Alcuni fatti diventano emblematici per le reazioni che suscitano. Altri per quelle che non suscitano. Così è, oggi, per la c.d. tracciabilità bancaria, introdotta con la manovra appena varata dal Governo Monti. I movimenti dei conti correnti privati accesi nel territorio della Repubblica (o di “Repubblica”?) saranno leggibili e utilizzabili dalla Agenzie delle entrate. Automaticamente. Incessantemente. Totalmente. Pare una cosuccia. Per lo meno a giudicare dalla generalizzata quiete che ha ovattato il provvedimento: con le lodevoli eccezioni di Oscar Giannino e Piero Ostellino, tuttavia non proprio presenze fisse nel prime time, nonostante la loro autorevole autonomia di giudizio, o forse proprio per questa.
E’ una (nuova) regola liberticida. Degna della Stasi, la regina delle polizie segrete sovietiche. Va detto senza timore di apparire ingenuamente allarmati. O, peggio, callidamente interessati. Equivale, ma proprio equivale, ad intercettazioni disposte H24 su ogni conversazione, comunque, da chiunque, dovunque svolta. All’annotazione di qualsiasi spostamento dopo aver introdotto l’obbligo del passaporto per muoversi da un marciapiede all’altro. Surreale e micidiale ad un tempo. E’ il mai sopito ululato famelico e primitivo della Bestia Totalitaria, sempre pronta a risorgere, a presentare il suo volto mostruoso e non velato da un rinnovato travestimento sulla ribalta della storia.
Esattamente come si faceva nella ex DDR, dove anche il padre denunciava il figlio e viceversa, non perché i tedeschi della “Zona” fossero affetti da inalienabile malvagità, ma perché manipolati dal terrore di una minaccia costante e totale, una minaccia che solo uno Stato onnipresente e ringhioso poteva brandire e che induceva una preternaturale trasformazione dell’uomo in spia. Con lo scavo quotidiano nella vita di ognuno, in ciascuno dei suoi più intimi e minuti aspetti, con il potere di deportazione, di lapidazione, di infamia, quando non direttamente di vita o di morte, mascherato da sanzione legittima con cui lo Stato doveva difendere gli interessi collettivi della comunità, venne impiantata nelle menti e nei cuori degli Ossis, reclusi in quel carcere speciale che fu la DDR (ma non solo), l’inumana consuetudine del sospetto, della delazione, dell’immondo mercimonio fra sé e il prossimo.
Oggi il volto antropofago di apparati sibilanti nell’ombra si fa digitale: non si tutela più la Rivoluzione ma il Bilancio, non si persegue più il controrivoluzionario ma l’Evasore, non si cinge più un mondo con un muro di cemento armato, ma con l’ineffabile perversione della Legge. Prima, si impone la mone-ta elettronica (vale a dire bonifici, POS e, in generale, ogni strumento di pagamento che postula un conto corrente bancario o parabancario) per tutti i pagamenti, tranne quelli di fatto riconducibili alle sole spese strettamente alimentari; quindi, si trasforma ogni movimento bancario (anche inferiore alla soglia, come per es. un prelievo per una successiva spesa in contanti che, così, benché sotto la soglia, può in realtà essere ugualmente monitorata nel suo immediato presupposto, cioè la formazione della provvista) in materia di sospetto di possibile afflizione. Legittima, s’intende, perché la statolatria ha sempre le carte a posto: ammoniva Kafka, com’è noto particolarmente sensibile alla violenza e alla morte irrorate con timbri e marche da bollo, che “Le catene dei popoli sono fatte con le carte della burocrazia!”. Cioè, degli apparati dello stato. Che oggi va scritto minuscolo.
Non è che sia mancata Echelon. E’ che lo sfondo sottoculturale di questa trovata, riverbera eco mai spente, riapre tracciati psicosociali già battuti, saldando il peggiore pauperismo inerte di certa accidia parareligiosa a noti sostrati rivendicazioni stico-identitari. Perché l’evasione fiscale viene colta non nel suo verificato momento storico, ma nel suo fantasticato antecedente metastorico; non si approda al denaro studiando singole operazioni, si definiscono nemici pubblici partire da colpevoli presunti; non si distingue, ma si affascia, come nei rastrellamenti dei ghetti. Ogni abominio storico ha avuto inizio fra smorfie di irrisione. L’evasione fiscale, che nella gran parte dei casi è parziale e non totale, in Italia è il prezzo improprio che i ceti medi e autonomi hanno anarchicamente imposto non allo stato, ma all’antagonismo organizzato e protetto della pololazione dipendente, attecchita sulla fiscalità generale senza nessun reale controllo di meritevolezza e di sostenibilità. Quella popolazione che si è fatta, acriticamente, monoliticamente, la “nazione eletta e martire” degli “onesti forzosi”, tutta intera e senza eccezioni, senza mai seriamente non si dice ammettere, ma nemmeno scorrere, in quella stessa condizione, negli innumerevoli casi in cui coscienza e buon senso lo imponevano, una correlativa presenza parassitaria a carico di quegli stessi, inestricabilmente parte contribuenti e parte evasori, che il loro costo sostenevano. Presenza parassitaria appena temperata proprio da quelle ritenute “alla fonte” che, assurte ad icona di prelievi unilateralmente subiti, restituisce alla comunità almeno una frazione di quel costo ingiusto. Presenza parassitaria figlia della stessa radicata corrività che almeno ha permesso di riequilibrare i conti reali del bottegaio, tollerando il parziale nascondimento di ciò che gli fruttava la sua autonoma operosità. Che poi a rifinire la pratica sia un Grand Commis, intrinseco all’alta finanza locale ed internazionale, la quale non usa volgare denaro, né contante nè elettronico, ma subprime e altre raffinatezze similari, conclude un cerchio che in Italia ha sempre visto convergere e saldarsi la grande industria (oggi la grande finanza) e il popolo lavoratore: sempre contento di stringersi alla sua condizione servile purchè venisse sabotata l’iniziativa del vicino di casa, magari ex compagno di lavoro, che si era fatto padroncino con la macchina a quattro sportelli e la villetta (oggi la barca e la Porsche).
A fronte del congegno messo a punto, sta il numero 18, che non si riesce neanche a pronunciare: simbolo, e non solo simbolo, di una ragnatela che proprio quegli stessi segmenti economico-aziendali irretisce e intimidi-sce. Mentre non si sfiora neanche l’ipotesi di una ridefinizione strutturale della popolazione dipendente, che può seguire solo ad un massiccio trasferimento dal settore pubblico a quello privato (capace, per lo meno, di avvertire il peso della spesa) di intere aree funzionali, tuttora, viceversa, incancrenito appannaggio di certa manomorta sindacal-burocratica.
Nel perdurare di asimmetrie tanto clamorose, Monti apre e autorizza solo una miserabile e ipocrita persecuzione di massa, assai più vicina ad una pulizia etnica che ad una riforma illuminata e sapiente. Dove Riina e grande traffico d’armi stanno col sciur Brambilla o con il Davide meridionale, già aggredito dai morsi e dai taglieggiamenti di ben altri Golia, e la figura dell’evasore totale campeggia a rappresentare, con deliberata falsificazione propagandistica, quelli che invece sono, nella maggior parte, fermenti di autodifesa e di integrazione socio-economica storicamente ancora incerti e gracili. La Lega fa la pensionata, e il Tripartito Genuflesso applaude e sputa: come un ruffiano frustrato e incapace. Buon Natale e felice anno nuovo.