Auguri, cari lettrici e lettori. Un pensiero speciale a chi non si sente in forma, a chi ha motivo di sofferenza e dolore, a chi si trova a vivere la festa della famiglia nella solitudine dell’abbandono o della separazione imposti. In tempi di evidente crisi, non solo economica, dobbiamo riprenderci il Natale che il consumismo e l’irreligiosità ci rubano. Natale tutto coccarde e lustrini è baraccone del Luna Park, non celebrazione del neonato di Betlemme, l’opportuna occasione di spiritualità per credenti e non credenti.
Natale vuol dire “nascita”, e infatti oggi si celebra il parto del Dio dei cristiani, che “abitò fra noi” per redimerci dalla colpa biblica. Per l’apostolo Paolo il fatto più significativo della vita di Cristo fu la resurrezione, per la Chiesa la Pasqua resta la liturgia più importante. Penso che unicità e grandiosità della vicenda di Gesù stiano soprattutto nell’incarnazione e nella nascita dell’uomo che affermò di essere anche Dio: mistero dal quale ebbe inizio la teofania, fondamento del cristianesimo senza il quale nessuna resurrezione avrebbe potuto prodursi.
La Chiesa ha scelto di collocarne il ricordo in questi giorni, corrispondenti al solstizio d’inverno, che i pagani usavano onorare con particolare solennità. Quei popoli, immersi nei ritmi della natura e degli astri, guardavano al “fermarsi” del Sole (solstizio, in latino è lo “stare del sole”) e alla ripresa della luce. Dal secondo secolo i romani arricchirono la tradizione con i culti della divinità solare Mitra, importati dalla Persia, e il 25 dicembre cominciò ad essere considerato il “giorno della nascita del Sole invitto”, il Dies natalis Solis invicti. Nel IV secolo, sulla consuetudine fu fondata la festa del Dies natalis cristiano, trasferendo nel religioso il rapporto tra luce e buio invernali: l’arrivo di Cristo sulla Terra è vittoria della grazia luminosa sul buio del peccato.
Partendo dal concetto di fondo, ogni civiltà convertita al messaggio evangelico ha costruito la sua sintesi, accomodando gli antichi riti alle nuove esigenze: dagli scandinavi sono venuti edera e mirto con i falò notturni, dai luterani tedeschi l’albero e dagli egizi l’abitudine di decorarlo. Noi italiani abbiamo messo il presepe animato da san Francesco a Greccio nel 1223, trasformato dal Settecento napoletano in opera d’arte plastica. Natale diventa “Babbo” in Inghilterra nel 1327, e Santa Klaus a Manhattan nel 1809. Stupirà molti leggere, guardando nel proprio salotto l’albero di Natale con le lucine e gli addobbi colorati, che il poeta romano Virgilio descrisse la festa per il passaggio dall’inverno alla primavera come processione di ragazzi con “giovane abete”,
Non vi è necessariamente opposizione tra le liturgie pagane della luce e quelle cristiane della nascita. Lo scandalo del Dio che “scende dalle stelle” e viene “in una grotta, al freddo e al gelo”, esorta alla distanza dalle ricchezze materiali, dà la chiave di interpretazione della sofferenza e della povertà, soprattutto in relazione a quella che noi sappiamo sarà la vita e la morte del pargolo di Betlemme. E’ utile meditare il mistero, si creda o non che lì ci fosse il divino. Si pensi ai tre Maghi che dall’oriente viaggiano per riconoscere il Bimbo e fargli doni. Sono guidati dalla sapienza umana, e dalla cometa, non da fede cristiana che non possono ovviamente avere. Non mi convince il politically correct che sta soppiantando con i Season’s Greetings il tradizionale “Buon Natale”. Ad ebrei islamici buddisti per le loro feste, a chi celebra compleanni o le vittorie della propria squadra, si fanno auguri collegati all’evento. L’evento di oggi è la nascita di Gesù, o no? Per questo, cari lettrici e lettori