Hanno conservato il loro segreto per circa tre secoli, custodite nella Chiesa Madre. Ora, le mummie di Savoca – un piccolo e verdeggiante centro in provincia di Messina – sono pronte a raccontare la loro storia, grazie agli studi diretti dall’antropologo Dario Piombino-Mascali (messinese, specialista in antropologia biologica e forense, è ricercatore in visita all'Università di Vilnius e ricercatore associato dei Reiss-Engelhorn Museen di Mannheim) con la collaborazione di National Geographic e della Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Messina.

Dario Piombino Mascali
La cripta, un ambiente sotterraneo della chiesa dei Cappuccini, contiene 17 mummie vestite, vissute tra il XVIII e il XIX secolo: si tratta di uomini di età matura (di molti dei quali non è stato possibile risalire all’identità) fatta eccezione per due soggetti giovani.
I risultati dello studio, iniziato nel luglio 2008 grazie all'impulso dell'etnologo Sergio Todesco, sono pubblicati su una prestigiosa rivista internazionale di anatomia e rivelano con straordinaria precisione non soltanto i riti di preparazione post-mortem, ma anche l’estrazione sociale dei defunti e le patologie da cui in vita erano afflitti, quindi anche lo stile di vita.
«Le mummie custodite in questa cripta sono di persone di rango elevato – dice Dario Piombino-Mascali – non soltanto religiosi, ma anche aristocratici e dignitari, le cui famiglie potevano affrontare le spese relative al trattamento e alla conservazione in un luogo ambito. In questo senso possiamo dire che, come accade in molti luoghi della Sicilia, la mummificazione era segno di appartenenza a una élite».
Che cosa hanno rivelato gli esami paleoradiologici? L’età di morte di molti soggetti era, come si è detto, matura, il che porta a credere che le aspettative di vita, nel luogo e nel periodo esaminati, fossero, per le classi più agiate, piuttosto alte. Così come alto era il tenore di vita: le patologie rilevate nel corso dello studio sono gotta e DISH, malattie dovute a una dieta molto ricca.
«In particolare – spiega ancora l’antropologo – la gotta è una patologia di disordine del metabolismo che fa aumentare l’acido urico nel sangue, causando lesioni ossee. Appare raramente prima dei 40 anni. Il termine deriva dal latino gutta: nel Medioevo si credeva, infatti, che la malattia fosse causata dallo scorrere di uno dei quattro umori del corpo nelle giunture.
"La gotta era detta anche “malattia dei re” perché causata da dieta ipercalorica, ricca di proteine animali e alcol che anche prelati e dignitari di Savoca dovevano consumare in quantità, insieme agli zuccheri, il che spiega le infezioni dentali e la perdita dei denti. Anche la DISH è una patologia che si ricollega allo status e al tenore di vita elevato, perché determina la crescita a dismisura di ossificazioni della colonna e propaggini extraspinali, a causa di un’alimentazione particolarmente ricca».
In vita, gli ospiti della cripta di Savoca soffrivano anche di artropatie.

mummie di Savoca
«Un altro indizio dell’età avanzata dei corpi – conclude lo studioso – è la presenza di osteoartrosi, cioè la degenerazione della cartilagine nelle giunture».
L’alluce valgo riscontrato su altre mummie indica invece una moda del tempo: l’uso prolungato di scarpe a punta.
Quello che emrge d questo studio è che Savoca. un piccolo centro in provincia di Messina, un tempo ebbe un passato glorioso.
«Il territorio di Savoca era infatti molto più grande di quello che noi oggi conosciamo Savoca, sede dell'Archimandrita già dal XV secolo – dice Cettina Pizzolo che ha seguito tutte le fasi dello studio da vicesindaco e assessore alla cultura, cariche che ha ricoperto fino al 2014 – l'Archimandrita aveva giurisdizione quasi episcopale “in spiritualibus”: poteva esercitare ogni atto spirituale eccetto il conferimento degli ordini sacri e aveva anche potere temporale nella giurisdizione civile e criminale».
Nel 1985, un atto di vandalismo ha determinato la chiusura del sito per circa 10 anni: «Molte delle mummie esposte nella cripta sono state oggetto di un grave atto teppistico – racconta Pizzolo – uno squilibrato, mai riconosciuto, è entrato nella cripta e ha imbrattato le mummie con della vernice verde. Pochissime salme sono state risparmiate ma oggi, dopo 30 anni, è stato finalmente concluso l'intervento conservativo delle mummie e del sito. Dopo il restauro una decina sono state ricollocate in casse di compensato con la parte a vista chiusa da una lastra di plexiglas ed esposte l'una sopra l'altra a gruppi di tre. Altre sono riposte nelle originarie casse funebri in legno, alcune con finestre di vetro da cui si osservano i corpi. Ora – conclude l’ex assessore – possiamo finalmente dire di avere riconquistato un pezzo della nostra identità e vorremmo condividerlo».
Foto: Filippo Fior