Fine della prima guerra mondiale, le donne che hanno lavorato nelle fabbriche e nelle città tornano a casa a occuparsi di giardinaggio, faccende e bambini. In un paesello dell’Inghilterra, una signorina di mezza età, succube del padre autoritario, comincia a ricevere lettere anonime cariche di insulti volgari. I sospetti cadono sulla vicina, una giovane irlandese di liberi costumi. Ma la vicenda monta, le lettere diventano un fiume in piena, straripano nel paesino, l’outsider irlandese finisce in tribunale, una giovane poliziotta di origine indiana (Anjana Vasan) indaga nonostante il divieto dei superiori, e si crea un’alleanza fra donne per scoprire la verità. È Wicked Little Letters, in italiano Cattiverie a domicilio, una commedia frizzante che parla molto di donne: come eravamo, come siamo. Un cast di giovani promesse e celebri caratteristi guidati da una spettacolare – come sempre – Olivia Colman. Ma la cosa incredibile è che è una storia vera. Ce la racconta la regista Thea Sharrock, inglese, 48 anni, autrice di un paio di film finora e di alcuni episodi di famose serie inglesi come Call the Midwife.
Thea Sharrock, ma la storia è proprio andata così?
“Quando mi hanno dato la sceneggiatura non lo sapevo; l’ho letta tutta ridendo come una pazza. Ma quando ho incontrato l’autore Jonny Sweet ho scoperto che era tutto vero: I tre personaggi femminili principali sono basati su persone davvero esistite, così come i dettagli della famiglia di Edith (Olivia Colman), il fatto che fossero tutte vicine, la posizione sociale del padre di Edith. Abbiamo cambiato poco: per esempio Rose (Jessie Buckley nel film) non era irlandese ma quando abbiamo scelto Jessie ho deciso che doveva usare il suo accento naturale, e aiutava a fare del suo personaggio una straniera nel paese. Ma davvero usarono l’inchiostro simpatico per svelare il mistero e davvero qualcuno si nascose in una cassetta delle lettere…”
Non solo il cast è composto in maggioranza da donne, ma la squadra di produzione è piena di professioniste, fra cui la montatrice Melanie Oliver e la musicista Isobel Waller-Bridge (sorella della scrittrice, attrice e regista Phoebe, star di Fleabag).
“È successo per caso. Non stavo cercando solo donne, non lavoro così, ma è bello che oggi ci siano opportunità che si aprono e che un tempo sarebbero state impensabili. Ma tutto è cominciato con un uomo, Jonny Sweet; è stato lui a scoprire la storia, a scrivere la sceneggiatura, e non poteva credere che una storia così, con personaggi così complessi, non fosse mai stata raccontata prima”.
Aveva deciso fin dall’inizio di scritturare Olivia Colman – una delle attrici inglesi più celebri, premio Oscar per La favorita di Yorgos Lanthimos, Elisabetta II in The Crown?
“In realtà quando hanno assoldato me, Olivia era già scritturata. Sapendo che sarebbe stata lei Edith, fin dalla prima lettura ho sentito la sua voce, potevo vederla. Quando lavori con Olivia, sai che riuscirà a realizzare tutte le sfumature del personaggio, anche il più complesso. Siamo abituati a vederla in ruoli drammatici, ma Olivia ha cominciato a fare commedia in tv, che è il posto più difficile dove far ridere. Olivia non ha paura di prendersi una parte sgradevole, perché allo stesso tempo è talmente capace di comunicare, così empatica, che finisci comunque per innamorarti del suo personaggio. Riesce a trovare la tenerezza anche dove sembra impossibile”.
Era così anche in Fleabag, dove era la matrigna detestabile di Phoebe Waller-Bridge…
“Esatto! È proprio così, la adori e vorresti che fosse sempre in scena, anche quando la odi”.
Questo è un film corale, una sorta di alleanza di donne. Quanto sono cambiate le cose da allora a oggi?
“La modernità ha portato molti cambiamenti… ma il cuore degli umani è sempre lo stesso. Quello era un momento particolare, le donne si erano assunte molti ruoli mentre gli uomini erano in guerra e al loro ritorno ci si aspettava che tornassero senza fiatare in casa. Fu un momento storico particolare, e ci fu in realtà un’abbondanza di lettere anonime perché in tanti avevano sperimentato l’orrore in trincea e avevano bisogno di sfogarsi. Insomma, c’è un parallelo ovvio fra scrivere lettere anonime di insulti e il trolling di oggi sui social media. Abbiamo tanta tecnologia in più, sì. Ma in termini di essere umani, quanto siamo cambiati? Abbiamo le stesse esigenze di cent’anni fa? Una delle cose che Olivia è riuscita a trasmettere è stata la vulnerabilità di Edith. Una donna di quasi cinquant’anni che ancora vive coi genitori, con un padre che le impedisce di avere voce in capitolo. C’è la commedia, certo, c’è un linguaggio quasi infantile, inventato, come se stesse imparando a parlare. In molti sensi, questa è la storia di una donna che trova la sua voce”.