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Cara Silvia – Aisha, bentornata! E scusaci per l’ultima tortura dei nostri “leoncini”

Cara Silvia Romano ti scrivo, dopo qualche giorno dal clamore del tuo arrivo in Italia, quando dopo mesi in mano ai rapitori sei passata al tritacarne mediatico

Paola OrricobyPaola Orrico
Cara Silvia – Aisha, bentornata! E scusaci per l’ultima tortura dei nostri “leoncini”

Silvia Romano in Africa prima del rapimento (Immagine ripresa dalla pagina FB @freesilviaromano)

Time: 5 mins read

Cara Silvia,

Bentornata.

Ho aspettato che il clamore del tuo arrivo in patria natìa fosse sbollito per scriverti due righe; quelle che traducono in modo meno incerto il  pensiero che custodisco da giorni.

Ti chiedo scusa perché sei stata gettata in un gigantesco tritacarne mediatico; da cui dubbiosamente credo che tu  sia ancora uscita. Occorrerà tempo e pazienza per curare le tue ferite, noi empatici possiamo solo sentirne il sapore ferroso del sangue ma la profondità delle stesse lacerazioni – la conosci solo tu.

Cara Silvia potresti essere mia figlia – una sorella – una amica persa e ritrovata; faccio mio il sentimento di milioni di italiani che ha esultato e gioito in modo sguaiato quando ha saputo della tua liberazione; personalmente non ho scavato oltre: la mia felicità per te è stata totale.

Ti ho pensata spesso in tutti questi mesi di prigionia dolce Silvia – perché così è stato.

Sei stata segregata per interminabili giorni durante i quali tutti noi abbiamo temuto spesso per la tua stessa incolumità.

Nessuno di noi (sani di mente) ha pensato che tu fossi a spassartela in un villaggio turistico o ospite gradita di una famiglia felice keniota o somala; nessuno di noi ha mai pensato che tu a causa della tua giovane età avessi bisogno di egoistiche emozioni forti; nessuno di noi – ripeto – persone perbene ha mai messo in dubbio l’innocenza e la purezza del tuo progetto originario: andare in un paese bellissimo e ricco di umanità (conosco il Kenya e so cosa dico) a far del bene a dei bambini sfortunati in un orfanotrofio.

Gli sventurati, i poveri, i derelitti in Kenya non sono gli stessi che sono in Italia.

La situazione in Africa è socialmente e dal punto di vista sanitario ed economico molto diversa dall’Italia anche se paradossalmente il Kenya è una terra baciata da Dio (quale Dio? Il mio, il tuo? Non importa) in quanto a risorse naturali e preziose  se non fosse che sia stato amministrato e gestito per anni come una riserva mineraria in mano ai soliti governanti  fagocinanti  e corrotti.

In Kenya non è passato alcun Alcide De Gasperi o amministratore illuminato per farla breve, ma solo “capi” che hanno pensato più al loro tornaconto che a quello del loro popolo, ridotto alla fame.

Orbene – visto che ho visitato personalmente orfanotrofi e strutture dedicate all’infanzia in loco – tanto da adottare a distanza un bambino keniota dalle guanciotte piene che si chiama Talmon, potrei dirti che la tua è stata una scelta coraggiosissima che io a venti due, venti tre anni mai sarei riuscita a compiere.

Partire dal proprio paese con lo scopo preciso di andare a fare del bene con una onlus marchigiana.

Tutto bellissimo ed encomiabile.

Così rispondo anche alla miriade di commenti velenosi sulla tua “missione” in terra africana ; come saprai i leoni da divano  sono quelli che  amano  giudicare  mentre si  affannano in  imprese ardue come quelle di cambiare il canale alla tv o piazzare fake news sui social.

Tu però cara Silvia  nella tua impresa eri sola, una goccia in mezzo all’oceano che può fare l’oceano – ma solo se protetta da qualcuno o qualcosa, non diventando la  preda preferenziale per un romanzo noir successivo fatto di rapimenti, segregazione e terrore continuo.

Tu ed il tuo encomiabile esempio di solidarietà non eravate che una mercanzia da gestire e piazzare  al miglior offerente; non sei stata trattata con rispetto né amicizia – sei stata bensì salvaguardata e mantenuta in vita perché – alla fine della fiera – fruttassi denaro.

Il premier Giuseppe Conte accoglie all’aereoporto di Ciampino Silvia Romano (Foto dal twitter di Palazzo Chigi)

Sul tuo riscatto e sul prezzo che è stato pagato (riscatto sì, riscatto no, non si saprà mai con certezza) non potrei dire nulla di certo se non che  umanamente e consapevole della  volontà di farti tornare a casa dalla tua famiglia,  io avrei   pagato “quel” riscatto;  anche se  il rovescio della medaglia è quello che con quei soldi  si siano ulteriormente foraggiati proprio loro, i tuoi carcerieri, i terroristi della peggior risma, gli aguzzini di libertà e di ogni ragionevolezza: il gruppo di Al–Shabaab ormai padrone  in Somalia e purtroppo attivo anche in Kenya – seppur in modo minore.

Al–Shabaab non sono propriamente i Fatebene fratelli – un ordine che semina scuole, strutture sanitarie, aiuti per l’infanzia e per le donne in difficoltà; Al – Shabaab semina terrore e morte e se ti concede di vivere, scordati ogni libertà conosciuta.

Tu non sei stata amorevolmente curata e trattata come una gradita ospite,  tu sei stata manomessa fisicamente e psicologicamente per ben diciotto mesi – sballottata da un villaggio all’altro – sotto la minaccia di chissà quali inferni terreni e celesti.

Quanto tempo ti occorrerà Silvia per ritrovare te stessa?

E che ne sanno i leoncini da tastiera di tutto ciò che avrai subìto in modo esplicito o implicito?

Qui in Italia durante il lockdown le persone  si  sono magicamente trasformate in  cantanti e musicisti da balcone,  fornai, pasticcieri, smartworkers da salotto, giardinieri – penso che tu dopo diciotto mesi di segregazioni abbia il diritto di esserti anche convertita all’Islam.

Te lo dico sinceramente.

Sulla libertà religiosa io non faccio distinzioni o sconti di sorta: se hai scoperto una Fede nuova – hai tutto il diritto di praticarla – l’Italia è meravigliosamente garantista in tal senso; se invece col tempo capissi che il tuo novello percorso religioso non è stato che un modo per sopravvivere al sopruso, arriverai a razionalizzarlo tu per prima.

In entrambi i casi,  Silvia – Aisha bentornata.

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Paola Orrico

Paola Orrico

Parlare di sé stessi è sempre molto difficile: si rischia di scadere nel retorico o di minimizzare - facendo uno sfoggio di modestia. Citerei piuttosto una frase di Gerry Spence: “Il modo in cui le persone si muovono è la loro autobiografia in movimento.” - perché credo fermamente che siano le azioni a qualificare meglio le persone. Ho fatto tante cose, continuo a farle; sono sempre in movimento perché - nonostante la mia proverbiale pigrizia - ho una mente rumorosa. Sono una giornalista che ha studiato giurisprudenza ed una giornalista che è diventata insegnante di Italiano per stranieri. Amo moltissimo tutto ciò che significa “introspezione”: leggere, scrivere, insegnare. Possiedo una tossicodipendenza da gatti - da quando sono nata e sono attratta da tutto ciò che è ignoto ed oscuro. Forse sono un po’ Wicca inside. Sono alla perenne ricerca della Verità - perché sono una che scava finché non trova qualcosa. Sono essenzialmente una persona introversa: alle mie stranezze però ho imparato a voler bene.

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