Roberto Saviano ha chiesto quattro milioni e settecentomila euro, a titolo di risarcimento del danno, al Corriere del Mezzogiorno perché, afferma, sarebbe stato diffamato. Come? In una lettera al predetto giornale, la signora Marta Herling, nipote di Benedetto Croce, aveva replicato ad un racconto, esposto per la prima volta da Saviano nel corso dello spettacolo televisivo “Vieni via con me”, e poi riproposto in una pubblicazione omonima edita da Feltrinelli, secondo cui nel 1883 il filosofo, allora diciassettenne, travolto dal terremoto nella sua Casamicciola, vistosi perduto (e ne sarà falcidiata la sua famiglia), avrebbe offerto centomila lire a chi lo avesse salvato.
Il racconto, pegno maldestro di sedicente cultura, non risultava seriamente fondato, ma (come ricordava la Herling, storica di professione) al più riconducibile a voci raccolte da un turista tedesco del tempo, di cui si legge in un apocrifo attribuito a Croce, ma mai nemmeno lambite dall’unico documento letterario certo del filosofo, “Memorie della mia vita”, che si sia soffermato sull’episodio di lui giacente sotto le macerie. A questo primo rilievo, si poteva aggiungere la considerazione che il giovane Croce pronto a salvarsi pagando una somma di denaro (ma, se anche fosse stato, qual è il problema?), veniva ricordato durante il commento alle vicende della c.d. cricca, che si sarebbe arricchita di corruttele a spese dei terremotati de L’Aquila. Ovvio che la nipote-storica, nella sua lettera di replica, volesse far constare il suo disappunto: mazzette per tutti, in ogni tempo sismico, sembrava suggerire l’infelice accostamento. Così nella lettera si legge che Saviano avrebbe “orecchiato” la ricostruzione contestata Lo stile è l’uomo, si dice. E, come pure usava dire qualche anno fa, Saviano ha perso una buona occasione per tacere. Quattro milioni e settecentomila euro, oltre che una pretesa tanto smodata da risultare ridicola (orecchiare è orecchiare, nient’altro) scoprono il fianco savianeo in termini inemendabili: o lo svelano avido, o lo svelano minaccioso.
Poiché l’opinione della Herling (non siamo di scuola Fornero) era una critica tipicamente letteraria (si discute di fonti), poteva Saviano limitarsi a rispondere su questo terreno, magari ricorrendo ad un lessico del pari brioso e frizzante: ne avrebbe beneficiato la sua prosa, plumbea e monocorde, e così gravata di subordinate ansimanti e di pletoriche elencazioni da risultare non di rado illeggibile; e ne avrebbero beneficiato anche i suoi lettori.
Per rimediare, ha invece precisato che non intendeva dare del corruttore a Croce: oltre che surreale e pacchiana precisazione (e c’era bisogno che ci tranquillizzava lui!), se si fosse fermato lì, sarebbe però bastata almeno a chiudere l’incidente, confidando tutti nella dissolvenza indulgente in cui talvolta finisce pure il brutto, oltre che il bello della TV. Perlomeno, ne sarebbe uscito con l’onore delle armi E invece no. Così, a quel punto, il riferimento tanto roboante, cavato a conferire una patina di erudizione meravigliosa ad un parlottare intriso di sagrestanesimo petulante e simil deamicisiano, è rimasto da solo a fluttuare fra le telecamere, senza neanche un senso apparente: se non doveva servire ad infiocchettare malamente il discorso su Anemone &C, quale il destino del povero Croce? E così la goffaggine si è rivelata in tutta la sua presuntuosa velleità.
Saviano è stato investito da un ondata emotiva di consenso e approvazione, dovuta, presumo, alla giovane età, al coraggio civile che gli è stato intestato, al suo volto netto e ingentilito da una voce pulita. In gran parte, cioè, a caratteri e meriti comunicativi familiari all’Homo Videns, per dirla con Sartori. E da questo subito percepiti e positivamente interpretati. Ma, dopo i primi due capitoli, nel seguito del suo Gomorra si potevano rinvenire (con un’attitudine, viceversa, distonica rispetto alla media corrività del nostro odierno comunicare) ragioni sufficienti per stimare quel consenso e quell’approvazione calibrati in eccesso. Anzi, non calibrati affatto.
Mestamente, la richiesta lo svela pure abbarbicato ad una gestione tutta Marketing&Promo di un profilo ormai solo sacerdotale e baldanzosamente amministrativo, che mentre brandisce l’intolleranza, a rinnegare l’essenza stessa del confronto e del dialogo, anche aspri, la pone a reddito, in una involuta mercificazione che tratta il pensiero “di principio” come un sinistro stradale.