Atroce guardare, come capita in rete questi giorni, Marines che orinano sui cadaveri dei nemici, e il commilitone che li filma preparando un trofeo da mostrare a parenti ed amici, perché vuol dire che la democrazia statunitense non sa insegnare ai suoi uomini in missione la pietà verso il nemico e il rispetto dei cadaveri. E’ atroce vedere in Siria, Iran, Egitto, in tanti paesi africani e asiatici, esseri umani al servizio del despota o del capo etnico e religioso di turno, uccidere in modi spesso ignobili, con odio razziale e religioso, migliaia e migliaia di oppositori. L’orrore della guerra, la volontà di umiliazi- one e sterminio del nemico sono nella storia e non sorprendono. Ma la violazione delle regole minime del dirit- to internazionale e del diritto naturale va contrastata con severità. Può aiutare in questa direzione, il libro di un bibliotecario di Richmond in Virginia, Matthew White, uscito un paio di mesi fa in inglese e italiano, da Brockman a New York e da Ponte alle Grazie a Milano. "The Great Big Book of Horrible Things”, alias "Il libro nero dell’umanità”, narra i cento peggiori episodi della storia umana, indicandone cause e responsabilità, ambientazione storica, numero delle vittime, modalità di risoluzione. In questo modo propone il varo di un nuovo approccio ai fatti della storia, dove l’eroe della tradizione diventa più prosaicamente il grande macellaio di turno, il criminale che indossa i panni dell’uomo di stato per prostituire gli interessi della nazione o di un popolo alle proprie ambizioni di dominio e spoliazione.
E’ la storia universale delle relazioni internazionali (il ponderoso volume di White abbraccia vicende arcaiche come le guerre persiane e il periodo degli stati combattenti cinesi, insieme ad avvenimenti contemporanei come il caos somalo) interpretata in chiave di atrocitologia. Apre l’elenco la Seconda Guerra Mondiale, 66 milioni di vittime a bilancio; lo chiudono, 300 mila vittime ciascuno, quattro avvenimenti, tra i quali due contemporanei, le dittature di Idi Amin (1971-1979) e di Saddam Hussein (1979-2003). In mezzo il doppio sterminio di 40 milioni di esseri umani perpetrato dai dispotismi asiatici di Gengis Khan e di Mao Zedong, i 27 milioni di vittime delle carestie dell’India britannica tra i secoli XVIII e XX, i 4,2 milioni di caduti della guerra del Vietnam, i 3,5 milioni di gladiatori squartati nei giochi (sic!) tra il 264 a.C. e il 435, i 695 mila morti della guerra civile americana.
Dalla narrazione e dai, rarissimi, giudizi espressi dall’autore, si deriva almeno una considerazione. Non sempre l’uomo è stato vittima del suo istinto belluino; in taluni tempi e luoghi ha teso a distinguersi dall’atrocità istintiva delle fiere (il fera latino dà origine a termini italiani come feroce, fiera, ferale, collegando l’istinto famelico delle belve all’assassinio crudele). Omero, sulla questione, ci ha detto tutto nel raccontarci di Priamo che vince l’"ira funesta” di Achille e ottiene il corpo di Ettore. White ci spiega che nella Cina delle Primavere e degli Autunni (770-475 a.C.) si aiutava l’auriga nemico a togliere la biga dal fossato prima di riprendere ad inseguirla, e che solo nel periodo degli stati combattenti (475-221 a.C.) lo stile cavalleresco fu sostituito dalla spietatezza.
Così Tolstoj scrisse di atrocità, guardando alla guerra russo-cecena, che White non cita: "I fienili erano stati bruciati, gli alberi?… spezzati?…, gli alveari in cenere. La fonte inquinata?… la moschea profanata. Nessuno parlava di odio per i russi, perché il sentimento provato da tutti i ceceni vecchi e giovani era più forte dell’odio. Non era odio (…) ma era una tale repulsione, un tale disgusto, il non riuscire a capacitarsi di una tale insensata crudeltà”. Era il 1852; quell’atrocità è ancora in corso.