Enrico Letta, appena ha ricevuto il voto di fiducia del Senato, è subito volato da Angela Merkel. Il giorno dopo, eccolo stringere le mani del Presidente François Hollande. Ma perché Berlino e Parigi devono per forza essere le prime tappe internazionali del nuovo premier dell’Italia? Perché no Atene o Lisbona?
Dopo il discorso di Letta a Montecitorio, con il sogno degli “Stati Uniti d’Europa”, fossimo stati al posto dell’Enrico cuor d’europeo non avremmo scelto di andare prima nei paesi piú potenti dell’Ue. Avremmo invece scelto quelli che in questo momento soffrono di più. Soprattutto alla vigilia del Primo Maggio, saremmo andati in quei paesi dove non c’è lavoro, l’economia stagna, dove i debiti fanno chiudere aziende e fanno temere il peggio. Avremmo portato il saluto del nuovo premier italiano in quelle nazioni europee nelle stesse o peggiori condizioni dell’Italia. Questo proprio per il “sogno” che Letta ha descritto dicendo che l’Italia non ha alternative se non si realizzerá. Ma gli Stati Uniti d’Europa non nascono andando a “baciare le mani”, come facevano i vassalli con i loro principi o i capibastone con i loro boss.
L’Unione europea dell’euro, alla prima grande crisi dalla sua nascita, rischia di sfaldarsi. Ma vedere un leader italiano, o spagnolo, o portoghese, andare subito a farsi conoscere dal re di Francia o dalla regina della Grande Germania, non salverá l’Unione. Perché gli Stati Uniti d’Europa che Letta ha detto di sognare, non sarebbero allora gli stessi che sogniamo da New York.
Letta a Berlino ha detto che “non c’è stata abbastanza Europa” e che bisogna subito rendere operativa l’Unione bancaria, l’unione economica, quella di bilancio e l’unione politica. Un traguardo da raggiungere, dice Letta, con una “forte intesa fra Germania e Italia”. E poi Letta ha detto alla Merkel: “Noi non abbiamo nessuna intenzione di dire ai cittadini tedeschi cosa devono fare, così come sappiamo che i cittadini tedeschi non hanno nessuna intenzione di dire cosa dobbiamo fare”. Sarebbe tutta qui l’Unione degli Stati d’Europa? Non sarebbe la stessa di quella che sogniamo da New York.
Gli Stati Uniti d’America, nei loro 250 anni di storia, hanno resistito a sconvolgimenti ben piú gravi dell’attuale crisi economica in Europa – dalla Guerra civile alla Grande depressione del ‘29 – e questo perché la loro Unione si basa su una Costituzione forte e condivisa. È grazie a questa Carta di Filadelfia, che gli Stati Uniti affrontano e superano sempre uniti le crisi, perché sanno di essere ’E pluribus unum’, un motto scritto su ogni dollaro perché la moneta ha un valore economico ma è anche il simbolo di una condivisione di valori nazionali.
Ma cosa sta facendo veramente l’Europa per salvare non tanto l’euro, ma il suo processo unitario? L’Europa ha bisogno immediatamente di una riforma istituzionale per un governo, oltre che il Parlamento, eletto direttamente dai suoi popoli. Senza piú cancelliere o presidenti di governi europei che nell’Ue sono “più uguali degli altri”. La forza federale degli Stati Uniti fu una geniale creazione istituzionale proprio perché nessuno dei piú piccoli stati delle ex colonie potesse sentirsi in balia delle decisioni degli stati più grandi e popolati. “E pluribus unum” anche per l’Europa, significa avere un senato europeo con due senatori per ciascuno stato, non importa quanto ricco e potente sia la Germania: avrà gli stessi senatori del Portogallo o la Grecia. Perché solo cosí “E pluribus unum”.
I cittadini europei dovranno poter eleggere direttamente il presidente della loro Unione. Sicuramente gli stati piú popolosi (Francia, Germania, Italia, Spagna) avranno piú chance di esprimere e scegliere un leader, come accade negli Stati Uniti con la California, Texas, New York… Solo cosí sarebbe “E pluribus unum”, solo cosí da molti uno, per degli Stati Uniti d’Europa finalmente realtá anche a Bruxelles.
Peccato, se Letta fosse andato prima ad Atene e Lisbona o anche a Dublino, invece che a Berlino e Parigi, il suo sogno, il nostro sogno, sarebbe stato meno lontano.