Piove in Lombardia, il pomeriggio del 27 ottobre 1962. Intorno alle diciannove, in atterraggio su Milano Linate, precipita nella campagna di Bascapé, vicino Pavia, un velivolo Morane-Saulnier 760, decollato a Catania. Con il pilota Irnerio Bertuzzi muoiono il giornalista di “Time-Life” William McHale e il presidente dell’Ente Nazionale Idrocarburi, Eni, Enrico Mattei. Rientra dall’incontro con la popolazione di Gagliano, preoccupata del futuro del giacimento di metano là scoperto. Ha voluto rassicurare personalmente che “tutto quello che è stato trovato è della Sicilia”, dichiarando: “Noi non portiamo via il metano, rimane in Sicilia per tutte le industrie”.
Le indagini investigative e le perizie dei tecnici tranquillizzano l’opinione pubblica nazionale e internazionale, concludendo che si è trattato di uno spiacevole incidente. Ma sono in molti a scrivere da subito che è un “caso” tutto da chiarire, sospettando che all’origine del disastro aereo ci sia un complotto. In mezzo secolo, in tanti (Francesco Rosi con il film “Il caso Mattei”) proveranno a dare sostanza alla tesi. Vi riesce in parte il sostituto procuratore di Pavia Vincenzo Calia, che riapre l’inchiesta nel 1994. Afferma che “l’aereo venne dolosamente abbattuto” e che è delineato “il contesto all’interno del quale maturò il delitto”. La ricostruzione dell’accaduto, basata su riscontri tecnici, prevede che nel velivolo sia stata collocata una carica minima di “agente esplosivo”, non rilevabile ma tale da mettere a repentaglio la sicurezza di volo. Calia, però, “oltre i sospetti e le illazioni” non è in grado di indicare e perseguire né mandanti né esecutori
I sospetti e le illazioni guardano, in Italia, alla mafia siciliana: vuole mani libere nello sfruttamento dei giacimenti siciliani ed è contro l’ingresso socialista nel governo, chiesto dal presidente dell’Eni.
All’estero si appuntano sui settori che, in Francia, accusano Mattei di sostenere il Fronte di liberazione algerino nella lotta per l’indipendenza. Sul banco dei possibili accusati sfilano anche le sette sorelle petrolifere con i loro sostenitori nella macchina governativa statunitense: sono infuriati perché l’Eni fa alleanze autonome con i paesi produttori remunerandoli con royalities che le compagnie anglo-americane reputano scandalose, e perché in piena guerra fredda dialoga con Krusciov in Urss e Mossadeq in Iran
Enrico Mattei non fa sconti al suo personaggio. E’ da sempre volitivo e carismatico, e di una spanna più intelligente di chiunque si trovi davanti. E’ stato capo partigiano e imprenditore privato prima di essere designato dalla Dc, nel 1945, a “commissario straordinario dell’Agip”. Da quella posizione crea l’Eni e ne fa la piattaforma per rendere l’Italia potenza mediterranea con autonomia energetica. Domina la politica industriale nazionale e da lì invade la politica, pagando i partiti e giocando a scacchi con le correnti democristiane che decidono gli indirizzi del paese. Quando entra in collisione con Francia e Stati Uniti, diventa esorbitante e controverso anche in Italia. Roberto Faenza, il “Il malaffare” edito da Mondadori nel 1978, pubblica un florilegio di estratti di documenti Cia e Dipartimento di stato che chiedono incessantemente ai democristiani che si succedono alla guida del paese, la sua testa.
Mattei non ha lasciato eredi. Al potere si sono succeduti governi che hanno fatto pagare all’Italia la pesantissima fattura energetica che Mattei voleva evitarle. Lo stato ci ha speculato sopra, incrementando in modo ossessivo e odioso la percussione fiscale sui prodotti petroliferi.