Mezzo secolo fa la Francia è ancora impelagata nella guerra d’Algeria. Il Fronte di liberazione nazionale, Fln, è particolarmente crudele con gli occupanti. Ne ammazza quanti più ne può, civili o militari poco importa. Li fa saltare in aria nei caffè del lungomare, nei giardini di città, nei salotti
degli hotel o nelle boutique alla moda. Li uccide in combattimento, in imboscate, all’uscita dei teatri nelle notti di Algeri e Orano. La madrepatria è scioccata ed esasperata. La democrazia in Francia è sotto attacco. Tre anni prima è stato richiamato dall’esilio il generale De Gaulle per creare la Quinta Repubblica e risolvere la crisi, ma la soluzione tarda. La destra nazionalista e razzista invoca di alzare il livello della repressione, specie contro gli attivisti algerini che operano in Francia. Se De Gaulle abboccasse, segnerebbe la sconfitta delle ragioni che lo hanno portato al potere; per questo esita, proseguendo nel negoziato con l’Fln. Per distoglierlo da questa strategia, l’estrema destra costruisce un clima di provocazione e insicurezza. Bande di harkis, algerini filofrancesi, confezionano assassini selezionati di attivisti dell’Fln.
Fanno affidamento sull’appoggio della polizia, incapace di neutralità nella partita tra patrioti e lealisti, e sulla collusione di servitori dello stato portatori di coperture istituzionali.
Uno di questi è il préfet de police di Parigi, Maurice Papon, collaborazionista nel regime di Pétain, che nel 1998 sarebbe stato condannato a dieci anni di galera per aver organizzato la deportazione di milleseicento ebrei di Bordeaux nei campi di sterminio. Papon, il 6 ottobre, decreta nella capitale il regime di coprifuoco selettivo che vale dalle 20 alle 5,30 e riguarda i soli “francesi musulmani originari d’Algeria”.
L’Fln bolla l’atto come “coprifuoco razzista e incostituzionale”, chiamando alla protesta e accettando lo scontro. Il 17 ottobre 1961 sarà giorno dell’eccidio. L’Fln ha convocato nella capitale gli algerini residenti o immigrati, per una grande manifestazione di piazza. Papon e la polizia decidono che è la volta buona per consumare la vendetta: solo a Parigi, tra gennaio e ottobre, ventidue agenti risultano assassinati dall’Fln. Anche se il bilancio ufficiale della giornata conterà quaranta vittime,
secondo la stampa e gli storici negli scontri ci sono duecento dimostranti uccisi e un numero incalcolabile di feriti gravi. Epicentro del carnage il centralissimo ponte Saint-Michel, dove poliziotti gettano nella Senna algerini feriti e inermi. I testimoni sono rincorsi, foto e filmati sequestrati. Il préfet dirige personalmente le operazioni, e il presidente De Gaulle risulta esserne informato. Da De Gaulle Papon riceverà la Legione d’onore e un seggio da deputato. Sarà ministro col gaullista Barre, che in morte ne tesserà le lodi.
La Francia, paladina dei diritti umani e d’asilo politico dai giorni gloriosi del 1789, non era nuova a stragi di algerini. Eccessi erano stati compiuti durante l’occupazione di Algeri del luglio 1830, per lavare l’onta subita dal console francese colpito, il 29 aprile 1827, dallo scacciamosche del bey di Algeri. A Sétif, artiglieria e aviazione erano stati impiegati contro la popolazione che manifestava per i suoi diritti, l’8 maggio 1945, subito dopo la resa delle truppe del Reich. Appare, nei fatti di cinquant’anni fa, nella connivenza dello stato con i poliziotti criminali, una continuità che spiega perché
la guerra d’indipendenza, inaugurata dall’insurrezione armata dell’1 novembre 1954, sarebbe costata circa un milione di vite.
Gli accordi di pace saranno firmati ad Evian il 18 marzo 1962, a cinque mesi dai morti di Parigi. Due giorni dopo il cessate il fuoco. Il 3 luglio l’Algeria è indipendente e Ben Bella il suo presidente.