La competizione sportiva qualche volta trascende il singolo evento per diventare altro. Qualcosa di molto più importante. Negli anni ’30 gli Stati Uniti, colpiti nel cuore dell’economia della Grande Depressione del 1929, erano un Paese attraversato da un odio razziale presente come non mai tra la gente comune. In quegli stessi anni, l’ormai politicamente consolidata dittatura nazista in Germania aveva messo in atto la sua politica di purificazione della razza contro ebrei e altre etnie ritenute “inferiori”. Nel 1936, alle Olimpiadi di Berlino, nel cuore della nazione hitleriana, un atleta afroamericano, Jesse Owens, vinse per la prima volta quattro medaglie d’oro in una sola edizione dei giochi, compiendo quella che a nostro modesto parere è l’impresa dal maggiore valore simbolico del XX secolo.
Ci sono voluti ben ottant’anni perché le gesta di Owens arrivassero sul grande schermo con Race di Stephen Hopkins. Un lungometraggio a cui, lo ammettiamo fin dal principio, perdoniamo forse anche più del consentito la retorica contenuta nel mettere in scena tale episodio, fondamentale per la storia contemporanea. Glielo perdoniamo perché, insieme a un troppo evidente buonismo populista, al tempo stesso ha però il coraggio di mostrare come pure nel proprio paese d’origine Jesse Owens fosse vittima di discriminazioni e ingiustizie razziali.
Seguendo molto da vicino le orme estetiche del successo di 42 di Brian Helgeland (altro biopic di un eroe sportivo afroamericano quale fu Jackie Robinson), Stephen Hopkins costruisce un film appositamente confezionato per far godere il pubblico del quadro generale, smussando magari gli angoli più spigolosi dello stesso. Si ha costantemente la sensazione che vedendo Race alcuni discorsi ideologici e civili avrebbero potuto essere rappresentati con maggiore incisività. Questo comunque non evita al film di colpire nel segno, e in più di un’occasione. Anche se rappresentate con pochissime immagini e un montaggio che ne nasconde il gesto atletico più che esaltarlo, le gare che permisero a Owens di arrivare alle medaglie d’oro sono emozionanti, così come lo è vedere un cast di supporto di prim’ordine darsi battaglia a colpi di bravura per primeggiare. Jason Sudeikis, sempre visto in ruoli squisitamente comici, è efficacissimo nei panni dell’allenatore “bianco” di Owens. E vedere due mostri sacri come William Hurt e Jeremy Irons duettare da fiorettisti della recitazione quali sono, anche se soltanto in un paio di scene, non può non essere emozionante per chiunque ami il cinema.
Non aspettatevi un film di vera e propria denuncia o una ricostruzione storica che punti al verismo. Andate a vedere Race perché racconta comunque la storia di uno degli eroi veri del nostro tempo, per ciò che ha saputo fare e soprattutto per ciò che ha rappresentato la sua impresa.
Uscito il 18 febbraio nelle sale americane, Race arriverà in Italia il prossimo 31 marzo.
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