Al raduno dei banchieri centrali che si svolge annualmente a Jackson Hole sulle Montagne Rocciose del Wyoming e centrato ogni volta su un tema economico rilevante per gli Stati Uniti e il mondo, arriva la conferma di un’economia Usa in ripresa. Un dato confortante ma tuttavia non sufficiente per modificare l’attuale orientamento espansivo della politica monetaria adottata dalla Federal Reserve, la banca centrale americana, che resta mirato a mantenere bassi i tassi di interesse ancora a lungo. “Cinque anni dopo la fine della Grande Recessione, il mercato del lavoro non si è ancora completamente ripreso dal profondo danno subito dalla crisi”, ha più volte ribadito Janet Yellen, attuale presidente della FED e una delle donne più potenti d’America. E ai falchi che vorrebbero invece un rialzo anticipato del costo del denaro per prevenire l’inflazione, Yellen ha riposto che i tassi d'interesse, che ora sono ai livelli minimi, potrebbero essere alzati prima e più rapidamente solo se i dati mostrassero dei miglioramenti sia termini di tasso di disoccupazione, ancora al di sopra del 7 per cento, che di salari minimi.
Alla lenta ripresa economica non sembra infatti corrispondere un miglioramento delle condizioni di vita. Il divario tra i ricchi e i poveri negli Stati Uniti sta aumentato in modo drammatico, un dato ancora più preoccupante se si considera che l’ultima volta che il 10% più ricco degli americani aveva la fetta così grossa di tutte le entrate del paese è stato negli anni '20, un periodo che culminò nel collasso di tutta l'esuberanza del decennio e nella Grande Depressione.
E tutto questo mentre Bank of America, tra le maggiori responsabili, insieme a JpMorgan Chase e Citigroup, della subprime mortgage financial crisis del 2008, ha patteggiato con il Dipartimento della Giustizia Usa una mega multa di 17 miliardi di dollari per archiviare i procedimenti sulle cartolarizzazioni e sui prodotti finanziari tossici che hanno rovinato intere famiglie. Secondo l’accusa, la banca, spinte da logiche di profitto a breve termine, ha trasformato prestiti di pessima qualità, in sostanza finanziamenti illiquidi, in strumenti negoziabili sul mercato, facendoli apparire investimenti solidi ed affidabili. Una crisi che ha avuto effetti gravosi su tutte le economie mondiali, in particolar modo sul "vecchio continente", dove la crisi dei debiti sovrani si è ormai tramutata in una crisi di identità e credibilità dell'Unione Europea e della sua moneta unica.
Su questo punto Mario Draghi, Governatore della Banca Centrale Europea, proprio durante il summit a Jackson Hole, ha dichiarato che la Bce, nel caso di un peggioramento dell’economia dell’Eurozona, messa a dura prova dalla crescita zero del Pil registrato nel secondo trimestre 2014, dal rallentamento della Germania e dalle tensioni geopolitiche nell’Est Ucraina e nel Medio Oriente, è più pronta a usare «misure non convenzionali». Un’apertura rispetto all’impostazione generale di austerity in cui è inquadrata la politica economica europea e che secondo molti economisti, tra cui Joseph Stiglitz, Premio Nobel per l’economia nel 2001, non ha favorito la crescita dei paesi europei e l’uscita da una fase prolungata di stagnazione. Si tratterebbe del cosiddetto Quantitative Easing, simile a quello della FED, vale a dire la creazione di moneta di una banca attraverso il riacquisto di titoli di Stato e privati per iniettare liquidità all’economia e stimolare la ripresa. Un’operazione che nell’Eurozona, almeno nelle intenzioni di Draghi, interesserà i soli titoli privati, debiti delle imprese e delle famiglie, da collocare sul mercato al fine di salvaguardare le aspettative di inflazione nel medio-lungo termine e scongiurare il rischio di deflazione che sta diventando sempre più reale.
“Quantità di aggiustamenti fiscali o monetari non può comunque sostituire le necessarie riforme strutturali, aggiunge Draghi, soprattutto in quei paesi come l’Italia dove la disoccupazione strutturale era già molto alta prima della crisi e i governi devono accelerare le riforme per rendere efficienti e competitive le rispettive economie”.
Sulle Montagne Rocciose americane si rinnova così il confronto tra politiche monetarie di Fed e Bce in risposta alla crisi finanziaria che pone ancora una volta l'accento sulla mancanza, nel caso specifico dell'Unione Europea, di un coordinamento tra una politica monetaria univoca e una molteplicità di politiche fiscali stabilite indipendentemente a livello dei singoli Stati membri. Una divergenza fondamentale che rende nel complesso gli Stati europei e la valuta europea da sempre più vulnerabili rispetto a Stati Uniti e dollaro.