Ci sono 11 morti e 24 dispersi nella scia della Costa Concordia. Migliaia di tonnellate di carburante minacciano un gigantesco sversamento, danni per circa un miliardo di Euro sono stati stimati, un colpevole è sicuro e il resto si vedrà. Perché, pronti ad ammettere l’errore, state pur certi che avvistare una sentenza definitiva diventerà presto questione di fede, una terra promessa. Lo spettacolo, infatti, è ora; subito questa tragedia si doveva spalmare sui palinsesti; senza indugio si dovevano esibire telefonate, interviste, ricostruzioni tecniche sulla dinamica dell’accaduto. Subito.
Il fascicolo del Pubblico Ministero, dove le telefonate sarebbero meglio custodite, le interviste raccolte come “sommarie informazioni”, le prime ricostruzioni sulla dinamica dell’accaduto offerte d’urgenza da consulenti legittimamente nominati, in contraddittorio con la difesa degli indagati, può attendere. Tanto Francesco Schettino è stato, prima fermato, e poi ristretto nel domicilio. Il processo, quello vero, è già finito.
Lo scafo è sottoposto a sequestro, ed è corpo del reato. Sebbene urgano le operazioni di rimozione, è facile prevedere che quelle di rimessaggio provvisorio e poi di demolizione (se mai interverranno, giacchè la materia dello ship breaking pare quanto mai sfuggente e ambigua) richiederanno tempo; e, seppure “ai fini dell’accertamento del reato”, come si dice, queste ultime non servano granchè, a questi tempi, a queste propaggini infinite, ci si aggrapperà per giustificare una prima, mostruosa, elongazione delle indagini. Nessuno protesterà. Forse qualche parente delle vittime, ma la sua voce farà da comparsa e da involontario spot nelle immancabili riprese che, passando i mesi e poi gli anni, in “piazze”, “salotti” e “tolcsciò” pregni di compunzione memorialistica, del naufragio verranno immancabilmente proposte. Ma niente di più. Le indagini preliminari dureranno anni, e il processo, stanca e inutile appendice di queste, anche di più. Ma poco importa: perché, il processo, quello vero, è già finito.
Eppure non sarebbe impossibile agire diversamente. La colpa, in senso giuridico-penale, di Schettino è facile da tradurre in imputazione: la manovra detta “dell’inchino” ha deviato tanto dalla rotta come dalla distanza minima di navigazione sotto costa; essa è stata frutto di trascuratezza, dunque, la manovra e il complesso degli elementi psicologici, traducibili in termini di sciagurata sciatteria, che ne hanno sorretto l’esecuzione, avrebbero causato l’evento, cioè il disastro. L’Accusa è presto fatta.
Sapere se era in compagnia, dove si trovava al momento dell’impatto, se e quanto aveva bevuto, se e per quanto ha esitato ad emettere i provvedimenti di competenza, se ha immotivatamente abbandonato la nave, come si è condotto subito dopo, sono tutti fatti utili e facili da accertare (in realtà già noti) ma, comunque, non determinanti ai fini della possibile colpa. Quello che conta è la manovra e la sua imperizia esecutiva; le altre possibili “acquisizioni” possono avere aggravato il disastro (e probabilmente così è) ma, ribadito che sono per lo più fatti noti, non dovrebbero costituire ostacolo ad un rapida chiusura delle indagini preliminari.
Né mancherebbero gli indispensabili elementi di ordine tecnico: si conosce che vi è stato uno squarcio, la sua dimensione, la sua posizione rispetto allo scafo; il suo farsi varco di allagamento per la sala macchine; la rotazione della nave per effetto di un grave straordinario (la sala macchine allagata e sommersa) e definitivamente squilibrante; la perduta funzionalità del pescaggio, e quindi dei comandi, fino al timone. Né si può dubitare che i Consulenti tecnici incaricati di validare una simile ricostruzione debbano agire d’urgenza e, perciò, secondo la procedura degli “accertamenti tecnici non ripetibili” che comporta un’accelerazione al loro svolgimento e, nel caso di specie, considerato l’incombere di un possibile inabissamento, una spiccatissima accelerazione.
Quanto ai racconti delle persone che, a vario titolo, hanno visto, hanno udito, hanno vissuto, c’è solo, purtroppo, abbondanza; e sono tutti lì, tranne i dispersi. Un fiume di “sommarie informazioni” (di mare sarà bene non parlare) che possono essere raccolte, anche su delega del Pubblico Ministero: e, se fosse necessario, a rimpolpare i ranghi della Polizia Giudiziaria di Grosseto, basterebbero degli ordini di servizio, che sono poche righe su un foglio di carta intestata.
La relazione di consulenza, anche per il ricordato incalzare delle mareggiate, potrebbe essere consegnata nel giro di poche settimane. E, su questo punto, si badi: non sarebbe necessario un trattato mondiale su navigazione e naufragi: non servirebbe. Nessuno si offenda: è come un incidente stradale di grandi dimensioni: misurazioni, calcoli, valutazioni su reperti visibili. Non serve andare sott’acqua e fotografare una per una le cabine, i ponti, gli alberi, misurare ogni passamano e chissà cos’altro. C’è uno scoglio, c’è stata una manovra, uno squarcio, si è imbarcata acqua, e una manovra “a monte” ad avere innescato il tutto. Questo il compendio tecnico-scientifico della vicenda. Perciò, per metterlo nero su bianco, un mese dovrebbe bastare.
Per i danni materiali e psicologici subiti dai passeggeri e dalle vittime, è ancora più facile: ci sono i referti di pronto soccorso (mobile o negli ospedali); si fotocopiano, si allegano e si procede. In corso di processo, sarebbe poi cura degli interessati integrare l’eventuale aggravamento o il maggior tempo di compiuta guarigione, con annessi calcoli, quantificazioni e richieste di risarcimento; e, in ogni caso, nel processo penale, al più, si assegnano provvisionali, cioè somme parziali e provvisorie, se non intervengono prima transazioni definitive con le compagnie di assicurazione.
La vastità della sciagura, dunque, non c’entra. Si potrebbe fare presto e bene, e consentire a Schettino di avere un processo, anziché una lapidazione. Gli altri ipotetici colpevoli? I vertici della Concordia e le loro scelte di reclutamento del personale? I membri delle capitaneria che conoscevano “l’inchino” e negli anni, lo hanno consentito? Se ci sono, emergerebbero, con chiarezza, nel corso del processo ad un primo “troncone” di accusati (come si fa nei processi in cui i possibili intrecci di responsabilità consigliano di agire gradualmente e per conferme successive, reati di c.d. criminalità organizzata in primo luogo). Se quanto emerso nel primo processo avesse consistenza indiziaria sufficiente, sarebbe poi utilizzabile dalla Procura della Repubblica per istruire un’altra serie di imputazioni.
Il processo, il dibattimento, al netto di patteggiamenti e di giudizi abbreviati, potrebbe svolgersi in una decina di udienze. In sei mesi da oggi si potrebbe avere una sentenza. E così, anche gli eventuali altri processi non assumerebbero cadenze millennaristiche.
A “contrastare” la barbarie di spettatori infoiati, di un giornalismo lenone e di istituzioni sacrileghe.
Ma dove? Nel sogno che abbiamo appena fatto. Qui, il processo, quello vero perché finto, è già finito.