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January 29, 2012
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Il futuro piú probabile

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 4 mins read

A fine gennaio l’attacco era stato programmato per il 5 maggio, a un mese dal 45esimo anniversario della ‘Guerra dei sei giorni’. Ma la caduta nei primi di marzo del regime di Assad e la guerra civile scatenata in Siria ed estesa anche in Libano, aveva congelato i piani. Sicuramente l’attacco sarebbe comunque avvenuto prima del voto americano di novembre.

Intanto anche in Egitto la situazione rimaneva caotica,  il nuovo governo uscito dal Parlamento eletto democraticamente non riusciva a districarsi dalla tutela dei militari che esercitavano i loro poteri di veto e col pugno di ferro avevano imbavagliato la primavera araba. Inoltre il viaggio “segreto” a metá marzo di alti ufficiali egiziani a Mosca, subito dopo la rielezione alla presidenza di Putin, aveva messo in grave allarme Washington che almeno aveva saputo grazie ai servizi israeliani.

In Giordania intanto la crisi dell’ondata di profughi dalla Siria aveva scosso il regno hashemita, ma un intervento del Consiglio di Sicurezza con l’invio di una missione Onu al confine tra i due paesi aveva salvato il re Abdullah II che restava comunque in bilico.

In Iraq era ormai scontro aperto tra shiiti e sunniti, dal ritiro americano i morti erano giá oltre diecimila e il governo di Nouri Al Maliki si era del tutto consegnato ai protettori di Teheran. Persino in Libia la situazione era tornata bollente, molte cittá erano ricadute sotto la bandiera verde delle tribú lealiste all’ex regime di Gheddafi mentre arrivavano da Tripoli rapporti su addestratori russi e cinesi nel deserto libico.

Il nervosismo tra i paesi del Golfo era schizzato piú in alto del prezzo del petrolio, ed era vistosa la schizzofrenia dell’Arabia Saudita e degli altri emirati che spingevano per l’attacco e allo stesso tempo erano terrorizzati dalla reazione iraniana scatenata anche contro di loro. In Yemen poi, dopo  neanche una settimana dalle elezioni presidenziali del 21 febbraio, una strage kamikaze di Al Qaeda aveva ucciso il neo presidente Abd al-Rab Mansur al-Hadi facendo riprecipitare il paese nel caos.

Ma ecco, nella notte del 17 giugno, con il Primo Ministro Bibi Netanyahu e quello della Difesa Ehud Barak, riuniti giá da cinque ore con gli altri membri del cabinet israeliano per la decisione finale, arrivare l’ultimo scioccante rapporto del Mossad: “Confermato: l’Iran ha ricevuto dalla Corea del Nord, via Pakistan…”.

Questi foschi pensieri di pura fantasia cosí terribili quanto possibili, mi frullavano in testa sabato mattina, dopo che aprendo i siti internet dei due piú grandi quotidiani italiani e scendendoli fino in basso, ho notato che non c’era neanche una notizia sul Medio Oriente sempre piú incandescente. Anzi, sugli esteri non c’era proprio nulla. Eppure in Siria si spara ancora di piú e continuano ad esplodere bombe a Baghdad, ma é come se per l’Italia in questo momento nel mondo non succedesse  nulla di cosí rilevante. Tutti a tenere gli italiani concentrati solo sui patemi della propria crisi economica, come se questi fossero miracolosamente  staccati dalle miccie accese a due passi dalla Penisola. Su via, sul web lo spazio non é cosí limitato,  un titolo e foto visibile su certe notizie sarebbe proprio facile per un grande quotidiano (noto che almeno “La Stampa” di Mario Calabresi sabato mattina, a differenza di “Repubblica” e “Corriere”, aveva in evidenza ampi servizi dal Medio Oriente). Infatti bastava quella stessa mattina andare sui siti dei maggiori quotidiani Usa, ma anche francesi o inglesi, e certe notizie erano in primo piano.

Lo scenario sul futuro possibile dei prossimi sei mesi che avete letto sopra l’ho immaginato mentre scorrevo quelle notizie, e presumo che un conflitto armato che potrebbe scoppiare nei prossimi mesi tra l’Iran e Israele, una guerra che potrebbe tirarsi dentro non solo gli Stati Uniti, potrebbe avere imprevedibili e apocalittici scenari.

Giá, tutto quello che potrá accadere entro la fine del 2012 in Medio Oriente ha delle potenzialitá molto piú devastanti di una seppur gravissima crisi economica. Ma per avere qualche chance che gli scenari piú terribili non si avverino, l’opinione pubblica dei paesi che contano dovrebbe restare informata e dovrebbe conoscere il piú possibile delle ragioni (o follie) dei contendenti.

Soprattutto il giorno seguente quello della memoria, riesco meglio a comprendere le ragioni di Israele e cosa la spinge ad impedire a tutti i costi che un regime come quello iraniano, che ha piú volte professato la negazione dell’Olocausto e dichiarato che il “sionismo” (leggi Israele) debba essere cancellato dalla faccia della terra, possegga l’arma nucleare.

Sia chiaro: un paese importante come l’Iran, se continuerá a volerla, quella bomba prima o poi l’avrá. Ma quello che per Israele resta giustamente inaccettabile é che ci possa arrivare con l’attuale regime.

Sembra che oltre agli Usa di Barack Obama, finalmente anche l’Ue di Merkel e Sarkozy (e l’Italia di Monti-Terzi) voglia far sul serio con le sanzioni per l’ultimo tentativo di convincere Teheran a desistere. Ma se quello che dicono certi rapporti, non solo israeliani, dovesse essere confermato, e cioé che il regime degli Aytollah sarebbe ormai a pochi mesi dalle capacitá di lanciare la bomba, allora é troppo tardi. Bisognerá tutti quanti informarci e preparci alle conseguenze di quello che potrebbe accadere.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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