uno di questi esempi italiani, piuttosto rari, di intellettuale da ascoltare e riascoltare, è Dacia Maraini, ospite giovedì della Casa Italiana Zerilli Marimò della New York University per la presentazione del suo ultimo romanzo La bambina e il sognatore (Rizzoli 2015).
In un altro articolo da poco apparso su La VOCE avete già letto della presentazione del romanzo a New York, una storia tanto immaginata quanto di attualità, sul rapporto tra un maestro di un paesino e i suoi scolari, tra l’uomo e la sua paternità perduta, paternità vissuta per come dovrebbe essere, con naturale passione e al di fuori delle convenzioni. Un romanzo ancorato all’attualità, ma che nel suo “sognatore” trova sentieri per sentimenti perfino ottimisti proprio dove altri proverebbero solo disperazione e sconforto.
Alla NYU viene chiesto subito a Maraini cosa si prova a scrivere un romanzo pensando come un uomo. Lo spunto la porta a parlare del desiderio della paternità: “L’idea che il desiderio di aver figli sia solo delle donne è una convenzione. Un maestro mi ha raccontato che ogni volta per il ricevimento dei genitori, a parlare con lui venivano solo le madri e mai i padri. Questa è la tradizione, che i bambini piccoli siano di competenza delle madri. Ho parlato con molti giovani uomini e ho trovato invece che il desiderio della paternità è forte e l’ho trovato così poetico. Ricordo simbolicamente la storia di Pinocchio e Geppetto, quel falegname, vecchio, brutto e molto povero, che non ha una moglie ma vuole così tanto un figlio che se lo costruisce. Ed ecco il burattino. E la storia di Pinocchio è la storia di un amore paterno, che ama tantissimo quel burattino da rincorrerlo dappertutto e che alla fine riesce a trasformarlo in un bambino vero. L’immagine quindi di un padre che mai perde l’amore per il figlio. L’uomo può avere questo desiderio paterno forte quanto una madre. Ma la società cerca di allontanare dal padre questo sentimento. Le madri devono curarsi dei figli ma il desiderio dei padri di crescere e dare affetto ai figli perché deve essere nascosto?”
Ed ecco la storia del maestro Nani Sapienza, ma da dove arriva l’ispirazione?

“Ho conosciuto molti maestri. I maestri vengono pagati poco da sempre, ma prima erano almeno importanti in una società, avevano prestigio. Ora hanno perso anche quello…. Dare voce ad un giovane uomo che vuole insegnare ai bambini mi è venuta naturale”.
Che piacere che si prova nell’ascoltare Dacia Maraini alla NYU quando la scrittrice risponde alle domande sul suo libro con la gioia di chi sente vivere quei personaggi immaginati, così credibili anche nella realtà ancora da vivere. Come appunto la storia del maestro Nani Sapienza ne La bambina e il sognatore. Ma ad un certo punto ecco che le parole della scrittrice “Geppetto” nel descrivere la storia immaginata nel romanzo sono entrate in un dialogo con la società italiana che una certa politica cerca di rendere “finzione”. E qui, Maraini, già prolifica autrice di teatro, che come Pirandello crede che è “col teatro che si ha un più immediato confronto sulla realtà”, ecco che riesce a trasformare anche la sua letteratura in “palcoscenico” sulla società italiana.
Ed eccoci quindi alla legislazione sulle unioni civili e soprattutto al vergognoso non consentito passaggio sulle adozioni degli “step child“, ritorsione oscurantista contro le coppie gay, che fa scattare la passione dell’intellettuale Maraini che deve agire con la forza delle parole per suonare l’allarme su quello che in Italia ancora si tenta di fare: fermare la storia.
“La madre che deve dare amore mentre il padre conoscenza. Questa è solo una convenzione. La separazione dei ruoli non è automatica. Ora la società si evolve come anche la storia cambia. Ecco, in Italia sulla discussione sui stepchild adoption, chi si oppone dice di difendere la famiglia naturale. Ma quale? Che significa ‘difendere la famiglia naturale’? Che cosa si intende per famiglia naturale? Quella delle origini? Ma lo sanno che alle origini degli essere umani l’incesto era parte della ‘famiglia naturale? Che la civiltà comincia proprio quando si capisce che anche nella tribù si deve andare oltre dalla cosiddetta famiglia ‘naturale’? Una storica decisione finalmente anche in Italia che cambia la famiglia. L’Italia solo pochi anni fa aveva ancora una legislazione arretrata. C’era il capo famiglia. Si doveva chiedere il permesso al marito se la donna voleva viaggiare.. L’adulterio della donna era condannato. E quindi il delitto d’onore… Tutte cose non così lontane nella storia italiana. Ma la società cambia, e uno non può fermare la storia. Si devono guidare i cambiamenti, non cercare di fermarli. La rappresentazione in questo romanzo di un uomo che desidera un figlio fa parte di questa nuova rappresentazione della società, ed è una buona cosa”.
Che illusione cercare di fermare la storia, ripete Maraini, “cosa impossibile e le grandi tragedie umane, le grandi guerre sono accadute sempre per cercare di fermare la storia. Ma ripeto, il cambiamento si deve cercare di guidarlo, non si può arrestare la storia. Chi ci prova a fermare il cambiamento, assomiglia a chi cerca di restare sempre giovane”. Che pena infatti che fanno coloro che non accettano di invecchiare.
Quando abbiamo chiesto a Maraini, alla più importante scrittrice contemporanea italiana, se pensa che il suo ruolo in un paese dove non si legge come in altri paesi, sia sufficiente a poter partecipare nel dibattito sulla società in trasformazione, e quindi se magari accetterebbe di avere un ruolo attivo in politica se questo le fosse offerto, l’autrice di così tanti romanzi di successo ci ha risposto:
“No, mai. Me lo hanno offerto molte volte di candidarmi come deputata, anche alle europee… Ho sempre rifiutato. Credo che ad ognuno vadano le proprie competenze. Ci vuole una vita per raggiungere la propria competenza, e io penso di avercela fatta con l’uso delle parole e raccontando delle storie. Ma sono d’accordo che gli scrittori devono partecipare al dibattito, non possono isolarsi, ma devono farlo nel proprio campo. Non diventando dei politici, ma cercando col proprio lavoro di scrittore di svegliare su certi temi la coscienza culturale del proprio paese. E come si fa? Mettendo al servizio del dibattito la propria conoscenza delle parole e delle lingua. Lo scrittore non è più intelligente o più impegnato degli altri, ma lo scrittore ha una speciale relazione con la lingua e questa ha un rapporto speciale col pensiero. Quindi lo scrittore si serve delle parole per connettersi meglio con quello che succede nella società. La sua è una particolare conoscenza della lingua. Questa è la sua sola specializzazione. Ma la sua capacità di usare le parole e la lingua è una lotta continua, la lingua non è qualcosa di immobile, la lingua cambia continuamente. La lingua è viva e lo scrittore ogni momento della sua vita sta lottando con la sua lingua. E’ molto complicato questo rapporto perché la lingua cambia sempre. Lo scrittore deve seguire la volgarizzazione della lingua ma allo stesso tempo non può abbandonare la purezza della lingua, non può trascurarla. E’ una lotta difficile, non si può conservare troppo la purezza della lingua perché si rischia di non essere capiti dalla società in trasformazione ma se ci si spinge troppo avanti si rischia di perdere la purezza dell’italiano. E’ una lotta difficilissima ma necessaria, e con questa si sviluppano quelle idee che sono poi utili alla società. Non vedo un altro ruolo per lo scrittore, che non può essere un politico”.