La scorsa settimana, a due anni di distanza dal risultato del referendum sulla brexit, il Primo Ministro britannico, Theresa May, ha reso nota la bozza di accordo tra Eu e UK in preparazione per il ‘dopo Brexit’.
L’uragano politico non si è fatto attendere: dopo poche ore il Sottosegretario del ministro, Dominic Raab, si e dimesso, seguito da una mezza dozzina tra ministri e sottosegretari di stato.
Eventi che stanno in questi giorni mettendo in discussione anche la leadership di Theresa May. Infatti, i nemici nel suo stesso partito, hanno dato il via alla raccolta delle 48 lettere per la richiesta di dimissioni del primo ministro e dare luogo ad una crisi di governo.
Nei contenuti dell’accordo contestato si evince che seppure la May sia riuscita a strappare un buon accordo in relazione al controllo dell’immigrazione, abbia invece ceduto troppe regalie sulla questione irlandese.
In base agli accordi, per la EU, sia che si delinei una ‘hard o soft’ Brexit e’ necessario mantenere il ‘backstop’ sull’Irlanda; vale a dire l’accordo in base al quale la EU e la Gran Britannia si impegnano a mantenere aperto il confine commerciale fra le ‘due Irlande’ continuando a seguire le regole del mercato unico europeo e la unione doganale. Questo accordo, già presente nel Trattato di Pace fra le due Irlande, è di critica importanza per favorire il clima di tranquillo status quo tra il Nord Irlanda e la Repubblica Irlandese.
Avendo la May recepito questo punto in toto le critiche dei Tory dissidenti hanno affondato le lame fino a definire la presente bozza di accordo un ulteriore passo che declasserebbe il UK a ‘stato schiavo e vassallo della EU’.
In questo clima e con la consapevolezza che la bozza di questo Brexit dovrà essere sottoposta al voto del parlamento verso la metà di Dicembre, è molto probabile che la May dovrà collezionare un altro fallimento: oltre ai numerosi conservatori nemici in casa, a votare per il No si calcola che saranno 50 MPs in favore del Brexit, una dozzina del partito scozzese già insoddisfatti per la nuova regolamentazione della pesca e campeggiati dall’europeista Nicola Sturgeon, Primo Ministro di Scozia, una buon parte dei laburisti e tutti i membri del Partito Liberale fortemente a favore del Remain.
Nel caso in cui la May dovesse chiedere una estensione dei tempi per il raggiungimento di un accordo politico il rischio è una penalizzazione di 10 miliardi che si vanno ad aggiungere ai 39 miliardi già dovuti dall’ UK per la sigla del divorzio.
Intanto ad affinare le lame per la battaglia sono i laburisti che al momento, in base ai sondaggi sono al 39% contro il 36% dei Tory: ottimo momentum per nuove elezioni.
Il rischio di non giungere in sede parlamentare ad un accordo ha indotto la May a mettere il guardia i suoi MPs prospettando il rischio di un nuovo referendum.
È ciò che i tanti giovani Britannici stanno aspettando dopo avere manifestato il 20 Ottobre in 700.000 nel centro di Londra. La protesta anti-brexit promossa dal comitato ‘People’s Vote’ raccoglie le voci di forze giovanili e intellettuali, spinte da forte entusiasmo e motivazione, che ha raggiunto in questi giorni il 58% del consenso a livello nazionale, in base ai dati dei sondaggi della Opinium Poll.
La Voce ha chiesto al Prof. Federico Varese della Oxford University un parere sulla situatione attuale: “E’ molto difficile prevedere cosa succederà ma mi sembra logico che si potrebbe prevedere un secondo referendum in cui dovrebbero essere chiari i modelli di rapporto con la EU, cosa che è venuta a mancare nel primo referendum . Il movimento ‘leave’ auspicava l’uscita dalla EU senza chiarirne i dettagli. Una delle ragioni del caos attuale”.
Ma optare per un secondo referendum e quindi bypassare il voto già espresso, non potrebbe danneggiare il senso della democrazia? La Voce di New York lo ha chiesto a Richard, uno dei giovani partecipanti alla manifestazione anti-brexit di Londra ed esperto in ricerca sociopolitica: “Si, indubbiamente potrebbe essere messa in discussione la legittimazione del sistema democratico. Ma il dibattito attualmente coinvolge anche il sistema democratico britannico (maggioritario) che necessita di riforme. Allo stato attuale noi siamo certi che con la Brexit l’economia Britannica sarà danneggiata e a pagarne le conseguenze saremo noi, nuova generazione”.