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Nello spazio che “Visti da New York” ha il privilegio di ricevere su “America Oggi”, riporto parte di quanto pubblicato ieri nel blog di Beppe Grillo:
“Bomba o non bomba, arriveremo a Roma. Nell’aria c’è odore di zolfo, ma il cambiamento non si può arrestare. Se tre indizi (il ferimento di Adinolfi a Genova, la bomba di Brindisi e le continue esternazioni sul ritorno del terrorismo) fanno una prova, allora ci sono ottime probabilità del ritorno di una stagione stragista. (…) In questi giorni ricorre il ventennale della morte di Falcone, un uomo di grande intelligenza e di immenso coraggio che sapeva di dover morire. La sua morte fu un monito a chiunque volesse un cambiamento radicale, un rinnovamento. Falcone viveva a Roma, lavorava al ministero di Giustizia, era pedinato dalla mafia e poteva essere ucciso con un semplice colpo di pistola in ogni momento. Lo sventramento di Capaci fu un messaggio, un monumento di sangue (…) Lo stesso trattamento fu riservato a Borsellino che sapeva perfettamente di essere un morto che cammina, un Cristo laico che si avviò consapevole al martirio, tradito da una parte dello Stato di cui era esemplare servitore.?Nei momenti di cambiamento o meglio in cui il cambiamento si manifesta possibile, le forze che vogliono mantenere gli interessi costituiti, economici e politici, bussano alla porta con grande energia. Le bombe e gli attentati sono il loro biglietto da visita. I fatti del dopoguerra ci hanno insegnato che godono dell’impunità.?(…) Bomba o non bomba, arriveremo a Roma…”
Niki Vendola ha criticato queste parole cosí: “Di dietrologia si puó anche morire”. Per il loro contenuto o perché le ha dette Grillo?
Parole cosí esplosive le ha dichiarate Pietro Grasso, che non é un “demagogo dell’antipolitica” ma l’attuale Procuratore nazionale antimafia ed ex collaboratore di Giovanni Falcone. Grasso ci ha parlato di “movente destabilizzante”.
Il Presidente Giorgio Napolitano ha chiamato a Palermo la mafia “anti stato” ma, ci permettiamo di obiettare, la mafia é piú “doppio stato”: la mafia per essere tale deve “convivere” con l’autoritá costituita con cui spartisce poteri e gestione della violenza. Lo Stato legittimo dovrebbe decidere di dichiarargli guerra e distruggerla. Ma, se non si sente forte abbastanza o, peggio, se crede che la “convivenza” possa portargli vantaggi (come nel 1947 a Portella della Ginestra o in altri anni bui della Repubblica), ecco che lo Stato puó lasciare alla mafia il ruolo di “strumento di governo locale”.
Il presidente Napolitano, sempre a Palermo, ha invocato che servono “veritá rigorosamente accertate e non schemi precostituiti” sulle stragi. Quindi, per ammissione dello stesso Presidente giá ministro degli Interni (‘96-‘98), sugli anni delle bombe non é stata fatta chiarezza. E nel promettere la cattura dei colpevoli (non solo esecutori, please) per la bomba di Brindisi, crediamo che Napolitano abbia cosí indicato che bisogna prendere anche i colpevoli delle stragi precedenti.
Tutto puó servire per l’accertamento della veritá. Secondo una mia “fonte qualificata”, la scorta di Falcone, quella che morí a Capaci, non era la sua scorta “storica” che per tutti gli anni Ottanta lo aveva protetto a Palermo e che aveva ricevuto un addrestramento speciale e che, sempre secondo questa fonte, non avrebbe mai “commesso certi errori, come ripetere sempre lo stesso percorso all’arrivo del suo aereo da Roma o di consentire che si lasciasse guidare il giudice” (l’autista di Falcone, Giuseppe Costanza, si salvó perché era sul sedile posteriore ndr). La scorta “storica” di Falcone, sempre secondo la fonte, “era stata costretta a ‘cambiare aria’” e a Falcone sarebbe stata assegnata a Palermo una scorta di coraggiosi poliziotti ma che, sempre secondo la fonte, non avevano ricevuto lo stesso speciale addestramento.
Vero? Falso? Cercheremo di saperne di piú. Intanto ci sembra che Grillo e Napolitano siano d’accordo su un punto: la veritá sulle stragi di Falcone e Borsellino ancora non é stata accertata.