Dall’avvocato Fausto Capelli che mi ha mandato il suo libro “Una battaglia di civiltà e per lo sviluppo. Combattere la corruzione e prevenire lo sperpero del pubblico denaro”, devo qualche citazione storica e politologica. Muovo dall’affermazione che la corruttela sia come i topi, che possono sterminare la specie umana e sopravviverle.
Luciano Canfora ha scritto in “La natura del potere”: “Pericle, grande demagogo e perciò corruttore del popolo. Feste e lavori pubblici erano il grande strumento di consenso: salario per impegni di lavoro interminabili e cibo più ricco del solito grazie alle feste”. Filologo e polemista eccelso, Canfora denuncia un regime che, benché scintillante, degenerava a causa della corruzione. Decenni dopo persino un Demostene avrebbe preso bustarelle. Verre, governatore della Sicilia nel I secolo a.C., rubò all’erario romano più di 40 milioni di sesterzi, cavandosela con una multa di circa 3 milioni, corrompendo lo stesso Cicerone suo accusatore.
Catone il censore si spendeva contro Cartagine anche perché da lì veniva un olio che gli faceva concorrenza, e subì oltre 40 processi per corruzione. A Roma, racconta Sallustio, “ognuno afferrava quello che poteva, strappava, rubava. Tutto si divideva in parti, e si dilaniava lo Stato che stava tra loro. Lo Stato veniva governato dall’arbitrio di pochi”. Il costume era così diffuso che anche Sallustio si accomodò al banchetto salvando i glutei solo grazie a Cesare ricompensato con una villa a Tivoli.
I romani ignoravano quanto Dio aveva raccomandato a Mosè: “Non accettare regali, poiché il regalo acceca anche coloro che hanno la vista chiara e rovina le cause giuste”.
Quando nel 2004 ci fu l’eccidio nel villaggio di Beslan, Ossezia del nord, con seicento e forse più morti, in tantissimi appena bambini, gli abitanti se la presero con la corruzione delle autorità locali che avevano fatto passare armi ed esplosivi nel recinto scolastico. Dichiarò Aslanbek Badtiyeva, ex agente di polizia: “Qui la corruzione rende tutto caro. Gli agenti controllano decine di volte qualunque cosa, anche i barattoli di pomodoro: te li restituiscono solo se paghi. Come potevano passare inosservati armi ed esplosivi?”. Il 19 febbraio 2011, Lex Column in Financial Times descriveva l’Italia come paese autocratico, con "un’economia sclerotica, una cultura corrotta dal crimine organizzato, una classe politica controllata dalla gerontocrazia e un premier 74enne che ha molti aspetti di un classico autocrate arabo”. Chissà se a Londra sanno che questo paese ha avuto un presidente vecchio in età, Pertini, che si piccava di offrire al bar di tasca sua, e che aveva una moglie, l’ex staffetta partigiana Carla, che non volle mettere piede al Quirinale facendo dormire Sandro nel nido coniugale di Fontana di Trevi. In altri tempi, il ministro Benedetto Cairoli, persona rettissima, si pagava carrozza e pranzi diplomatici.
Esagerò persino, visto che la sua famiglia finì in rovina. La corruzione, insomma, è parte della storia politica, ma resta una scelta. Nel film di quarant’anni fa “In nome del popolo italiano”, Vittorio Gassman diceva: “La corruzione è l’unico modo per sveltire gli iter e quindi incentivare le iniziative.
La corruzione, possiamo dire paradossalmente, è essa stessa progresso”. Nella pellicola l’integerrimo giudice rovinava l’industriale mascalzone distruggendo la prova a discolpa. Forza della giustizia ingiusta!
Ci servono, caro Fausto, non tanto nuove normative quanto giudici che non guardino in faccia nessuno e applichino le leggi. Sono il solo topicida che può impedirci la morte di peste nera da corruzione.