Tutto cominciò una mattina di marzo dei primi anni ‘80. I raggi del sole che entravano dalle vecchie veneziane color verde acqua facevano luccicare qua e là la tastiera dell’Olimpia. Il giornale era già in rotativa. Vittorio, stravaccato sullo schienale della sedia, biro tra le mani, studiava le corse della giornata. A mezzogiorno – quello era pressappoco l’orario – nei giornali del pomeriggio si tira un sospiro di sollievo dopo la levataccia e la mattinata d’intenso lavoro.
Ferdinando era seduto proprio di fronte Vittorio. Tra le mani, teneva un rapporto zeppo di dati sulla mietitrebbiatura del grano in Sicilia. ‘Piombo’ allo stato puro. L’indomani avrebbe dovuto consegnare novanta righe più un appoggio di trenta righe su quella cosa lì.
– “Da spararsi nelle palle”, pensava tra sé e sé.
Con la scusa che all’università era finito ad Agraria, tutte le cose di agricoltura che piovevano nella redazione del supplemento economico gli venivano regolarmente appaltate. Qualche volta erano cose piacevoli: visite nelle aziende, un pezzo di pecorino semi-stagionato da gustare e magari da portare a casa e qualche bicchiere di buon vino. Tutto sommato, pezzi piacevoli da vivere e da scrivere. Altre volte era la noia mortale. Tipo il rapporto che aveva tra le mani.
In quel momento, l’unica cosa consolante erano le note di It’s Easy to Remember dell’amato John Coltrane. Vittorio gli consentiva di ascoltare un po’ di musica, a basso volume, dopo la chiusura del giornale.
– “L’importante è che quando lavoriamo non rompi i coglioni con le canzoni”, gli aveva detto la prima volta che Ferdinando si era presentato in redazione con un piccolo apparecchio per ascoltare musica. Allora non c’erano i cd e la musica si ascoltava con le cassette. Così, a giornale chiuso in tipografia, Ferdinando, ogni tanto, ascoltava un po’ di musica.
Il telefono di Vittorio, quella mattina, squillò due volte. E lui per due volte si era fatto negare.
– “Sabato, digli che non ci sono”, aveva detto alla prima telefonata.
Sabato era il cognome dell’addetto alla portineria che al giornale, dalle dodici in poi, fungeva pure da telefonista. Alla seconda telefonata Vittorio si era incazzato di brutto:
– “Ti ho detto di dirgli che non ci sono! Mi hanno rapito. Mi hanno ammazzato. Inventa quello che vuoi ma non me li passare più. Cazzo!”.
– “ ‘Sti napoletani mi tormentano”, aveva detto guardando Ferdinando.
Vittorio, da poco più di un anno, era diventato il corrispondente di ‘Lettera Sud’, il supplemento economico del Mattino di Napoli. Gli inviava uno o due pezzi ogni settimana. Banche, imprese e altre storie che venivano fuori dalla sbrindellata economia siciliana. Il credito era l’argomento che i napoletani prediligevano.
Nella redazione del giornale del pomeriggio le corrispondenze erano molto ambite. Si sbancavano duecento, trecento e, qualche volta, anche quattrocento mila lire al mese. Non male, in quegli anni. Soprattutto per chi, come Ferdinando, lavorava da biondino a trecento mila lire al mese o giù di lì. Per non parlare di quei giornalisti che, a furia di collaborare, riuscivano ad acciuffare un contratto di collaboratore fisso: l’articolo due e poi, magari, l’assunzione piena con l’articolo uno. In questo caso, o andavano a lavorare nella sede centrale del giornale che li aveva assunti – in genere a Roma o a Milano – o restavano in Sicilia come corrispondenti.
Anche Ferdinando collaborava con un gruppo editoriale nazionale. Scriveva di agricoltura per una catena di periodici bolognesi. In Emilia Romagna l’agricoltura è una cosa importante. Ci credono. Si tengono informati. Anche su quello che avviene nel resto d’Italia e nel mondo. Gente seria.
Ferdinando aveva conosciuto un redattore del settimanale di punta del gruppo. Si erano ritrovati ad un convegno a Pantelleria. Era stato lo stesso redattore a chiedergli di collaborare. Così aveva cominciato a scrivere per i bolognesi.
Questa collaborazione lo divertiva. Lo mandavano spesso in giro per la Sicilia. E qualche volta anche in Calabria. In tre anni aveva imparato un sacco di cose. Più di quante gliene avevano insegnato all’università. Tra banchi e libri si fa teoria. Quando girava per l’Isola parlando con gli agricoltori era a contatto con la realtà. Un’altra storia.
Scriveva di tutto: politica agricola, viticoltura, olivicoltura, serricoltura, grano, zootecnia, serre, estimo rurale e persino di patologia vegetale. Girava la Sicilia in lungo e in largo. In fondo, se conosceva un po’ la sua terra lo doveva ai bolognesi che lo inviavano di qua e di là, ora tra le serre di Vittoria, ora tra le arance rosse di Lentini, Carlentini e Francofonte.
Quella mattina, seduto dietro la scrivania, con davanti Vittorio intento a studiare le prestazioni dei cavalli di galoppo, a tutto pensava tranne che a una nuova collaborazione.
Ci stava pensando Vittorio, invece. Alzando lo sguardo, Ferdinando si accorse che il suo amico lo stava fissando.
– “Lo sai che mi è venuta un’idea?”, gli disse Vittorio.
– “Che idea?”.
– “Ora vedi”.
Ferdinando non ebbe nemmeno il tempo di capire quello che stava succedendo. Vittorio afferrò il telefono e compose il numero della portineria.
– “Sabato, chiamami Napoli”.
Dalla faccia di Vittorio capì che Sabato doveva essere un po’ contrariato. Ma Vittorio fu inesorabile:
– “Lo so, per due volte hai cercato di passarmeli e ho rifiutato. Ma ora ci devo parlare. Chiamali!”.
Dall’altra parte del telefono, a giudicare dal sorriso divertito di Vittorio, Sabato doveva essere su di giri.
– “Va bene, ti capisco”, disse Vittorio. “Hai inventato una scusa e ora ti sembra brutto rimangiartela. Ma stai tranquillo: è l’ultima volta che mi passi Napoli. Ho trovato il modo di sbarazzarmene. Per sempre”.
Vittorio posò il ricevitore. Ferdinando lo fissava perplesso. Aveva cominciato a intuire qualcosa. Ma non parlava.
Il silenzio venne rotto dallo squillo del telefono. Vittorio, con un gesto un po’ ieratico, alzò in alto il ricevitore. Si sentì la voce di Sabato che diceva:
– “Napoli in linea…”.
– “Federico, come stai?”, chiese Vittorio. “E’ un po’ che non ci si sente. Sono stato incasinato da morire. Ma ora è tutto risolto”.
Qualche secondo di pausa. Poi Vittorio riprese:
– “Tranquillo, Federico. Domani sera avrai il pezzo più l’appoggio. Ma c’è una novità. Non sarò io a scriverlo. Da oggi il mio posto è di un collega ed amico”.
Seguì una pausa. Vittorio ascoltava e con i gesti della mano cercava di fare capire a Ferdinando che era tutto a posto.
– “Perfetto. Ora te lo passo, così cominciate a conoscervi”, disse Vittorio.
Ferdinando era ammutolito. Il suo amico emise ancora un saluto e poi schiacciò il pulsante che consentiva di passare la telefonata. Il telefono che si trovava accanto a Ferdinando cominciò a squillare.
– “Dai, prendi il telefono e organizzati”, gli disse Vittorio. “Da oggi sei il nuovo corrispondente di ‘Lettera Sud’. Sei contento?”.
Il telefono squillò per la terza volta. Ferdinando, che fino a quel momento aveva assistito alla scena senza aprire bocca, alzo il ricevitore. Ebbe appena il tempo di dire il classico “Pronto” che una voce calda, molto meridionale lo investì:
– “Ciao, sono Federico. Non abbiamo molto tempo. Il servizio di Vittorio doveva essere qui oggi. Ma ce l’ha combinata. E ha comunicato pure la novità. Oggi è giovedì. In via del tutto eccezionale manderai i due pezzi domani entro le sette del pomeriggio. Non ritardare perché noi alle otto dobbiamo andare via. L’argomento lo conosci. Centoventi righe più un appoggio di quarantacinque. Ora ti devo salutare. Ci sentiamo domani nel tardo pomeriggio dopo che avrai inviato i pezzi. Giusto per conoscerci un po’ meglio. Ciao”.
Più che un dialogo, era stato un monologo. Ovviamente, Ferdinando non conosceva nemmeno l’argomento di cui si sarebbe dovuto occupare. Vittorio l’aveva messo alla prova. Se avesse rivelato al redattore del giornale napoletano che non sapeva nulla del tema che avrebbe dovuto affrontare, beh, l’inizio di questa nuova collaborazione sarebbe stato disastroso. E avrebbe messo in cattiva luce Vittorio con Napoli. Finita la conversazione alzò lo sguardo verso il suo amico. Contemporaneamente entrò nella stanza il ragazzo del bar con due caffè.
– “Pago io, dobbiamo festeggiare”, riprese Ferdinando con aria un po’ ironica. Tirò fuori i soldi e disse al ragazzo di tenere il resto. Mise nella tazzina il solito mezzo cucchiaino di zucchero e sorseggiò il caffè. Poi, meccanicamente, si accese una Merit. Vittorio, che in redazione era forse l’unico a non fumare, si alzò di scatto dirigendosi verso la finestra. Tirò su la veneziana e aprì tutt’e due le ante.
– “Ma non vi fanno schifo ‘ste sigarette?”, sbraitò. “Se devi baciare una donna che fai? Li aliti il fumo in bocca?”.
– “Guarda che fumano pure le donne”, riprese Ferdinando. “Ad ogni modo, dimmi almeno di cosa devo scrivere. Ed è chiaro che sarai tu a guardare i primi pezzi, qualunque sia l’argomento”.
– “L’argomento è semplice: banche. Fusioni, incorporazioni e bordelli vari. Per lo più vogliono questo. Quanto all’argomento di domani, devi raccontare quello che sta succedendo alla banca di Canicattì. Chiama Renato. Il numero dovresti averlo. Ti dirà qualcosa. Magari anche con chi devi approfondire alcuni passaggi. Chiamalo subito. Non hai molto tempo”.
Ferdinando avrebbe voluto rispondere che non si era mai occupato di banche. Ma non lo fece. Il primo insegnamento che Vittorio gli aveva impartito era il seguente: quando ti affidano un servizio mai dire: “Non conosco l’argomento”. Nel giornale dove collaborava da qualche anno la filosofia da seguire era un’altra: prendere l’incarico e trovare il modo di scrivere il pezzo. Al meglio. E nel più breve tempo possibile. Punto. Enzo, che insieme con Vittorio si occupava del supplemento economico, era stato categorico:
– “Se nel giro di qualche giorno non sai scrivere sull’argomento che ti hanno rifilato cambia mestiere. Vai a fare l’impiegato del catasto”.
E siccome Ferdinando voleva fare il giornalista, aveva imparato ad accettare qualunque tipo di servizio gli veniva commissionato. Quanto al nuovo incarico, Vittorio aveva ragione: non aveva molto tempo. Alzò il telefono e compose il numero di Renato. Era il dirigente di un ufficio studi di un’importante banca.
– “Ci vediamo alle diciassette nel mio ufficio”, gli disse Renato.
Il primo appuntamento gli creava un bel casino. Ferdinando collaborava al supplemento economico del giornale del pomeriggio. Solo che ogni tanto il responsabile della pagina politica gli commissionava qualche pezzo. Proprio quel pomeriggio, e proprio alle diciassette, avrebbe dovuto seguire una seduta del parlamento dell’Isola. Non a caso, quella mattina, si era presentato in redazione con la giacca e la cravatta in tasca. Ferdinando odiava la cravatta. La indossava solo quando si recava a Sala d’Ercole, la sede del parlamento dell’Isola. Lì gli uomini entrano solo se in cravatta. L’eleganza per editto. Una strazio.
Vittorio, vedendolo pensieroso, gli chiese.
– “A che pensi?”.
– “Al fatto che oggi alle diciassette dovrò trovarmi in due posti: da Renato e all’Ars”.
– “Vero, oggi hai la giacca”, riprese l’amico.
Ormai in redazione era noto che, quando si presentava in giacca, Ferdinando si sarebbe recato a seguire i lavori del parlamento siciliano, l'Assemblea regionale siciliana, detta anche Ars. In redazione, con l’esclusione delle donne che si vestivano come volevano, Ferdinando catalogava due tipi di giornalisti: quelli da giacca e quelli da maglione. Ferdinando era rigorosamente da maglione. I giornalisti più anziani, e anche i giovani che se la tiravano un po’, erano da giacca e cravatta. I suoi due compagni di stanza – Vittorio e Enzo – erano da maglione pure loro. Anche se ogni tanto uno dei due spuntava in giacca, magari con il cappotto se si era in inverno. E in quei momenti i due gli sembravano diversi.
Tra una riflessione e l’altra su giacche e maglioni, Ferdinando, come gli capitava spesso, si era estraniato. Fu l’amico a riportarlo al presente.
– “Via, non ti preoccupare, in qualche modo farai”, gli disse Vittorio.
– “Già, in qualche modo farò”.
Fine prima puntata (continua)
Foto tratta da wikipedia