Tra le scrittrici italiane più tradotte al mondo,Dacia Maraini a New York è stata ospite lo scorso 22 febbraio dell’Hunter College, che l’ha vista protagonista dell’evento Why do I write? in conversazione con due giovani ricercatrici che hanno condotto degli studi sulla sua produzione editoriale: da una parte Lisa Sarti, PhD in Letterature Comparate presso la City University of New York e assistente di italiano nel Dipartimento di Lingue Moderne del Borough Manhattan Communiy College; dall’altra Laura Rita Feola, candidata al PhD in Italian Specialization Programme presso il Dipartimento di Lingue Moderne della CUNY e insegnante d’italiano all’Hunter College e alla Colombo Foundation.
Dacia Maraini ha scritto più di 40 libri, esplorando un ampio ventaglio di generi, tra cui romanzi, racconti brevi, sceneggiature teatrali, poesie, saggi giornalistici, autobiografie e libri per ragazzi, che le sono valsi molteplici premi e riconoscimenti, oltre a cinque lauree honoris causa. Nelle sue opere è evidente un certo legame con i personaggi femminili e agli abusi perpetrati nei loro confronti, ma rivolge la sua attenzione anche ai grandi problemi socio-politici e ai problemi dell’infanzia. Nel suo ultimo lavoro, Il sognatore e la bambina (pubblicato a fine 2015), la Maraini ha scelto per la prima volta un protagonista maschile perché colpita dalla straordinarietà di alcuni insegnanti durante una delle sue visite nelle scuole italiane: un maestro di scuola alla disperata ricerca di una bambina scomparsa, in una vicenda che trae ispirazione anche da terribili fatti di cronaca.
Why do I write?, il titolo scelto per il dibattito, sembra perfetto per simboleggiare la sua lunga carriera come scrittrice, intellettuale e critica, nonché il suo profondo coinvolgimento e la sua incredibile passione per questo mestiere. Alla domanda con cui Sarti ha aperto il dibattito riprendendo il titolo dell’evento (“Dacia, perché scrivi?”), l’autrice ha risposto: “Scrivo semplicemente perché mi piace. È tutta la mia vita e non potrei immaginare di fare nient’altro. Da bambina vivevo in una famiglia molto povera, dove tutti soffrivamo la fame. Tuttavia, i libri erano le uniche cose che in casa non mancavano: molti appartenevano a mia nonna, scrittrice anche lei, altri a mio padre, un antropologo autore di numerosi scritti sul Tibet e sull’Estremo Oriente. Ecco, credo che la tradizione di leggere e scrivere tramandatami dalla mia famiglia, abbia avuto un’influenza rilevante sul mio percorso professionale”.
Per la Maraini, il fascino della scrittura risiede in una continua ricerca del mistero dello scorrere del tempo, in antitesi al teatro, che con il suo valore altamente simbolico, ne rappresenta la staticità. Per uno scrittore, la difficoltà consiste nel mantenere sempre vivo il legame tra la freschezza delle sue idee e quella sorta di routine imposta dalla sua professione. Un altro problema con cui uno scrittore si rapporta quotidianamente riguarda l’evoluzione linguistica, con cui egli si trova a combattere per instaurare una relazione dialettica con la realtà che cambia. “Perché la lingua è viva e non resta chiusa in un vocabolario”.
Impossibile non cogliere delle forti analogie tra la scrittrice e Luigi Pirandello: dalla sua visione della funzione politica del teatro, alla routine quotidiana (anche lei preferisce lavorare a mente fresca durante la mattina e legge il quotidiano nel pomeriggio), alla modalità di scelta dei personaggi a cui riesce a dare vita nelle sue opere. E a tale proposito, l’autrice ha dichiarato: “Sono completamente d’accordo con quanto diceva Pirandello. Anche i personaggi dei miei libri vengono a bussare alla mia porta: io offro loro un caffè e loro in cambio mi raccontano qualcosa, ma molto spesso vanno via immediatamente. Quando però, dopo il caffè e qualche biscotto, decidono di rimanere a cena, poi a dormire e per la colazione il giorno dopo, capisco che quello è il momento giusto per scrivere una storia, perché sono rimasti impressi nella mia immaginazione”. Nel caso di Marianna Ucrìa, ad esempio, la Maraini ha raccontato di essere entrata in contatto per la prima volta con il personaggio durante una visita in Sicilia e di averlo visto ritratto in un dipinto, contraddistinto da un aspetto elegante e da un’espressione molto triste. Nell’opera, la giovane Marianna era intenta a scrivere una lettera e, poiché sordomuta, carta e penna erano gli strumenti di cui si serviva per comunicare ai familiari. “Tornando a Roma – ha raccontato la Maraini – nonostante non stessi più pensando a ciò che avevo visto, sentii di essere seguita da quel personaggio. Lo vedevo dietro a una finestra, dietro a una porta, chiedendomi continuamente di farlo entrare. Non conoscevo molto della Sicilia del XVIII secolo, ma Marianna insistette così tanto che gliela diedi vinta e iniziai a scrivere la sua storia. Lo scrittore spesso è convinto di poter manovrare il personaggio a suo piacimento, ma ho imparato che è lui a doversi fidare e lasciarsi guidare dal personaggio, perché conosce molto più dell’autore e bisogna saperlo ascoltare”.
Nel corso del dibattito al quale ha partecipato Dacia Maraini a New York, Laura Rita Feola si è quindi soffermata sulle figure ricorrenti di molte opere dell’autrice: scrittrici donne, mistiche per la precisione. A partire dal XIII secolo, molte di loro scrivevano nei conventi lettere rivolte a Dio, con la convinzione di relazionarsi con Lui senza passare per la Chiesa. A un certo punto, però, iniziarono a essere guardate con sospetto, a essere considerate eretiche, proprio perché “la parola è potere, e una volta le donne non erano autorizzate a usarla”. Pur continuando a non prenderle sul serio, la comunità ecclesiastica dovette presto fare i conti con la loro popolarità. Alcune di queste lettere sono state pubblicate di recente, ma esistono ancora tantissimi scritti completamente sconosciuti e che dovrebbero entrare di diritto, secondo la Maraini, a far parte della letteratura italiana.
In un’intervista rilasciata a La Voce di New York nel marzo 2014, Dacia Maraini si riteneva ottimista e fiduciosa in merito al governo Renzi e agli importanti cambiamenti. Per quanto riguarda la promozione attuale della cultura italiana (in patria e all’estero), ha dichiarato: “Il vero problema è che l’Italia intera è un po’ indietro rispetto alla questione della valorizzazione del nostro patrimonio artistico, a causa soprattutto della chiusura di molti istituti. Franceschini, tuttavia, sta facendo un buon lavoro e mi sembra molto attento alla questione”.
L’evento è stato organizzato dal John D. Calandra Italian American Institute in collaborazione con la School of Arts and Sciences, Hunter College, il Borough of Manhattan Community College e l’Italian Cultural Institute of New York.
Dacia Maraini sarà alla Casa Italiana Zerilli-Marimò giovedì 25 febbraio alle 18.30, in conversazione con Sole Anatrone (UC Berkeley), Michelangelo La Luna (University of Rhode Island) e Rebecca Falkoff (NYU).