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October 9, 2011
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Per chi suona la sveglia

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 4 mins read

 

Mesi fa, con le piazze del Medio Oriente occupate da giovani che pacificamente spargevano la “primavera araba”, l’impressione da qui era che mentre internet esercitava una spinta liberatrice su popoli costretti a vivere sotto la propaganda di regimi autoritari, nel libero Occidente tutti i “cool” accessori nati dal genio di Steve Jobs avessero l’effetto opposto: l’essere tutti “on line” come sedativo per addormentare le coscienze. Milioni di giovani americani ed europei erano tanto “connessi” quanto disimpegnati, in costante comunicazione solo per chattare sul nulla mischiato col niente. Con tutto quello che stava accadendo negli Usa cosí come in Europa, di cittadini ad occupare permanentemente le piazze proprio non se ne vedevano. Questo pensavo e cosí scrissi. Come mi sbagliavo ed é cosí piacevole ammettere l’errore.
Dal 17 settembre al Zuccotti Park, un piccolo parco di downtown Manhattan (nome in onore di John Zuccotti, presidente della societá immobiliare proprietaria del parco che per legge deve restare accessibile al pubblico) centinaia di manifestanti, giovani e meno giovani, si danno i turni per presiedere una specie di “Tahrir Square” newyorkese. Si erano dati appuntamento piú di venti giorni fa con lo slogan “Occupy Wall Street”, raccogliendo l’invito alla protesta formulato da una rivista canadese, “Adbusters”, specializzata in cause contro il consumismo e per la difesa dell’ambiente. Era molto bello il poster che annunciava per il 17 settembre (la data non é casuale, celebra la ratifica della costituzione americana) il primo appuntamento per protestare gli eccessi della finanza americana: c’era l’immagine di una ballerina che danza sulle punte sopra il celebre toro scatenato di Wall Street, quello scolpito dall’artista siciliano Arturo Di Modica.
All’inizio gli “autorevoli” media, hanno snobbato chi manifestava con lo slogan “Occupy Wall Street”. Li ritenevano degli “hippies” resuscitati, capaci solo di sostiuire “make love no war” con “make love no money”. Invece, oltre a qualche immancabile capellone figlio dei fiori, ormai a manifestare downtown accorrono cittadini di svariate fasce sociali, esclusi ovviamente quell’1% degli americani che controllano la metá della ricchezza prodotta negli Usa, e che dopo i disastri finanziari della bolla del 2008, continuano a comandare a Wall Street e, questa l’accusa principale dei manifestanti, a condizionare le scelte della politica a Washington.
Mentre i manifestanti stanno riuscendo ad allargare la protesta in molte altre cittá degli Usa, spuntano i critici che li accusano di non sapere nemmeno per cosa protestino, insomma di non avere una precisa “agenda”, un programma con punti e proposte, e che siano soltanto rumorosi e fastidiosi gruppi di emarginati, di chi non ha nulla da fare…
Invece fin dal 17 settembre, “Occupy Wall Street” si é dato un obiettivo preciso: mobilitare la coscienza pubblica della democrazia Americana contro il potere esercitato da Wall Street sui processi decisionali di Washington, per liberare il Congresso e anche la Casa Bianca di Obama dalla loro presa. Staccare cioé l’infuenza del denaro della finanza, sulle decisioni di politici eletti dalla maggioranza dei cittadini. Solo cosí si potranno poi prendere quelle decisioni, anche dolorose ma condivise, e affrontare uniti la crisi economica. Gli americani devono riappropriarsi della loro democrazia presa in ostaggio da quell’1% che rappresenta solo WS. Con questa protesta, iniziata il giorno della ratifica della Costituzione americana, forse siamo difronte all’inizio della riscossa dei cittadini di questo paese per riappropriarsi del proprio futuro.
Dopo aver ignorato per giorni le manifestazioni Downtown Manhattan, ora i politici piú “sensibili” alle pressioni dell’alta finanza, politici che non militano solo tra i repubblicani, hanno cominciato a criticare i manifestanti. Chi protesta non ha proposte, ripetono, non rendendosi conto che il “come fare” deve venire dalla politica dopo che l’oggetto della protesta é stato reso evidente: liberare Capitol Hill e la Casa Bianca dalla “tutela” di Wall Street.
Ora é scattata l’ora del contrattacco alla protesta: molti di questi stessi politici che due anni fa salutavano la nascita del “Tea Party”, quei cittadini schierati contro l’eccessiva spesa di Washington e che sostengono un ritorno ai valori della costituzione – o meglio da come da loro vengono percepiti – come un forte segnale di risveglio della democrazia Americana, ora vanno in tv e accusano chi protesta a New York di volere “lo scontro sociale”, di essere “antiamericani”, di rappresentare un pericolo per la democrazia… Ipocriti? Sí, lo sono.
Per il presidente Barack Obama é l’ultima chance per tentare di essere riconfermato alla Casa Bianca: o riesce a difendere gli interessi di chi lo ha eletto – sempre che li sappia riconoscere questi interessi – o cominci giá a pensare alla sua biblioteca presidenziale…
Dopo aver fatto arrivare la primavera araba in Medio Oriente e risvegliato alcuni paesi fondamentali all’Europa – evviva gli “indignados” in Spagna e ora anche in Italia – l’internet ha finalmente suonato la sveglia all’America, riconnettendo i propri cittadini nel restare uniti in difesa dei propri diritti. Forza Internet, hai suonato la riscossa di chi crede nella democrazia.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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