Stavolta non sarebbe la solita solidarietà in nome del suo passato, del diritto ad esistere perché mai più deve accadere lo sterminio di un popolo in nome del male e della sua tragica banalità. No, stavolta la solidarietà ad Israele sarebbe una solidarietà da dare in nome del suo futuro, del futuro di un paese che sta rischiando ormai di non essere più una democrazia. E invece si fa fatica a dire, a raccontare, anche solo quello che sta accadendo da settimane nelle strade e nelle piazze di Tel Aviv, Haifa, Gerusalemme. Molto più facile restare nello stereotipo degli scontri tra palestinesi e esercito, dei razzi di Gaza e dei raid nei campi profughi perché questo ormai è considerato destino ineluttabile. E invece no, stavolta bisognerebbe raccontare di israeliani che protestano contro il governo di Israele, studenti e insegnanti, operai e impiegati, piloti e ferrovieri, persino i militari e il Mossad che chiedono a Netanyahu di fermarsi, di non andare avanti con la sua riforma giudiziaria che di fatto renderebbe inutile l’unico baluardo democratico contro lo strapotere del governo e cioè la Corte Suprema. E così mentre il parlamento approva con una manciata di voti il primo provvedimento della riforma, quello che impedisce ai giudici supremi di dichiarare inadatto un primo ministro in carica, anche se questo si trova sotto processo per corruzione (ed è proprio il caso di Netanyahu) in tutte le principali città del paese continuano le proteste. Manifestazioni mai viste prima, sit-in sotto le case dei ministri, scontri con la polizia, arresti. E non si tratta di palestinesi – quelli che per il ministro delle finanze Bezalel Smotrich non esistono, si, ha detto proprio così qualche giorno fa a Parigi – si tratta di cittadini di quella che per definizione usiamo chiamare l’unica democrazia del medio oriente. E allora proprio perché è una democrazia é bene raccontare che il governo in carica, il più a destra della sua storia, sta provando a trasformarla pericolosamente in un regime.
Poi torneremo a discutere e dividerci sul destino disperato di due popoli che hanno diritto e vogliono vivere sulla stessa terra, su chi occupa e chi fa attentati, ma ora raccontiamo per favore di Israele che sta lottando per non perdersi definitivamente. Lo so che è sempre difficile far capire che criticare un governo non significa negare il diritto a esistere di un popolo e di uno Stato, ma stavolta il rischio di passare per traditori della causa se lo stanno prendendo loro, gli israeliani migliori, quelli che vogliono esistere, ma vogliono farlo restando una democrazia. Noi dobbiamo solo raccontarlo, sfidando il tabù per cui di Israele si può parlare solo per difenderlo a spada tratta o attaccarlo a prescindere, ma è vietato dire che dentro qualcosa non va. Stavolta c’è un Israele che dice no, qui dentro non va tutto bene e noi dobbiamo solo non nasconderlo.
