Il Governo Monti nasce durante un oscuro attacco speculativo sui titoli di stato italiani, portato sotto le insegne dell’ormai arcinoto Spread. La storia personale del Professore, inoltre, registra rodata familiarità con quella che un tempo si chiamava “alta finanza”: Goldman e Bildelberg Group costituiscono una nota sintesi di simili, cospicue, aderenze. Poco prima di essere incaricato, mentre la Lira, eehm…scusate, volevo dire: lo Spread fra i nostri titoli del debito pubblico e quelli teutonici impazzava, ricevette il laticlavio dal Presidente Napolitano, un sontuoso e non elettivo imprimatur. I Partiti maggiori, più le risacche centriste, votarono senza fiatare la fiducia, offrendosi agli osservatori di tutto il mondo come truppe spalle al muro, libere solo di consegnarsi ad uno ieratico “Governo d’emergenza”.
Sicchè non pochi si dissero allarmati da una sequela così convulsa ed insieme fuligginosa di circostanze. L’ordinario svolgimento delle istituzioni democratiche, di fatto, sospeso; un governo insediato al dichiarato scopo di rintuzzare, mediante il gravoso scudo di maggiori tasse, l’avanzata di non meglio precisati “investitori internazionali”: a un tal fronte giunto senza mandato elettorale, pronunciando solo diktat e nella sospetta allure bancaria di cui si diceva. Non pochi altri, nonostante simili credenziali, invece, salutarono il Governo Monti come un “governo di liberazione nazionale”: chiamato certo ad un duro ed ingrato compito, cioè risollevarci dal precipizio in cui l’Italia era stata abbandonata dal Cavaliere, ma portatore, se non di certezze, almeno di speranze; giacchè “L’Egoarca” era stato abbattuto e, con lui, svaporato il tanfo lussurioso e criminale che aveva fatto da cornice alla sua insipienza politica. Sobrietà e competenza finalmente concorrevano a fondare il riscatto della Patria. Così, più o meno il Gruppo De Benedetti, Murdoch Italia e i settori radical di La 7. Tutto questo circa tre mesi fa.
In queste ore i vertici dell’Abi si sono dimessi, verrebbe da dire “in massa”, se non lo impedisse la loro topografia socio-economica. Perché il Governo Monti, con il c.d. Decreto Liberalizzazioni, ha (avrebbe) abrogato una buona parte del loro legittimato taglieggiamento chiamato commissioni (sui mutui più vecchi, sull’ex massimo scoperto ed altre). Ma come, Monti? Monti, Monti. Lo stesso che sull’art. 18, emblematicamente, sobriamente, fermamente, ha chiarito, insieme alla pur lacrimevole ma non meno determinata Ministro Fornero, che si ascoltano tutti, ma decide uno. Lo stesso che ha più volte precisato che non poche scelte e decisioni possono considerarsi in continuità con il governo precedente. Lo stesso che, mentre fa e dice tanto, riscuote il consenso di Obama e di Merkel. Lo stesso che mostra di considerare e accettare un solo alto patronage: quello presidenziale e che ora dice e non dice su una sua possibile candidatura dopo il 2013. Sì, questo Monti qui.
Allora le cose pare a molti siano cambiate. E infatti De Benedetti e l’inedito co-belligerante Murdoch e i radical La 7, non lo hanno mandato a dire. Quelli colti e che pagano le tasse, per intenderci, e a loro agio nei deficit democratici, quando il Parlamento è annichilito in qualche modo: o perché falciato da avvisi di garanzia e manette, come ai bei tempi di Tangentopoli, o perché “screditato”, come oggi si legge nell’ultimo manifesto di “Libertà e Giustizia”, modesto certificato di legittimazione democratica per chiunque aspiri a governare l’Italia. Monti compreso. Così, un giorno sì e l’altro pure, con la con consueta abilità propagandistica, diffondono i loro mugugni, le loro lividure trasversali, i loro avvertimenti: parlano a suocera perché nuora intenda.
Ma anche Berlusconi, da qualche tempo, non tace. Ribadisce la sua fiducia a Monti, non rompe ma non cede con la Lega, osserva attento ma quieto le mosse del PD e, addirittura, propone di ripetere l’esperienza tripartita anche dopo la fine della legislatura. Politicamente è improbabile. E’ più facile che quest’ultima uscita abbia solo valore tattico: sondare energicamente i centristi sul terreno della rispolverata “casa comune dei moderati”, dividere il PD, scrollare non pochi degli indecisi-infedeli a lui apparentemente vicini, svalutare i preziosismi della Lega. Se anche fosse, sarebbero movimenti congrui e, dal suo punto di vista, ben fatti.
Il fatto è che il Professore ha spiazzato tutti. Come Marchionne, ma, è ovvio, a più largo raggio. Ha spiazzato, con le posizioni tenute sull’art. 18, la cinquantennale pantomima fra certa Confindustria e certo sindacalismo, avversari a parole, ma in realtà sodali in un’ambigua cogestione di trasferimenti statali: buoni a socializzare i costi per l’una, a maneggiare mensilità e “protezione” per l’altro. Ha spiazzato le pretese tutorie dell’ “Italia che legge Repubblica”, con le più volte sottolineate continuità fra il proprio e il Governo Berlusconi. Ha spiazzato la Lega, che puntava a cavalcare lo scontato malcontento suscitato dalle nuove tasse, tuttavia saputo mitigare da una convincente comunicazione, certo professorale, ma pure sostenuta dai decrescenti costi frutto di un ridotto Spread. Ha spiazzato i sedicenti falchi del PDL, sempre più ai margini della loro inesistente proposta politica.
Non si può dire fino a quando durerà. Ma il quadro della sua possibile azione si va allargando. Sempre meno frequentemente giungono smentite quando si ripropone il tema delle riforme; per non parlare del fatto che le annunciate liberalizzazioni implicano necessariamente un’azione propriamente politica, del tutto autonoma dal ristretto ambito finanziario a cui teoricamente doveva limitarsi. Fra gli interventi rubricati come liberalizzazioni, quelli sul c.d. beauty contest delle frequenze televisive e, correlativamente, sulla Rai, sembrano descrivere una confluenza esplosiva. Che una rete interessi l’Ingegnere, magari per impiegare i 750 milioni di Euro ricevuti da Mediaset, in forza di una sentenza autonoma e indipendente, manco a dirlo? O all’etereo Tycoon australiano?
Ma no, che c’entra. Loro non pensano a queste cose. Loro la sera leggono Kant.