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August 29, 2014
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August 29, 2014
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A Venezia la qualità del cinema in mostra

Simone SpoladoribySimone Spoladori
Time: 3 mins read

Venezia 71 è appena nata ma già ci piace, e molto. Meno glamour, certo, meno nomi roboanti, sicuramente, ma nel clima di austerity la qualità dei film è da subito molto alta e i primi lampi di classe assoluta hanno a che fare con gli States. 

bridman​L'apertura, con Birdman di Alejandro González Iñárritu, non avrebbe potuto essere migliore. Il regista di 21 grammi e Babel tante volte in passato ci aveva fatto storcere un po' il naso: molto talento ma anche la tendenza a specchiarcisi un po' troppo. Birdman è addirittura un "finto" piano sequenza di due ore, quindi in quanto a virtuosismi siamo forse al punto di non ritorno. Eppure, le continue "prodezze" visive del regista americano sono messe al servizio di una fertilità tematica e soprattutto di una felicità di scrittura straordinarie: gli artisti, al cinema e al teatro, e il loro ego, smisurato e fragile, i critici (la maggior parte, almeno…) e il loro vuoto snobismo, la loro sorda autoreferenzilaità, la loro ignoranza tecnica, lo showbiz e le sue regole paradossali, i social network e le personalità multiple cui ci costringono: sono solo alcuni dei discorsi che il film di Iñárritu intavola, con humour nero e lucida intelligenza.

Che bello, poi, rivedere Michael Keaton protagonista di una grande produzione, qui nei panni di un attore "intrappolato" nel ruolo di un supereroe, un uomo-uccello, che tenta di ricostruirsi un'immagine "alta" portando a Broadway un celebre testo di Carver, tra difficoltà di ogni tipo. È bene ricordarsi che Keaton, nel 1989 e nel 1991 è stato Batman, diretto da Tim Burton, ed è poi sparito dal giro dei blockbuster. In Birdman, Keaton è meraviglioso, così come Edward Norton (altro "reduce" dei superhero movies: ricordate Hulk), Naomi Watts e una sorprendente Emma Stone. Prendete nota: Birdman chiuderà il New York Film festival il 12 ottobre, andate a vederlo. Se lo doveste perdere, sarà nelle sale americane il 17 ottobre, mentre gli amici italiani dovranno attendere fino a febbraio.

Tra le cose da non perdere ad ogni costo dovete, però, includere anche The Look of Silence, documentario dello statunitense Joshua Oppenheimer che prosegue lo straordinario lavoro iniziato con The Act of Killing. Il primo documentario nel 2013 aveva sconvolto Berlino raccontando, anzi, facendo raccontare a due killer impuniti del genocidio indonesiano del 1965 le spaventose efferatezze compiute: i due venivano invitati da Oppenheimer a mettere in scena la loro barbarie utilizzando mezzi e linguaggio del cinema. silenceIl risultato, The Act of Killing è un'esperienza difficilmente descrivibile a parole, che ha però "chiamato" spontaneamente un secondo lavoro: il fratello minore di una delle vittime ha infatti scoperto finalmente nomi e volto dei carnefici e ha chiesto ad Oppenheimer di filmare il suo incontro con loro. Adi, questo il nome dell'uomo, è un oculista, fatto, questo, che determina l'innescarsi di una metafora poderosa: spesso, infatti, Adi approccia i carnefici di suo fratello con la scusa di far loro gli occhiali, per "vedere meglio" e in un certo senso "iniziare a vedere", per provare a curare la terrificante miopia morale di uomini così efferati eppure ancora lontani dal pentimento e totalmente impuniti e intoccabili in società. Questo è The Look of Silence, un raggelante e definitivo trattato sull'omertà, sul perdono, sulla violenza, sull'impossibilità di bilanciare correttamente le responsabilità morali di crimini così spaventosi tra chi li ha ordinati e chi li ha eseguiti.

 Tre quarti della troupe hanno preferito l'anonimato; lo straordinario protagonista, Adi, invece, ha seguito il film a Venezia, insieme al regista. La proiezione in Sala grande di ieri sera è stata uno shock emotivo difficilmente dimenticabile: lacrime e oltre dieci minuti di applausi hanno battezzato l'anteprima mondiale di questo capolavoro, serio candidato alla vittoria finale del concorso principale. Anche in questo caso, un consiglio ai lettori de La VOCE: il 30 settembre e il 1 ottobre, il film sarà proiettato al New York Film Festival, all'Alice Tully Hal, prima, e al Francesca Beale Theatre; dato che al momento non si hanno notizie di un'uscita americana, andate a vederlo senza esitare un secondo.

 

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Simone Spoladori

Simone Spoladori

Nato a Milano, laureato in lettere e laureando in psicologia, di segno pesci ma non praticante, soffro di inveterato horror vacui. Autore per radio e TV, critico cinematografico, insegnante, direttore di un'agenzia creativa di Milano. Oltre ai film, amo i libri e credo che la letteratura americana del '900 una delle prime tre cose per cui valga la pena vivere. Meglio omettere le altre due. Drogato di serie TV, vorrei assomigliare a Don Draper, a Walter White o a Jimmy McNulty. Quando trovo il tempo, mi diverte a scalare montagne, fare foto, giocare a tennis, cucinare e soprattutto mangiare ciò che cucino. Sono malato di calcio, tifo Manchester United e Milan, ma la mia vera guida spirituale è Roger Federer.

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