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March 18, 2012
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FUORI DAL CORO/ Il diritto dei fatti

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
Time: 6 mins read

L’annullamento con rinvio per vizio di motivazione non vuol dire che l’imputato è innocente. Vuol dire che la motivazione è viziata, non che la decisione sia sbagliata. E’ un annullamento fatto non a favore dell’imputato. Ma a favore del diritto”. Così si conclude lo “Schema di requisitoria integrato con le note d’udienza”, redatto dal Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, Francesco Mauro Iacoviello. Non è un atto formale, perché la requisitoria è orale, ma appunti, sebbene strutturati e corposi. Tuttavia utili a rendere l’idea. Sarebbe dovuto bastare quel “non vuol dire che l’imputato è innocente” e poi quel “non (vuol dire) che la decisione sia sbagliata” per spiegare cos’è accaduto.

Non vuol dire che il senatore Marcello Dell’Utri sia innocente, ma per affermare che egli sia colpevole (o chiunque altro) sono necessarie le prove. Se il giudice che condanna non dà conto delle prove, o perché non ci sono, o perché non ha saputo spiegare che ci sono, la decisione è nulla; è, giustamente, come se non ci fosse (tamquam non esset, si dice nel latinorum dei giuristi).

E poiché una decisione, di condanna o di assoluzione, ci vuole perché si concluda un processo; e poiché la Corte di Cassazione ha giurisdizione sulle regole e non sul fatto, cioè non può stabilire se un determinato fatto sia o meno vero, ma se il Giudice di merito, nell’affermare che un fatto sia o meno vero, abbia seguito il processo anziché imporre al processo di seguire lui, per giungere ad una sentenza definitiva sul fatto, una volta stabilito che il giudizio di merito su Dell’Utri non era legittimo, si dispone che un altro giudice dello stesso grado (una Corte di Appello) lo ripeta: attenendosi alle direttive di procedura e di valutazioni imposte da essa Corte di Cassazione. Questo, in estrema sintesi, è l’annullamento con rinvio. Questa sarebbe ordinaria procedura penale. Niente di più. Niente di meno. Sarebbe. Ma non è. Non è, perché, com’è noto, il processo penale, in Italia, a partire da Mani pulite e dai processi Contrada, Andreotti e Carnevale, è divenuto il laboratorio in cui elaborare “filosofie della storia” e non accertamenti giudiziari. Ora, ogni filososportiamo fia della storia, ha una nervatura metafisica e “infuturante”, secondo cui i vari accadimenti storici si spiegano non per sé stessi, ma alla luce di uno scopo ultimo che tutti li illumina e li ordina in una sintesi superiore.

La potenza ordinatrice può essere Dio, in vista della Salvezza, il Proletariato, in vista della Società Comunista: ma, in ogni Filosofia della storia, ciò che conta non sono i fatti, in sé e per sé, ma il loro svolgersi, il loro tendere verso l’approdo definitivo. Sicchè, se una certa cosa si presenta nera, si può dire che, in verità, è bianca, perché, riguardata alla luce di quel fine ultimo, di quella sintesi superiore, si vedrà bene che è bianca e non nera.

Ora, questo va bene, o può andar bene, in sede storica e filosofica, dove non ci sono ceppi né si rischia, in termini rudemente immediati, la vita e l’onore. Va male, essendo un sentiero sdrucciolevole e insidioso, in sede giudiziaria. Perché antepone, anzi, impone, alla ricerca e allo studio dei fatti, un canone valutativo, sorta di “pozione magica” dell’intelletto, che può, in nome della meta finale, ridimensionare il contenuto di quei fatti, ovvero ampliarlo, negare o riconoscere importanza a questo o a quel particolare a seconda della rispondenza e della sua capacità di armonizzarsi con la “lettura filosofica”, con il moto verso il “fine ultimo”. Tutti i maggiori abomini storici hanno avuto veste giudiziaria e si sono potuti verificare per questa pericolosa sovrapposizione di letture sovrastoriche sulla microstoria del processo.

Se Berlusconi è stata una testa di legno di Stefano Bontade sin dall’origine, se ha dato mandato di uccidere Falcone e Borsellino, se, insomma è una figura corrispondente, se non peggiore e più pericolosa, dei più sanguinari capimafia, se Forza Italia è la Mafia e se vari milioni di italiani suoi inconsapevoli (forse) complici, se in queste quisquilie è stato fattivamente collaborato dal Senatore Dell’Utri, deve essere provato. Semplicemente e puramente. Invocare il primato e l’autonomia della Legge, della giurisdizione, non è, non può essere un esercizio retorico.

Altrimenti, se il primato della giurisdizione è solo un paramento per squallide e pur feroci lotte di potere, se di un annullamento con rinvio non si dice quello che va detto, cioè: scusate per i pasticci che abbiamo fatto e grazie per avercelo fatto notare, ma si rompe il giocattolo (che non è un gio cattolo) e si esce dal processo per entrare nell’insinuazione velenosa, nell’infamia della lordura calunniosa, nel presupposto autogiustificantesi, bisogna sapere che siamo molto oltre le libertà democratiche, che siamo alla squadracce, ai Commissari Politici che tutto potevano e tutto sapevano perché mandatari speciali della Verità. Non solo: ma se non si paga mai dazio, se ogni volta si può rilanciare, si può far saltare il tavolo, nessuno può sottrarsi alla perpetua persecuzione, allo stillicidio erosivo e divorante.

Come Mannino, che dopo diciassette anni è stato assolto e, qualche giorno fa, rimesso sulla graticola perché, forse, qualcuno avrebbe detto che, forse, lui avrebbe mediato, nicchiato, saputo, e così via sulle trattative, udite la precisione, il taglio chirurgico, fra Stato e mafia: dove? Quando? Con chi? Niente: è come Nightmare e Freddy Kruegher: fatto il primo, poi si possono fare tutti i sequel che si vuole.

Dicono: il Presidente del collegio è stato in passato un collega del Dott. Corrado Carnevale. Quindi la sentenza su Dell’Utri è impropria; in realtà non è nemmeno una sentenza, e quello, a dare pane al pane e vino al vino, non era un collegio giudicante, ma, nel caso migliore, pregiudizialmente indulgente.

Perché? Perché la Verità è quella che andiamo raccontando da quindici anni noi: Santoro, Travaglio, Ingroia, Ciancimino e perché Dell’Utri aveva frequentazioni mafiose. Questo, nonostante sul tema delle frequentazioni equivoche la buon’anima di Giuseppe D’Avanzo abbia impartito più di una lezione a Travaglio e, suo tramite, a chiunque l’abbia voluta apprendere.

Nonostante il Presidente Carnevale sia stato assolto nel merito, senza prescrizione o altro, da tutti i sette processi a cui è stato sottoposto in ragione di quella stessa “lettura filosofica.”

Quindi, se la Cassazione non riconosce la Verità, giacchè solo i suoi detentori sanno leggere gli atti, capire di prove, solo loro sanno di procedura penale, solo loro sono onesti e asettici, mossi dalla più pura delle intenzioni e delle volontà, allora bisogna gridare al complotto, bisogna attaccare, maledire, avvelenare, mestare e sobillare.

No. Questa non è libertà di espressione, né esercizio di cittadinanza consapevole. E’ sovietismo senescente. Fascismo isterico.

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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