In un inserto della scorsa settimana, Financial Times ha pubblicato l’elenco delle cinquanta signore assise al vertice dell’economia mondiale, illustrandone biografia e capacità.
Ne viene fuori uno spaccato della realtà femminile poco conosciuto, e che piace qui riassumere e commentare. Sulla vetta della parade del potere economico in gonnella, c’è Irene Rosenfeld, americana quasi sessantenne, Ceo di Kraft Foods, impresa che, nonostante i tempi, fa tuttora shopping, acquisendo LU biscuits e la cioccolatiera Cadbury. Fin qui nulla da dire: il fatto che un’energetica femmina statunitense sia in testa nel comando aziendale di genere ci può stare. Le conferme su quanto velocemente il mondo globale stia mutando la scala dei rapporti uomo-donna, e di quelli interni al cosiddetto “sesso debole”, arrivano con i posizionamenti successivi. Seconda è la turca Guler Sabanci, cinquantaseienne presidente e amministratore delegato di Sabanci Holding, società di servizi finanziari, parte di uno dei conglomerati più imponenti del paese. Al terzo l’indiana Indra Nooyi, Ceo di PepsiCo, che ama dire di aver iniziato con cinquecento dollari e una borsa di studio per Yale. Ma non ci avevano raccontato che le donne non occidentali, specie se provenienti da ambi- ti musulmani sono represse dai maschi e costrette tra i fornelli?
I numeri della graduatoria premiano Stati Uniti e India, rispettivamente con quindici e sette presenze. Seguono Cina e Regno Unito, rispettivamente con cinque e quattro citazioni. Il gruppone include Australia, Singapore e Germania con due presenze ciascuna, e Turchia, Giappone, Svezia, Italia, Arabia Saudita, Svizzera, Nigeria, Sud Corea, Francia con una. L’onore delle italiane è salvato da Emma Marcegaglia, leader nelle acciaierie e quarantacinquenne presidente di Confindustria, ventesima. Quattro paesi, due occidentali e due asiatici, totalizzano il 62 per cento del ranking: le due potenze economiche mature, Regno Unito e Stati Uniti, e quelle sorgenti, Cina e India.
Da notare che nei primi venti posti gli Stati Uniti piazzano sette delle loro campionesse, contro tre indiane e una inglese (quindicesima). Le prime cinesi appaiono in ventunesima, ventiduesima e ventiquattresima postazione. In quanto ai settori dove si esprime tanta eccellenza, al primo inattaccabile posto ci sono banche e servizi finanziari con dieci citazioni, un quinto del totale. Seguono chimica e retail con quattro ciascuna. I servizi di supporto all’industria e i media si fanno notare in tre occasioni. Seguono altri settori, come logistica, tecnologie, agroalimentare, fashion.
Dal rapido esame si traggono alcune conclusioni. Il management e la proprietà femminile appaiono, nella nostra epoca, in linea con la potenza economica espressa dalle rispettive nazioni, con alcune eccezioni. Pesa in particolare la cultura civile e famigliare più tradizionale dell’Europa rispetto all’area Atlantico e Pacifico. I paesi latini, inclusi quelli di testa come Francia e Italia, non fanno bella figura. La francese Marie-Christine Coisne-Roquette, presidente e Ceo di Sonepar, distribuzione elettronica, è solo quarantanovesima.
In quanto all’età le statunitensi hanno tra 50 e 61 anni, con la frequenza più alta tra 55 e 56. Più giovani le europee, con una media di 48,7 anni. L’unica giapponese ha 77 anni. Nessuna giovanissima: le potenti più sbarazzine sono una cinese e una tedesca con 41 anni. Dalle foto, niente pin-up o fatalone, ma molta grazia e cura di sé. Una lezione per quelle ragazze nostrane che, in recenti vicende di cronaca politica, hanno mostrato di ritenere età e bellezza una prerogativa per vantaggi di carriera e posizionamento sociale. Curioso che a confermarle in questa illusione fosse un imprenditore. Sarà un caso che figuri solo un’italiana nelle top 50 del Financial Times?