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November 6, 2012
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Perché deve vincere Obama. Non è per l’economia, stupid!

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 4 mins read

Stasera dovremmo sapere a chi toccherà dal 20 gennaio 2013 la responsabilità sulla nazione più potente della terra.  Certi sondaggi ci obbligano ad usare ancora il condizionale perché Barack Obama e Mitt Romney negli "Swing States" resterebbero ancora troppo vicini, anche se il presidente continua ad avere un leggero vantaggio. Cioè il mondo potrebbe svegliarsi all’alba di domani senza la certezza su chi sarà l’inquilino della Casa Bianca per i prossimi quattro anni?

L’eventualità da "incubo 2000", analizzando accuratamente i sondaggi, ci appare remota. Obama resta il favorito e, rischiando di essere smentiti tra poche ore, dovrebbe raggiungere agevolmente almeno 300 grandi elettori.

A settembre scrivemmo che, dopo aver ascoltato Romney alla convention del Gop, eravamo ormai convinti che la scelta migliore fosse la riconferma di Obama. A quel punto, scrivemmo, "soltanto il presidente potrebbe ‘mess it up’, complicarsi da solo la rielezione, perché per quanto riguarda il suo contendente Mitt Romney, egli non ha fatto altro che agevolare la rielezione di Obama".

Puntualmente Obama ha cercato di "complicarsi" la rielezione con quel saporifero primo dibattito a Denver in cui, dopo aver lasciato campo libero a Romney, ha rischiato la clamorosa rimonta. Infatti l’astuto ex governatore del Massachusetts, una volta conquistata la nomination del Gop, negli ultimi due mesi aveva rispolverato i toni elettorali del centro allontandosi dalle posizioni estreme del "Tea Party" e riuscendo così a flirtare con coloro che, come chi scrive, non votano per "partito preso" ma guardano prima al candidato e alle sue proposte messe in campo.

Ma Romney, che non era mai riuscito a convincere nemmeno lo zoccolo duro dei repubblicani, non ha mai mostrato di possedere quelle idee e quel carisma per esprimerle per ottenere dagli indipendenti la spinta per superare Obama. L’unica ragione che ha fatto rimanere l’ex governatore del Massachusetts ad una distanza che consente ancora un minimo di "suspense" per questa sera, non deriva dai suoi meriti ma dalle oggettive difficoltà di chi governa da quattro anni. I numeri sulle condizioni dell’economia e sulla disoccupazione Usa, pur migliorando negli ultimi mesi, sono ancora tali da aver appannato la popolarità del presidente, con il suo famoso slogan che cambia in "No, I can’t". Traduzione: Obama ha avuto la grande fortuna di ritrovarsi come contendente Romney, la scelta dei Repubblicani ha infatti facilitato le sue chance di rielezione.

Detto questo, leggendo le opinioni sui principali giornali americani che tendono a preferire la vittoria di Obama, si nota una "caduta della tensione" sull’eventualità di una improbabile ma ancora possibile vittoria di Romney. In sostanza, l’ex governatore mormone non spaventerebbe più, anche se dovesse centrare una clamorosa rimonta: la sua conquista della Casa Bianca non sarebbe più "la fine del mondo". Perché il businessman Romney sarebbe dopotutto in economia un "pragmatico" e forse avrebbe più chance lui di portare a buoni consigli certe frange estreme del Congresso per trovare le "sintesi" possibili per sbloccare le riforme necessarie. Insomma o Obama o Romney, questa la tesi di fondo, le tasse per i ricchi comunque dovranno aumentare e la spesa pubblica comuque non potrebbe essere tagliata troppo. Romney, con il suo spostamento al centro degli ultimi mesi, avrebbe confermato che per certi problemi macroeconomici, chiunque si ritrovi alla Casa Bianca, dovrà fare delle scelte non dettate dalle ideologie di partito. Obama o Romney, una volta nello Studio Ovale, tenderebbero a confondersi, con sfumature diverse, nella moderazione del "centro" che è poi quello che farà vincere queste elezioni.

Su questa tesi non sarei così sicuro ma passi l’ottimismo di certi analisti. E anche nella politica estera probabilmente le differenze risulterebbero minori di quelle che si temono.

Però qui crediamo che la tensione debba restare alta affinché gli elettori "swinger" scelgano Obama e risparmino così agli Stati Uniti, ancora Paese guida del mondo, una presidenza Romney. E le ragioni non sono dovute a problemi economici o strategici. Già, questa volta "It’s not the economy, stupid!", che terrorizzerebbe nello svegliarsi domani mattina con Mitt Romney "President Elect".

Probabilmente Romney governerà l’economia "al centro", perché i democratici anche con una minoranza al Congresso, sarebbero in grado di ostacolare efficacemente una presidenza troppo ideologica repubblicana. Ma Romney dovrà comunque ripagare l’appoggio avuto dalle frangie estremiste del Gop, e lo farà nella possibilità che la sua presidenza avrà di rimodellare gli equilibri della Corte Suprema per i prossimi vent’anni! Basterebbe che nei prossimi quattro anni il giudice liberal Ruth Ginsburg, la più anziana nella corte, fosse sostituita da un "giovane Antonin Scalia", come ha scritto efficacemente Nicholas Kristof sul New York Times, e gli Stati Uniti potrebbero essere riportati, soprattutto sui diritti delle donne, indietro di un secolo.

Mitt Romney non è John McCain. La sua statura politica nel Gop, praticamente nulla, non gli consentirebbe di non cedere a certe pressioni iper conservatrici. President Mitt Romney per essere rieletto alla Casa Bianca non potrebbe mancare l’occasione per una sua nomina alla Corte Suprema, sarebbe costretto a cedere alle pressioni del "tea party" e dei "born again".

Proprio così, non sarà per l’economia che oggi Obama deve vincere.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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