A corrente alternata, ma con sostanziale continuità, a cominciare dall’inchiesta “Sistemi criminali”, aperta da Caselli a ridosso del suo insediamento quale Procuratore della Repubblica di Palermo, negli ultimi vent’anni un’ipotesi ha aleggiato, e forse tutt’ora aleggia, sulla strage di Capaci e su quella di Via D’Amelio: che non siano state solo crimini di Mafia, e che su di esse si siano spese losche quanto altolocate convergenze. Con un nome su tutti: Berlusconi Silvio da Milano Da vent’anni si cerca una sentenza che queste ipotesi avvalori. Da vent’anni la ricerca risulta vana. In questa ricerca il Gruppo L’Espresso-Repubblica si è speso diuturnamente e quasi ossessivamente. Con varie propaggini e coordinazioni anche in ambito televisivo Ora, non è che le ipotesi storico-critiche non siano legittime. Anzi. Solo che sono cosa diversa dalle imputazioni. Passare direttamente dalle une alle altre è pretenzioso e, soprattutto, inutile.
Sicchè, a proposito del ventennale della strage di Capaci, si possono fare delle considerazioni analoghe a quelle sopra esposte, ma senza pretese giudiziarie. Solo per ricordare alcuni “corsi e ricorsi storici” e per nutrire così, come si diceva un tempo, lo spirito critico. Leoluca Orlando è stato appena rieletto Sindaco di Palermo. Nel corso di una “storica” diretta televisiva, accusò Falcone di insabbiare le indagini sui delitti Mattarella, La Torre e altri, vale a dire sui c.d. delitti politicomafiosi.
La diretta era di Santoro. L’incauta invettiva si alimentava del rancore suscitato in quegli ambiti dall’incriminazione per calunnia mossa da Falcone a carico di un collaboratore che aveva accusato Lima di essere mafioso. Anziché prendere atto della decisione dell’autorità giudiziaria (cioè di Falcone) si preferì l’insinuazione.
Le cose peggiorarono quando egli decise, accettando la proposta del socialista Claudio Martelli, allora ministro della Giustizia, di assumere il ruolo di Direttore generale degli Affari Penali. Nel Gennaio del 1992, quattro mesi prima di essere ucciso, “Repubblica” lo accusò, con un articolo dal titolo “Falcone, che peccato” a firma di Sandro Viola, non proprio l’usciere di Largo Fochetti, di “febbre da presenzialismo”; di essere perciò dominato “dal più indecente dei vizi nazionali” (cioè il presenzialismo); aggiungendo irridente che, al punto in cui era giunto spinto da questo terribile vizio, forse Falcone “non potrebbe placarsi con un paio di interviste l’anno”; e che, anche dalle pagine del suo “Cose di Cosa Nostra”, si avvertiva “l’eruzione di una vanità…come se ne colgono nelle interviste del ministro De Michelis e dei guitti televisivi”; concludendo indignata (attributo della Casa) che “nessun paese civile ha mai lasciato che si confondessero la magistratura e l’attività pubblicistica”. Così Repubblica. Questa è un opinione, per carità. Magari “un filino” infelice, ma è un’opinione. Non è questo però il punto. Il punto è che poco dopo un mese sarebbe stato arrestato Mario Chiesa, e sarebbe cominciata, con l’epopea del Pool Mani Pulite, non la confusione, ma la completa identificazione fra certa) magistratura e (certa) attività pubblicistica.
Sarebbe stato eletto un Presidente della Repubblica, fra Capaci e Via d’Amelio, a cui nessuno avrebbe prima pensato; che avrebbe officiato prima l’abbattimento, a colpi di avvisi di garanzia, del Governo Amato (ma dopo la maxi-manovra terroristica concertata con Ciampi-Governatore); quindi avrebbe nominato proprio Ciampi a presiedere un governo tecnico, mentre si completava la “soluzioni finale” dei partiti storici (tranne uno), e poi avrebbe condotto il suo settennato all’insegna di una costante legittimazione della “supplenza” di Borrelli & C. (a partire dall’inopinato rifiuto di controfirmare il D.L Biondi, proprio da “Repubblica” lapidato come “colpo di spugna”). E sempre libero di starci e di non starci.
Se tutto fosse stato pulito, se cioè quel quella opinione su Falcone fosse stata limpida, si potrebbe oggi forse ridiscuterne, oppure no, chi lo sa. Ma una circostanza rende opache quelle uscite. Quell’articolo è stato cancellato dagli archivi di “Repubblica”, come ogni altro di quel periodo che si poneva in termini analoghi su Falcone.
Perché non contavano Falcone e le sue indagini; contava (e conta) solo che si “era messo con Craxi”, cioè col nemico del Gruppo De Benedetti, cioè con il più consapevole rappresentante della classe politica che avrebbe posto più di una domanda e più di una condizione su Maastricht e sull’Euro. E sull’agglomerato anglo-bancario retrostante, di cui Largo Fochetti si è sempre fatta plaudente cassa di risonanza. Il tritolo di Capaci, insieme alla “rivoluzione italiana”, piombò l’Italia in una paresi decisionale e valutativa da cui non ci siamo più riavuti.
Il deserto di oggi è figlio soprattutto di quelle bombe. E il fatto politico più rilevante, dagli anni ’90 fino ad oggi, la gemmazione impropria di quel deserto, non è stata solo Berlusconi. Soprattutto, più di tutto, è stata l’Euro. L’ordine di grandezza è questo.
Si coltiva l’oblio per raccogliere potere. Lo fanno in molti. Anche “Repubblica”. Pure questa è un’ipotesi, naturalmente.