“Chi sono i riservisti israeliani, qual è il loro ruolo e perché ci sono anche degli italiani”: è il titolo di un articolo sul Corriere della Sera. “Decine di cittadini stranieri sono stati uccisi, feriti o presi in ostaggio durante l’attacco a sorpresa contro Israele”, racconta una agenzia di stampa.
“Purtroppo, ora sappiamo che almeno undici cittadini americani sono tra le persone uccise”, ha ammesso il presidente Usa Joe Biden in una nota. E ieri le famiglie di molti cittadini statunitensi scomparsi e presunti rapiti nella violenta incursione di Hamas in Israele hanno sollecitato Biden e il segretario di Stato Antony Blinken ad assumere un ruolo attivo negli sforzi per restituire i loro cari. “È tua responsabilità riportare gli ostaggi a casa, non ci aspettiamo niente di meno”, le parole di Nahar Neta, che con altri parenti di cittadini americani parlava in un albergo di Tel Aviv.
Per la legge americana, l’Fbi sarà probabilmente chiamata a indagare sulle circostanze dei decessi e cercare di individuare i responsabili che teoricamente devono rispondere anche alla giustizia statunitense.
Le autorità israeliane, nonostante le incertezze di queste ore, tra guerra in corso, la mobilitazione di 300 mila riservisti e l’intero territorio minacciato – talvolta colpito – dai missili di Hamas e dei suoi alleati, sono riuscite a fornire qualche dato riguardo morti, feriti e scomparsi molti dei quali avevano la doppia cittadinanza. Talvolta, in tasca, anche tre o quattro passaporti. Perché tanti?
Israele nasce paese di immigranti. Ebrei venuti da mezzo mondo. Sopravvissuti all’Olocausto, quasi tutti askenaziti. Sefarditi, gli ebrei che i cattolici cacciarono dalla Spagna insieme ai musulmani negli anni in cui Cristoforo Colombo scoprì il continente nordamericano e che era stati accolti nelle regioni dell’impero Ottomano. Ebrei orientali, provenienti dai paesi arabi come l’Iraq, la Siria, l’Egitto. E dall’Iran.

Il quotidiano Haaretz raccontava ieri come tra la folla di centinaia di persone, al funerale di Aryeh Ziering, uno dei 124 soldati israeliani uccisi nell’attacco a sorpresa di Hamas sabato, si sentiva parlare inglese con la stessa frequenza dell’ebraico. La sua famiglia faceva parte della fitta rete di immigrati provenienti da paesi di lingua inglese. I genitori di Ziering, Mark e Debbie, sono cresciuti a New Rochelle, New York, e Bangor, nel Maine, prima di trasferirsi in Israele. Suo nonno era un pilastro della comunità ebraica ed ex senatore.
Il giorno prima, nel cimitero militare della vicina città di Netanya, notava il quotidiano di Tel Aviv, è stato sepolto il maggiore Amir Skoury, 31 anni, genero di Elie e Hindy Lederman, un’altra coppia della congregazione di Ohel Ari. Elie Lederman, come sua moglie, immigrò in Israele da Melbourne, Australia, è il presidente di una residenza costruita in memoria di Benjy Hillman, un immigrato britannico e comandante di un’unità di ricognizione d’élite, caduto nella seconda guerra del Libano nel 2006.
La comunità italiana – due persone sarebbero scomparse – conta circa undicimila persone. Quasi tutte abitano in Israele ma molti ebrei italiani fanno avanti e indietro con l’Italia. Hanno la loro residenza in Italia ma studiano in Israele dove spesso hanno fatto il servizio militare. Ed è così anche per numerosi appartenenti alla vasta comunità ebraica francese.
Quando l’altro giorno le autorità israeliane hanno fornito un elenco – probabilmente provvisorio – delle vittime e degli scomparsi, hanno indicato i loro paesi d’origine ma non hanno specificato se si trattasse di ebrei che erano immigrati o turisti o stranieri con permessi di lavoro.
Dodici lavoratori tailandesi – sicuramente non ebrei – sono stati uccisi, otto feriti e 11 fatti prigionieri, ha spiegato il portavoce del ministero degli Esteri Kanchana Patarachoke. Sono circa 5.000 i lavoratori tailandesi nelle aree colpite dai combattimenti e che sono stati trasferiti in luoghi sicuri. Probabilmente erano operai anche i dieci cittadini del Nepal uccisi nel Kibbutz Alumim, uno dei focolai dell’assalto di Hamas. È quasi certo, invece, che i sette morti e quindici argentini dispersi fossero ebrei con doppio passaporto.
Negli ultimi anni è aumentata, tra i cittadini israeliani, la caccia a un secondo o terzo passaporto. Il numero maggiore di richieste è arrivato ai consolati di Francia, Paesi Bassi, Romania, Portogallo, Spagna, Germania, Italia e Paesi Baltici. Con un passaporto europeo, infatti, è possibile per un israeliano spostarsi a piacimento nel nostro continente e lavorare dove vuole. Le motivazioni? Spesso sono economiche. Ma nell’ultimo anno molti giovani e non solo, hanno visto in grave pericolo la democrazia israeliana con lo spostamento verso l’estrema destra del governo guidato da Benjamin Netanyahu.