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Scenari Elezioni Usa 2020: Trump rema contro Covid-19, disoccupati, Twitter e…

Il voto di novembre è sconvolto dalla pandemia, tutto è possibile, anche l'incubo per Trump di rivincere la Casa Bianca ed esserne cacciato da un Congresso dem

Massimo JausbyMassimo Jaus
Trump assolto dai senatori del “Grand Old dei Paraculi”, tutti quaquaraquà tranne un uomo

Donald Trump. Illustration by Antonella Martino.

Time: 7 mins read

È un’America molto divisa quella che si presenta alle elezioni del 3 novembre. Forse è l’America più divisa dalla fine della Guerra Civile. Oggi come allora il conflitto è economico e molto meno ideologico.

La crisi creata dal Covid 19 ha rimescolato le carte e rimesso tutto in discussione per una elezione in cui tutto lasciava credere in una facile riconferma del presidente Donald Trump per un secondo mandato. Wall Street sino a tre mesi fa festeggiava nuovi record, la disoccupazione era a livelli bassissimi e gli americani ad un presidente showman hanno perdonato tutto: la valanga di bugie, i tweet quotidiani carichi di veleno, i modi volgari e irriverenti, la boria, la vanagloria, il narcisismo, la mancanza di rispetto per le regole, la mancanza di empatia. Tutto, ma proprio tutto, anche i ricatti fatti con i soldi dei contribuenti americani ai leader dell’Ucraina per ottenere una incriminazione per il figlio di Biden, il suo avversario politico alle presidenziali. Anche la condanna penale dei suoi più fidati collaboratori come il suo campaign manager Paul Manafort, il suo avvocato personale Michael Cohen, il suo consulente Roger Stone.

Ora questa nuova disputa con Twitter per le bugie che il presidente dissemina alterando i fatti, la verità, le situazioni. Un crescendo di evidenti menzogne passate per verità assolute con 80 milioni di seguaci che lo difendono relegando la verità ad opinioni di parte.

Gli americani hanno preferito non vedere, non capire, non sentire e fare finta di nulla fintanto che il portafoglio era pieno, l’economia tirava, i fondi di previdenza complementare (401K) rendevano cifre che non si registravano da anni. Sotto la ferrea regia del leader del Senato Mitch McConnel la Camera alta ha fatto dimenticare ai suoi il giuramento di fedeltà alla Costituzione e con cinico pragmatismo, fintanto che Trump continuerà a nominare giudici “right to life”, ha fatto e ha fatto fare ai suoi colleghi, i salti mortali per minimizzare le empietà di questa Amministrazione.

Ha rinnegato il punto focale della Costituzione dei padri fondatori, quello basato sul concetto di “checks and balances”, i controlli e gli equilibri per le tre branche del governo. Ha chiuso gli occhi e le orecchie impedendo la deposizione di testimoni durante l’impeachment del presidente, ha sponsorizzato e difeso la nomina di ministri e funzionari non al servizio del Paese, ma asserviti alla Casa Bianca. Ma questa, a volte, è la politica e il cinismo, anche quello più vile, ne è una componente.

Trump and the Covid-19 pandemic in the USA in an illustration by Antonella Martino

Tutta in discesa, quindi, era la volata di Trump per le prossime elezioni.  Poi, e neanche di soppiatto, si è presentato il coronavirus. Schernito, minimizzato, sottovalutato, relegato alle solite sciocche volgari battute elettorali, il coronavirus ha causato fino ad ora oltre centomila morti e chissà quanti altri nei prossimi mesi. Gli indici della Borsa hanno azzerato i profitti del 2019/20 tornando ai valori del 2017 e ci sono circa 40 milioni di disoccupati. Il GPD (Gross Domestic Product), quanto guadagna in media una famiglia americana, è diminuito del 4,8% in tre mesi. Il Congressional Budget Office stima per gli Stati Uniti un calo del Pil del 38% nel secondo trimestre.

Chissà quanti esercizi, negozi, ristoranti, alberghi, compagnie aeree, aziende, fabbriche, chiuderanno? Chissà quando le scuole, le università riapriranno? Quando si potranno riprendere i mezzi pubblici? Chissà quanti milioni di americani non troveranno più lavoro? Quale sarà il nostro futuro e quello dei nostri figli? In questa situazione carica di incertezze e paure il 3 novembre gli Stati Uniti voteranno per il presidente, per l’intera Camera dei Rappresentanti ed un terzo dei Senatori.

Fino a pochi mesi fa il presidente Donald Trump viveva di rendita. Un repubblicano atipico questo Donald Trump, finito tra le fila del Grand Old Party quasi per gioco, come in una delle sfide del suo programma televisivo “The Apprentice”. Dopo aver superato a forza di battute piene di graffiante sarcasmo il massacrante filtro delle primarie dileggiando i suoi avversari ha inconsciamente capitalizzato sui sentimenti conservatori-populisti-razzisti del suo elettorato in un momento in cui nessuno pensava che realmente potesse battere Hillary Clinton. Poi il complesso e antiquato (e ingiusto) meccanismo degli Electoral Votes lo ha fatto salire alla Casa Bianca benché abbia ottenuto quasi 3 milioni di voti in meno della candidata democratica. E la quinta volta nella storia americana che questo è successo: la prima fu nel 1824 con John Quincy Adams contro Andrew Jackson. La seconda nel 1876 con Rutherford B. Hayes contro Samuel Tilden, la terza nel 1888 che vide Benjamin Harrison sconfiggere il presidente in carica Grover Cleveland, la quarta nel 2000 con George W Bush che con le famose schede elettorali “non del tutto perforate” si accaparrò tutti gli electoral vote della Florida e superò Al Gore. 

A novembre, come detto, si voterà anche per un terzo del Senato. Quest’anno anziché 33 sono 35 senatori (Georgia e Arizona avranno una elezione speciale. Il senatore repubblicano della Georgia, Johnny Isakson si è dimesso a gennaio 2019 per motivi di salute e il governatore Brian Kemp ha nominato pro tempore Kelly Loeffler. In Arizona, invece, il senatore John McCain è morto ad Agosto 2018 e il governatore Dog Ducey ha nominato pro tempore Jon Kyll, il quale a sua volta ha annunciato che avrebbe ricoperto il ruolo solo fino alla fine del mandato naturale di McCain e che non si sarebbe candidato).

Attualmente il Senato è composto da 100 Senatori, due per ogni Stato. I repubblicani hanno la maggioranza con 53 seggi. I democratici hanno 45 seggi. Ci sono due senatori indipendenti (Bernie Sanders, del Vermont e Angus King Jr. del Maine) i quali però hanno sempre votato insieme ai democratici. Per ottenere la maggioranza i democratici dovrebbero aggiudicarsi 3 o 4 seggi (dipende da chi vincerà le presidenziali poiché il vicepresidente è automaticamente anche il presidente del Senato e in caso di parità 50 a 50, potrebbe dare il voto di maggioranza).

In Arizona l’astronauta Mark Kelly, marito della congresswoman Gabby Gifford, gravemente ferita in un attentato, viene dato per favorito nella elezione che lo vede candidato per il partito democratico contro l’attuale senatrice Martha McSally. In Colorado l’ex governatore democratico John Hickenlooper è considerato favorito nella corsa contro l’attuale senatore Cory Gardner. Nello stato del Maine la veterana repubblicana Susanne Collins è in gravi difficoltà contro la speaker del parlamento statale, la democratica Sara Gideon. I sondaggi vedono la Gideon con 10 punti di vantaggio sulla Collins. In Montana i sondaggi danno il governatore democratico Steve Bullock in superiorità di 8 punti sull’attuale senatore repubblicano Steve Daines. In North Carolina il senatore repubblicano Tom Thillis, indirettamente invischiato nello scandalo dell’altro senatore repubblicano Richard Burr per la vendita di azioni prima che Wall Street sprofondasse, è in perdita di consensi dopo che si è schierato contro gli aiuti federali ai singoli stati in seguito alla crisi del Covid-19. I sondaggi lo danno in svantaggio contro il suo sfidante, il Senatore statale Cal Cunningham.

Un capovolgimento clamoroso sempre che i 12 senatori democratici che si presenteranno all’elettorato vengano tutti riconfermati.

I delegati alla Convenzione di Philadelphia del 1787 firmano la costituzione degli Stati Uniti (quadro di Howard Chandler Christy, presso il Campidoglio di Washington). Seduto al centro, Benjamin Franklin, che volle la clausola riguardante la procedura di impeachment inserita nell’articolo sul potere esecutivo

Più complicata la situazione alla Camera dei Rappresentati. Qui tutti e 435 i parlamentari sono in lizza. Attualmente la Camera Bassa e composta da 233 democratici e 197 repubblicani per un totale di 430. Quattro repubblicani hanno lasciato vuoti i seggi: Duncan Hunter, si è dimesso in seguito ad uno scandalo finanziario che lo ha visto deviare dei fondi elettorali per uso personale, Mark Meadows si è dimesso dopo che il presidente Trump lo ha chiamato alla Casa Bianca per nominarlo suo Chief of Staff. John Ratcliffe è stato chiamato anche lui dalla Casa Bianca per essere nominato direttore della National Intelligence. Il congressman Chriss Collins si è dimesso dopo che un’indagine federale lo ha incriminato per inside trading.

Il 12 maggio si sono tenute due elezioni speciali: una in California per sostituire la dimissionaria democratica Katie Hill coinvolta in uno scandalo sessuale e John Duffy, congressman repubblicano, dimissionario per motivi di salute. In tutte e due le elezioni hanno vinto i candidati repubblicani: Mike Garcia per il seggio della Hill e Tom Tiffany per il seggio di Duffy. Tutti e due i candidati hanno ottenuto l’appoggio elettorale di Trump. Un segnale? Un caso? Ancora troppo presto per poterlo dire.

Da aggiungere che alla fine del mandato 9 Democratici, 27 Repubblicani e un Libertarian (il congressman Justin Amash del Michigan), hanno deciso di abbandonare la Camera dei Rappresentanti e quindi non si ricandideranno.

GLI SCENARI:

  1. Trump vince le elezioni. I Repubblicani mantengono la maggioranza al Senato e la riconquistano alla Camera dei Rappresentanti. Sarebbe la soluzione ottimale per il GOP. Una possibilità alquanto remota comunque vista la voglia di cambiamenti radicali chiesta dall’elettorato e per il forzato coinvolgimento del governo federale nella gestione finanziaria del post Covid-19.
  2. Trump vince le elezioni, mantiene la maggioranza al Senato, ma non riconquista la maggioranza alla Camera. Sarebbero altri quattro anni di costanti litigi, di ulteriori divisioni, di esacerbanti confronti e conflitti.
  3. Trump vince le elezioni, ma perde la maggioranza sia al Senato che alla Camera. Sarebbe questa l’agonia politica per il presidente con un parlamento che farà di tutto per metterlo nuovamente sotto inchiesta e questa volta ha i voti per l’impeachment.

    Joe Biden (Illustration by Antonella Martino)
  4. Biden vince la presidenza. I democratici ottengono la maggioranza al Senato e alla Camera dei rappresentanti. Sarebbe la soluzione ottimale per il partito dell’asinello. Si potrebbero varare le grandi riforme, si tornerebbe a parlare di Ambiente ed energia alternative. Si potrebbe varare il piano della rivitalizzazione delle infrastrutture, ponti, tunnel, autostrade, aeroporti. Un piano molto importante per ridare occupazione e sviluppo alla Nazione dopo la crisi causata dal Covid-19.
  5. Biden vince la presidenza, ottiene la maggioranza alla Camera, ma il Senato resta ai repubblicani. In questo caso si tornerà a fare politica. L’immobilismo dopo la crisi del Covid-19 non sarà una possibilità.
  6. Biden vince le elezioni, ma perde la maggioranza alla Camera e al Senato. Anche in questo caso si tornerà a fare politica la crisi economica causata dal Covid-19 non permetterà l’immobilismo politico.

Sei scenari politici ma in tutti i casi i piani di aiuto economico in favore delle aziende sono stati preparati. Ora resterà da controllare se i finanziamenti saranno impiegati per rivitalizzare l’occupazione dopo la gravissima crisi o se finiranno, come fu dopo il crac causato dalla crisi dei subprime nel 2008, nelle accoglienti braccia di selezionati banchieri. Il fatto che molti burocrati di alto rango che svolgevano il ruolo di controllori delle spese dipartimentali sono stati allontanati e sostituiti con compiacenti e meno zelanti funzionari “amici” dell’Amministrazione. Ed ecco che le elezioni del 3 novembre assumono un altro ruolo. Non si tratta più di scegliere solo un president, ma di difendere i valori della democrazia, della verità, dell’onestà.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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