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July 26, 2014
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Lucia Pasqualini, vice console col turbo, qui a New York ci mancherai

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Foto: Iwona Adamczyk per Marche is Good

Foto: Iwona Adamczyk per Marche is Good

Time: 6 mins read

 

Di consoli che vengono e vanno in venti anni a New York ne abbiamo visti passare tanti a Park Avenue. Più o meno bravi, più o meno preparati, più o meno appassionati al loro lavoro. Qualcuno che oltre alla bravura ci ha messo la passione lo ricordiamo ancora, di altri che non avevano né la preparazione né l'entusiasmo per rappresentare l'Italia a New York,  dalla nostra memoria abbiamo rimosso persino il nome. Ma di sicuro nessuno ci è mai rimasto nel cuore come ora avviene per la vice console Lucia Pasqualini. Non solo non la dimenticheremo Lucia, ma speriamo ardentemente di vederla tornare – e tra non troppi anni – negli Stati Uniti con la carica che sicuramente si meriterà.

I giornalisti non dovrebbero diventare amici dei diplomatici. Già, chi ha il nostro ruolo dovrebbe mantenere un certo distacco da coloro di cui scriviamo nelle loro funzioni di rappresentanza. Ma con Lucia non ci siamo riusciti a non diventare amici e ne siamo orgogliosi. Con quell'inesauribile energia, contagioso entusiasmo, inflessibile tenacia e dimostrazione di sincero amore per gli italiani all'estero, Lucia ha incantato questa comunità. A Park Avenue, in venti anni, non avevamo visto mai la stessa disponibilità  offerta con la stessa forza, eleganza e cultura: il bello al servizio dell'Italia.

Ormai lo avrete capito. Queste righe per salutare il vice Console Lucia Pasqualini alla vigilia della sua partenza da New York per Roma, dove ricoprirà  un importante ruolo nel dipartimento della Farnesina che si occupa proprio degli italiani all'estero, non riusciamo a scriverle con "distacco". Prendetele quindi come il saluto affettuoso di un amico.

Eppure Lucia, cresciuta nella belle e sonnecchianti Marche che venti anni fa lasciò per studiare a Roma –  perché non voleva limitarsi a sognarlo di diventare una diplomatica, ma era decisa a farlo diventare realtà – se la merita tutta la valanga di affetto da cui è stata travolta in queste ultime settimane di permanenza a New York. Lucia ha stupito con il suo lavoro e ottenuto un successo meritato. Sarà arduo per la Console Generale Natalia Quintavalle fare a meno della macchina Pasqualini, diplomatica versione turbo dalle performance ecccezionali.  

brindisi

Un brindisi tra la console Natalia Quintavalle e la vice console Lucia Pasqualini

Mercoledi sera eravamo a casa della console Quintavalle, che ha voluto riunire gli amici di Lucia per una cena di addio. Amicizie sviluppate in quattro anni di lavoro in cui, lo ricordiamo, Lucia non ha svolto solo il compito di diplomatica, ma anche quello ancora più impegnativo di super mamma. Con il marito-collega che lavorava fino a qualche giorno fa alla missione dell'Italia all'ONU,  Lucia è riuscita a non far mancare affetto e attenzione ai suoi due bambini ancora in tenera età. Mamma e diplomatica a tempo pieno a New York? E come si fa? Cherchez Clemente… (e ovviamente, viceversa, cercate Lucia per conoscere il segreto dell'eccellente lavoro del diplomatico Clemente Contestabile al Palazzo di Vetro).

L'atmosfera era allegra alla cena per Lucia, con la cantante Erene, ormai grande amica della famiglia Pasqualini, che invece della chitarra questa volta ha cantato accompagnadosi al pianoforte. Alla nostra amica in partenza abbiamo cercato di strappare qualche ricordo particolare di questi suoi quattro anni a New York.  Abbiamo chiesto a Lucia – figuriamoci, noi giornalisti, sempre a cercare qualcosa di negativo! –  che cosa non le fosse piaciuto di questa sua esperienza americana. 

"Ho solo ricordi positivi di New York – ci ha risposto Lucia senza esitare un attimo – Sono sempre stata una persona ottimista e non tendo a dare troppo peso agli aspetti negativi della vita. Frequento l’estero da molti anni e ho vissuto pure in Cina e sono arrivata alla conclusione che tutto il mondo è paese. I difetti e i problemi sono ovunque".

Niente, non ci riusciamo a stapparle qualcosa di negativo. Allora lasciamo la naturale positività di Lucia cavalcare i quattro anni trascorsi a New York, lasciandoci guidare dalle esperienze rimaste impresse nella sua memoria: "A me piace vedere il bicchiere sempre mezzo pieno e a New York ho trovato il mio humus naturale perché la positività è una delle caratteristiche di questa città. Se penso a NY penso alle persone che ci vivono e che ho incontrato. Molte di queste hanno delle caratteristiche che le accomunano: grande passione per ciò che fanno,  entusiasmo sconfinato, visione di lungo respiro e pensano in grande o, per usare una metafora cara a Massimo Vignelli, a New York non esistono soffitti . Ciò innesca un’energia pazzesca e la convinzione che tutto è possibile e che New York sia la città delle opportunità. In realtà le opportunità le creano le persone, persone che hanno passione, visione ed entusiasmo".

Bisogna in effetti ricordarselo, ogni tanto, che non è questa città a stupirti ogni giorno, ma chi ci vive. E se il lavoro a New York per Lucia è stato così appassionante, è perché lo ha condiviso con chi vive in questa città straordinaria. E quale, tra i tanti progetti e le tante imprese riuscite, è stato l’impegno che le ha dato più soddisfazione? Lucia non ha dubbi sul ricordo più caro della sua missione a New York e ci tiene ad elencare tutte le persone che lo hanno reso possibile: "Sono le persone che hanno reso speciale la mia permanenza a New York. Quando l’ho capito? A giugno del 2012 quando con il console generale Quintavalle ho seguito il progetto dei sottotitoli italiani per le opere italiane al MET. Per realizzare il progetto occorreva fare una raccolta fondi così come si usa negli Stati Uniti. Non ne avevo mai fatta una e non sapevo in realtà da che parte si iniziasse. Ho iniziato a parlare del progetto e ho notato che c’era grande interesse, entusiasmo per questa iniziativa. La prima che ha manifestato interesse è stata Federica Marchionni la presidente di D&G. La fortuna ha voluto che quell’anno una delle collezioni di Dolce e Gabbana fosse ispirata al mondo dell’opera. Lei è stata la prima che mi ha sostenuto con un contributo cospicuo. Colui però che mi ha fatto capire come funzionava il processo è stato Lucio Noto, una delle persone che più mi ha ispirato in questi anni. Mi ha chiesto: what can I do for you? Non sapevo esattamente come procedere, ma lui mi ha subito detto: Ti sponsorizzo un’opera. E poi tutto è venuto un po’ da solo. Anche Massimo e Chiara Ferragamo hanno voluto partecipare e poi La Baronessa Mariuccia Zerilli-Marimò ci ha mandato una lettera bellissima in cui diceva che erano anni che provava a realizzare questa idea e che quindi era contenta di partecipare. E ovviamente l'esperto di musica e filantropo Steven Acunto. E poi l'Ho. Frank Guarini,  Jason DeSena Trennert, Joseph Perella, una persona molto vicina al consolato che ha preferito rimanere anonima e tutte le associazioni italo-americane: NIAF, Columbus Citizen Foundation , Noiaw, e Son of Italy. E poi ancora Frank Bisignano, CFO in quel momento di JP  Morgan alle prese con uno scandalo. Dopo due settimane ci ricontatta per sapere se poteva ancora aderire. Naturalmente abbiamo detto si!"

Non si ferma più Lucia e si preoccupa che nel ricordare questa sfida al MET possa essersi dimenticata qualcuno dei nomi di chi l'ha aiutata a vincerla. Un’esperienza che in pochi credevano potesse essere portata a termine con successo: "Chi mi ha sorpreso più di tutti è Alberto Cribiore, grande sostenitore del MET, da sempre, l’italiano notoriamente più appassionato di opera a New York. Lui non poteva mancare. Mi chiama e mi dice che non crede nel progetto, che finirà per essere solo una sintesi e non il libretto originale. Io insisto che seguirò personalmente il progetto anche con il principal conductor Fabio Luisi. Qualche parola sarà tagliata, ma sarà il libretto originale e non una sintesi. Alla fine lo convinco a partecipare. Il suo nome sul playbill non poteva assolutamente mancare. Ha accettato perché ho insistito, ma non credo che al termine della nostra conversazione fosse veramente persuaso dall’iniziativa. Fatto sta che dopo la prima, mi scrive e mi dice che è andato a vedere l’Elisir d’amore e ha visto come funzionavano i sottotitoli. Mi scrive: ‘Funziano bene. Brava! Sono felice mi abbia convinto e di aver partecipato’. Quella e-mail mi ha fatto capire come funzionava New York e quanto fosse diversa dall’Italia.  Il vice presidente di una grande banca italiana non farebbe mai una cosa simile. A New York tutto è possibile!".

A questo punto noi saremmo soddisfatti: abbiamo un bel racconto e quanto basta per scrivere un articolo di saluto per il vice console Pasqualini. Ma la nostra amica ormai non si ferma più, ha messo il turbo e accelera: "Last but not least devo ringraziare Paul Montrone, Presidente onorario ed ex manager del MET, oltre che grande sostenitore di quella istituzione. Lo incontrai per chiedergli un sostegno con il MET per rendere l’iniziativa visibile. Dobbiamo a lui il fatto che l’iniziativa è sul playbill da due anni e spero che lo sia anche il prossimo anno . Questa è la dimostrazione di quanto possa essere forte la comunita’ italiana ed americana di origine italiana se facciamo squadra e lavoriamo insieme. A New York questo è possibile!".

È vero, a New York tutto diventa possibile per l'Italia. Da domani la sfida sarà far continuare a correre come una Ferrari, sulla tortuosa pista delle iniziative italiane, il Consolato di Park Avenue, senza la potenza della Pasqualini-turbo.

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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