Caro direttore,
Lunedì 19 gennaio ad Eboli si è svolta la presentazione della III edizione del Concorso Nazionale Artistico – Letterario dedicato allo scrittore e pittore Carlo Levi, l’autore di “Cristo si è fermato ad Eboli”. La giuria sarà presieduta dal noto giornalista e scrittore Pino Aprile. Ma io mi chiedo: cosa c’entra Pino Aprile con Carlo Levi? Perché Pino Aprile è un sudista mentre Carlo Levi era un meridionalista. I due termini non sono affatto sinonimi. Anzi, indicano due predisposizioni mentali del tutto opposte.
Il meridionalismo storico (quello di Salvemini, Dorso, Rossi-Doria…) non ha mai messo in discussione l’unità di Italia e ha sempre rifiutato i toni apocalittici, perché intimamente reazionari. Ha sempre pensato che l’analisi dei mali del Sud dovesse essere inquadrata in un progetto critico razionale, e che la soluzione dei problemi potesse venire solo all’interno di una cornice democratica e nazionale. Salvemini era sprezzante non solo contro gli artefici – a vario titolo – della disunità d’Italia, ma soprattutto contro i Cocò del Mezzogiorno, emblema di quella piccola borghesia incolta, parassitaria, immobile, avvezza al “particolare”.
Il sudismo non ha niente a che fare con tutto questo. Non è altro che la sempiterna ripetizione dell’elogio del buon tempo andato. Il credere che il Regno di Napoli fosse il migliore dei regni possibili, che 150 anni di Unità sono un cumulo di violenza e rapina ai danni di una società idilliaca, priva di crepe.
Di contro c’è un’altra variante del sudismo: l’interpretare il Sud come inferno irredimibile. Una terra lazzarona, dove le anime belle muoiono o vengono uccise, o non riescono a fare un bel niente. Una terra amara che impone sempre e comunque un aut aut: rimanere e perire; o andarsene per sempre. Ma forse il principale errore di Pino Aprile è quello di supporre che tra pensiero neoborbonico e meridionalismo (il meridionalismo di Fortunato e Nitti, di Salvemini e Fiore, di Dorso e di Gramsci) non ci sia alcuna distinzione. Che si sia in presenza di un tutt’uno scagliato contro l’Unità d’Italia. Purtroppo in questo errore di prospettiva, e di riconsiderazione di quella che è stata una delle parti migliori del pensiero politico italiano, Aprile non è solo. Salvemini, ad esempio, ha analizzato a fondo la condizione dei contadini meridionali, gli squilibri tra Nord e Sud, e gli errori (anche orrori) dello Stato Unitario. Ma il suo meridionalismo non è mai stato separatista, anzi era l’elaborazione di una questione nazionale. Le due grandi correnti del meridionalismo (quella democratico-radicale e azionista, e quella marxista e gramsciana) vengono dal Risorgimento, dai pensieri di Pisacane e di Cattaneo, dai proclami della Repubblica Romana, non da Franceschiello e la sua corte. Avrebbero voluto “più Risorgimento”, non la sua dissoluzione. Quando Carlo Levi, nel Cristo si è fermato a Eboli, scopre il brigantaggio e il mito ancora fortissimo dei briganti, non riconduce questa scoperta nell’alveo del separatismo neosudista, ma la reinterpreta all’interno di una riflessione sul ruolo dello Stato, e sul suo rapporto con le autonomie locali.
Franco Pelella, Pagani (SA)