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May 2, 2016
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Anche in Siria il medico del tuo nemico non è un tuo nemico

Dopo l'ennesimo bombardamento di un ospedale ad Aleppo, le posizioni della Croce Rossa e di MSR

Tommaso Della LongabyTommaso Della Longa
siria ospedale

Aleppo: le rovine dell'ospedale di Medici senza Frontiere

Time: 3 mins read

Quattordici morti tra medici e pazienti, ma il numero delle vittime potrebbe ancora salire. Stiamo parlando dell’ospedale al-Quds di Aleppo distrutto da una bomba lo scorso 28 aprile. Per l’ennesima volta in Siria le strutture sanitarie, i medici e i soccorritori finiscono nel centro del mirino, in barba alle convenzioni internazionali e al fatto che uccidere un medico o bombardare un ospedale sia un gravissimo crimine di guerra. Dall’inizio del conflitto armato sono 56 i volontari della Mezzaluna Rossa Siriana e Palestinese uccisi mentre guidavano ambulanze, trasportavano feriti in prima linea o distribuivano generi di prima necessità. Uno dei tributi di sangue maggiori dalla Seconda guerra mondiale. In questo caso, l’ospedale gestito da Medici Senza Frontiere (MSF) e dal Comitato Internazionale di Croce Rossa (CICR) è finito sotto le bombe di fazioni armate che non rispettano niente e nessuno.

In Siria, purtroppo ormai è cosa nota, il rispetto del diritto internazionale umanitario e più in generale dei diritti umani non è un argomento all’ordine del giorno. Il lavoro delle organizzazioni umanitarie è reso difficile, anzi difficilissimo, da rapimenti, uccisioni, torture, aree sotto assedio dove la gente muore di fame e dove nessuno può intervenire. Tutto questo in un assordante silenzio dove la stampa e ovviamente la politica di ogni ordine, colore e grado mirano solo a tirare acqua al proprio mulino e quindi certi avvenimenti diventano notizie solo se utili per dare addosso ai Russi o agli Americani, ad Assad o ai cosiddetti ribelli. In un mondo che ha bisogno di eroi e di esempi usiamo drammi come quello di Aleppo per trovare una nuova icona che ovviamente avremo già dimenticato alla prossima notizia sconvolgente. Intanto però il fatto che i soccorritori in Siria siano uccisi e non rispettati da tutte le parti in conflitto rimane solo come una notizia di secondo piano, quasi di contorno. Se è ucciso un volontario e la notizia non è strumentalizzabile, tutti in silenzio, mi raccomando. Se invece si può usarla per dire che Assad è un mostro o i ribelli sono terroristi ecco le paginate intere.

Un po’ come l’ospedale di MSF bombardato in Afghanistan dagli statunitensi: lì la notizia c’era soprattutto per chi doveva sfogare il proprio anti-americanismo. O come gli ospedali distrutti a Gaza: chi è filo-palestinese usava la notizia contro Tel Aviv, chi è filo-israeliano giustificava il fatto con presunti militanti palestinesi che sparavano dall’ospedale. In tutti questi casi, però, la notizia dovrebbe essere sempre una e una sola: le strutture sanitarie non sono più rispettate, in ogni angolo del mondo, in ogni conflitto. Tra il 2012 e il 2014, in 11 nazioni diverse, il CICR ha documentato 2,400 attacchi  contro operatori sanitari, pazienti, strutture mediche e ambulanze. La maggioranza di questi attacchi erano contro personale e strutture locali con un ovvio effetto devastante per tutte le comunità della zona. In un articolo a firma congiunta pubblicato dal Guardian, Joanne Liu e Peter Maurer, rispettivamente presidenti di MSF e CICR, hanno denunciato una situazione ormai insostenibile supportando la risoluzione delle Nazioni Unite sul rispetto delle strutture e del personale sanitario in zone di guerra e chiedendo al Consiglio di Sicurezza di rendere il testo veramente concreto sul terreno.  Anche la guerra ha le sue regole. In un video molto semplice  il Comitato Internazionale le spiega al grande pubblico.  In Siria, come in Ucraina e in tante altri conflitti, le fazioni armate hanno degli sponsor che siedono anche nel Palazzo di Vetro a New York. C’è bisogno di dire a tutti quelli che controllano, supportano o semplicemente sponsorizzano le varie parti in guerra, che uccidere un medico significa colpire una comunità intera, metterla in ginocchio, togliergli un servizio basilare: una vera e propria questione di vita o di morte. E soprattutto, bisognerebbe ricordare a tutti, come hanno scritto Liu e Maurer, che il “medico del tuo nemico non è tuo nemico”.

Invece di tifare per qualcuno contro qualcun altro, cari politici, fermate la guerra, o almeno  obbligate tutte le parti in causa a rispettare il diritto internazionale umanitario e a garantire l’accesso umanitario incondizionato e il rispetto per i soccorritori. E cari giornalisti, invece di riportare le veline di una parte o dell’altra, denunciate senza se e senza ma l’uccisione dei volontari e il bombardamento delle strutture sanitarie. Il resto è strumentalizzazione e misera politica di chi non vuol vedere un mondo che va sempre più alla deriva dove “sparare sulla Croce Rossa” (e sulle altre organizzazioni umanitarie) è diventata drammaticamente la normalità.

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Tommaso Della Longa

Tommaso Della Longa

Giornalista, giramondo, romano e romanista, classe 1980. Scrittura e viaggio sono la mia vita. Per anni freelance in zone di crisi, poi nell’umanitario, prima nella Croce Rossa Italiana e poi in quella Internazionale. Ho tanti posti preferiti, tra cui Gerusalemme, Beirut, il Turkana e Belfast. Porto nel cuore le storie delle persone incontrate, dal Congo alla Siria, fino alle strade italiane. Il sorriso dei migranti, in Serbia come in Iraq o a Lampedusa, mi spinge ad andare avanti cercando di capire, imparare e raccontare sempre la verità, anche se scomoda. Ho denunciato gli abusi “in divisa”, come ho indagato sulle pagine buie degli anni di piombo. Dopo un anno a Beirut, sono tornato a Roma, perché ancora credo si possa costruire qualcosa in Italia. Sono un irriducibile idealista, lo so.

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