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“Proprio qui a New York ho perso ogni speranza per la Siria”

Dopo incontro con John Kerry, intervista con due volontari siriani di difesa e soccorso civile che operano nei dintorni di Aleppo

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Siria Aleppo

Alcuni White Helmets in azione tra le macerie di Aleppo (Photo White Helmets - ZEIN AL-RIFAI/AFP/Getty Images)

Time: 8 mins read

Durante la settimana dell’Assemblea Generale dell’ONU si gira come le trottole e si perde troppo tempo. Si corre da un evento all’altro ad ascoltare ministri e capi di governo dire questo, quello e tutto il loro contrario. Per non parlare di quelli per i quali si rimane in attesa e non arrivano mai. Poi, quando gli fai le domande, rispondono senza rispondere o comunque dicendo sempre lo scontato senza mai uscire dal copione preparato. Intanto la gente muore, come in Siria.

Questa settimana è sempre più incontestabile il fatto che a mantenere le chiavi che tengono accesa una terribile guerra civile che ha fatto ormai quasi 400 mila morti, sono e sempre sono state la Russia e gli Stati Uniti. Quando queste due potenze insieme decidono che non si deve sparare, si farà una tregua. Se ad una o entrambe ancora non converrà spegnere l’incendio che sta massacrando un popolo, allora in Siria si continuerà a bombardare e morire.

Ma mentre si corre al Palazzo di Vetro, ogni tanto ecco che ti capita un evento dove invece si riesce a parlare con i protagonisti della storia che si vuol coprire, con persone che non sono diplomatici o ministri con il copione delle frasi prevedibili, ma persone che non hanno più nulla da perdere e dicono quello che sentono. Una di queste occasioni ci è capitata quando giovedì pomeriggio siamo andati alla missione permanente all’ONU dell’Olanda,  che organizzava in collaborazione anche con la missione italiana, un incontro con alcuni siriani di Aleppo, la città più grande della Siria sotto assedio dove si stanno vivendo le giornate più sanguinose di questa guerra spietata. Questi civili siriani fanno parte di alcuni gruppi di volontari che eroicamente aiutano la popolazione civile di Aleppo e dintorni a sopravvivere sotto i bombardamenti.

Quando siamo entrati alla missione del Regno dei Paesi Bassi,  i civili di Aleppo stavano raccontando le loro storie al ministro degli Esteri olandese Bert Koenders e il suo collega italiano Paolo Gentiloni e ad altri diplomatici davanti alle telecamere di alcune tv, ma purtroppo la sala era piccola e troppo piena per tutti. Con altri giornalisti siamo dovuti rimanere fuori ad aspettare. Ci hanno detto che poi ci sarebbe stata una conferenza stampa tra i volontari di Aleppo con anche il Segretario di Stato americano John Kerry.

Conferenza stampa con Kerry? Un altro copione già scritto.  Non era per quello che eravamo venuti. Dopo oltre un’ora di attesa, mentre Kerry in un altra sala faceva le foto con i civili di Aleppo, ci hanno detto che l’incontro con la stampa era stato cancellato perché Kerry non avrebbe potuto partecipare alla conferenza stampa. Ma che ci frega di Kerry, ci è venuto spontaneo dire insieme ad altri giornalisti ai diplomatici olandesi. Fateci incontrare i civiili di Aleppo, il copione scritto di Kerry e degli altri ministri lo abbiamo ascoltato ogni giorno al Palazzo di Vetro. Noi siamo qui per ascoltare cosa hanno da dire sulla loro tragedia i siriani. Un diplomatico olandese ci è sembrato sorpreso: come, non vi interessa Kerry? Già, non ci interessa, ma ci fate parlare con i siriani? A quel punto, dopo essere andato e tornato almeno cinque volte, ecco che l’addetto stampa della missione olandese da l’ok e ci fanno entrare. Kerry era appena andato via, i siriani di Aleppo erano ancora li. Avevano per noi solo pochi minuti. Accanto ad ognuno di loro un traduttore.

Qui vi raccontiamo il resoconto di quello che siamo riusciti a scambiare in circa quindici minuti con due di loro con cui ci siamo fermati a parlare. Sicuramente, di tutta la settimana all’ONU passata ad ascoltare discorsi preparati e soppesati in ogni parola, lo scambio di battute con i siriani, soprattutto col Dr. Mahmoud Mustafa, lo abbiamo trovato, almeno giornalisticamente parlando, il momento più interessante di questa UNGA71.

Il Dr. Mahmoud Mustafa è un oftalmologo. Ha 34 anni, viveva e si è laureato ad Aleppo. La sua famiglia ora è al sicuro in Turchia. Viveva con la famiglia appena fuori Aleppo, ma ha dovuto lasciare la città quando arrivò l’ISIS nel 2014.

“Volevo soltanto andarmene, ma non riuscivo a convincermi a farlo. Ho vissuto tutto il processo della rivoluzione siriana […] quando l’ISIS è arrivato nella zona della mia famiglia, vicino ad Aleppo, ho portato la mia famiglia sul lato turco. Ho vissuto sotto lo status di “persona dispersa” e rifugiato°.

La traduttrice che gli sta accanto precisa che ora il Dr. Mahmoud vive a Kilis, al confine con la Turchia, ma va in Siria quotidianamente.

“16.000 individui hanno il permesso di passare avanti e indietro il confine, tra cui 40 membri di IDA (Independent Doctor Association). Siamo fortunati, è dovuto all’importanza del nostro lavoro. Abbiamo la priorità e possiamo collaborare con le autorità turche. Tutti i nostri dottori possono passare il confine e stare qualche giorno per poi tornare alle proprie famiglie, a Gazientep”.

Quindi lei non può mai rientrare ad Aleppo?

“Aleppo è ancora in stato d’assedio. Alcuni membri del nostro staff sono bloccati fuori dalla città e lavorano in un ospedale pediatrico, ma non possono raggiungere la città. Ci provano, anche tre o quattro volte, ma non glielo permettono. Un mio amico pediatra ha provato a passare i controlli, andando in motocicletta. Ma non glielo hanno permesso”.

L’ultima settimana ad Aleppo e dintorni è stata una delle peggiori, almeno vista la situazione dalle Nazioni Unite. Chi pensa sia da considerare maggiormente responsabile per la situazione in questo momento? Da giornalista, vorrei proprio sapere dal popolo siriano chi considera il maggior responsabile per quello che sta succedendo al loro paese.

“Tutta la comunità internazionale è coinvolta in quanto succede. In particolare i membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Tutti sono da incolpare per le sofferenze in Siria, nessuno escluso”.

L’impressione che si ha oggi, guardando il lavoro del Consiglio di Sicurezza  è che la Russia e gli Stati Uniti, se lo volessero, potrebbero realmente aprire la strada della pace in Siria. Cosa chiede a USA e Russia per salvare il popolo siriano?

“Si, è vero. Gli attori principali ora sono Russia e Stati Uniti”.

Ma ha chiesto qualcosa al Segretario di Stato americano John Kerry durante la sua permanenza a NY?

“Ho chiesto a Kerry nel meeting che abbiamo avuto poco fa che gli Stati Uniti adottino una posizione più forte nei confronti della Russia. Inoltre servirebbe che i membri del Gruppo di Supporto per la Siria e del Consiglio di Sicurezza svolgessero un ruolo più attivo”.

Ha detto però che tutti sono responsabili…

“Credo non ci sia soluzione militare al conflitto, ma allo stesso tempo perché una soluzione politica funzioni è necessario che si crei una situazione in cui i poteri in gioco siano equilibrati. Oggi non c’è questa situazione, la Russia è fortemente coinvolta e i sostenitori del regime hanno risorse illimitate, mentre dall’altro lato manca chiarezza”.

Sergey Lavrov, John Kerry e Staffan De Mistura alla conferenza stampa sulla risoluzione del Consiglio di Sicurezza per la Siria
Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, il Segretario di Stato John Kerry e l’inviato speciale ONU per la Siria Staffan De Mistura parlano ai giornalisti dopo una risoluzione del Consiglio di Sicurezza

Ha appena incontrato il Segretario di Stato americano John Kerry. Non so se ha avuto la possibilità di parlare anche con l’altra fazione, magari con il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. Cosa chiederebbe a Lavrov se potesse parlargli proprio ora?

“Si, potrei anche parlargli a Lavrov se lo avessi davanti, conosco bene la lingua russa. Gli direi che rispetto la sua posizione di chiaro e forte supporto al regime di Assad”.

Si considera più ottimista o pessimista dopo il viaggio a New York?

“Dopo questa visita ho perso tutta la speranza che mi era rimasta. Dopo aver parlato con le persone qui, non sono per niente ottimista. Non ho speranze”.

Anche dopo l’incontro con il Segretario di Stato Kerry? Pensa quindi che i leader mondiali al momento non abbiamo la volontà politica di trovare una soluzione al conflitto siriano?

“Esatto”.

Chi ritiene responsabile per aver fatto diventare l’ISIS così potente? Ha qualche idea?

“Ero molto confuso quando ho iniziato a vedere che l’ISIS stava avanzando verso Aleppo. Quando i terroristi iniziarono a prendere il controllo su al-Raqqa non capivo cosa stesse succedendo. Il modo in cui agiscono dimostra che ci sono poteri invisibili che lavorano per l’ISIS, per permettere al gruppo di crescere ed espandersi”.

Quale è stata la sua reazione al fatto che recentemente gli Stati Uniti hanno bombardato, per errore, l’esercito siriano invece che l’ISIS? Ne è rimasto sorpreso?

“Nella crisi siriana ormai non mi sorprendo più di nulla. Tutti cercano di prendere parte ai combattimenti, anche l’ISIS per esempio ha attaccato e ucciso tre militari turchi. In quel periodo gli aerei turchi fecero un attacco aereo nella nostra area. Dopo quell’episodio non abbiamo più visto aerei turchi”.

Ad un certo punto il Dr. Mustafa comincia a parlare ancora di ISIS e perché la Turchia non li bombarda più. Ma ci dice off the record. Noi lo fermiamo, gli diciamo che non vogliamo che ci dica quello che non può, perchè lo pubblicheremmo. La traduttrice interviene. Dice che quella parte appena tradotta è off the record. Siamo a disagio. Il dottore Mustafa ci guarda negli occhi. Promettiamo che rispetterremo la sua volontà. Rimaniamo a disagio per il resto dell’intervista.

Quindi lei è più pessimista perché vede che nessuno, non gli americani, non i russi, non i turchi, si sta realmente impegnando per salvare le persone siriane?

“Esatto. Tutti i paesi hanno interessi interconnessi per i quali lavorano”.

E per quanto riguarda il convoglio ONU bombardato pochi giorni fa? Fa ancora differenza chi sia stato, o sono tutti responsabili?

“Sono stati i russi, non c’è alcun dubbio su questo”.

Perchè?

“Non erano d’accordo con qualche decisione”.

Ma allora, perché attendere russi o americani,  non spetta ai siriani, soltanto a loro trovare una soluzione?

“Troppo tardi per riuscirci da soli, la situazione è ormai troppo complicata°.

 

Raed Al Saleh Siria
A sinistra il fondatore dei White Helmets di Aleppo Raed Al Saleh con il traduttore (Foto VNY)

Prima del Dr. Mustafa, avevamo parlato pochi minuti anche con Raed Al Saleh, fondatore degli “elmetti bianchi”, la forza di circa 2800 volentieri che ogni giorno salava dalla macerie i civili siriani. Anche a lui le nostre domande subito dopo il suo incontro con John Kerry.

Cosa fa ad Aleppo?

“Sono il capo del Corpo Civile di Difesa siriano  dei White Helmets. Faccio ricerche e operazioni per mettere in salvo le persone del luogo”.

Può tornare ad Aleppo, o ora che è uscito non ha più possibilità di rientrare?

“Non posso andare ad Aleppo perchè ora è in stato d’assedio, ma vado nella campagna appena fuori dalla città. Dopo questo meeting tornerò lì”.

Quando si è unito ai White Helmets?

“Sono uno dei fondatori del gruppo, che è stato creato nel 2013. Ho lavorato come team leader del direttorato e poi sono stato eletto come capo del Corpo Civile di Difesa siriano”.

Quando è stata l’ultima volta che è stato ad Aleppo?

“Quasi sei settimane fa. Dopo le prime avvisaglie dell’assedio abbiamo fornito assistenza umanitaria. Poi ci furono varie battaglie, e iniziò l’assedio”.

Che vita conduceva prima che iniziasse il conflitto?

“Commerciavo oggetti elettronici nella regione costiera della Siria”.

La settimana scorsa fu una delle peggiori, chi crede che sia da ritenersi maggiormente responsabile per la mancanza di una soluzione effettiva al conflitto siriano?

“Uno dei principali responsabili è la Russia che appoggia il regime di Assad”.

Il suo lavoro con i White Helmets è molto pericoloso, perchè lo fa?

“Lavoriamo per salvare vite, vogliamo salvare i bambini e sentire la loro felicità quando li estraiamo dalle macerie ancora vivi. Come dice il Corano, salvare anche una sola vita significa salvare tutta l’umanità”.

Ha collaborato Laura Loguercio

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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