Le cronache raccontano che il presidente Sarkozy e il premier Cameron hanno visitato insieme, lo scorso fine settimana, gli insorti libici, non facendosi mancare a Tripoli il bagno di folla dei liberatori. Così hanno sottolineato che la nuova Libia sarà sotto la loro tutela, e tentato di recidere il legame storico tra Italia e paese nord africano.
Paghiamo caro gli errori dell’avventurosa politica estera condotta con il sanguinario vicino: il baciamano cortigiano di Berlusconi al vertice arabo di Sirte, le insolenze del dittatore sul suolo di Roma con tanto di tende cavalli e amazzoni nel 2009 e 2010, soprattutto il famigerato accordo bilaterale del 2008 che strutturava una sorta di esclusiva italiana nello sviluppo della ricchezza libica e prometteva reciproci impegni militari. Per fare seriamente
politica estera ci vuole denaro, capacità di influenza politica, armi, un minimo di coerenza e disegno strategico condiviso con gli alleati: altrimenti meglio lasciar perdere.
Ancora più grave per i nostri interessi, la sentenza emessa mercoledì dal presidente Obama alle Nazioni Unite.
Citando gli interventi in corso in Libia come esempio di quanto le democrazie possano e debbano fare per un mondo migliore, l’abbronzato (definizione del primo ministro) ha citato Francia e Regno Unito, le piccole Danimarca e Norvegia, persino Egitto Tunisia e Lega Araba, evitando ogni accenno al ruolo italiano, nonostante i bombardieri che operano in territorio libico partano dalle nostre basi.
Il paese paga pesantemente il velleitarismo della Farnesina e i comportamenti di un primo ministro che si definisce tale “a tempo perso”. Gli alleati ci sfiduciano in pubblico e senza appello. Sulla Libia hanno sbagliato tutti, prima tollerando, poi sponsorizzando un regime da sempre dittatoriale e liberticida.
Francesi, britannici, statunitensi, in anni recenti hanno tramutato in quasi partner un regime che era stato definito “rogue”, in cambio dell’appoggio nella guerra contro Al Qaeda e il risarcimento delle vittime di Lockerbie.
Anche l’attuale intervento militare, pur con il sostegno Onu, si presta a critiche e mostra lati oscuri.
Ma almeno verso Gheddafi gli altri occidentali hanno evitato padrinati, smancerie pubbliche e pretese di primazia che adesso ci si ritorcono contro, confermandoci nella categoria dei “traditori”: coloro che nei conflitti cambiano schieramento a seconda delle convenienze, non avendo convincimenti.
Per come stanno le cose, rischiamo di perdere contratti e privilegi acquisiti con l’antico regime, e lesionare il rapporto con la Libia, sopravvissuto anche ai disastri della seconda guerra mondiale. Niente male come risultato di un governo fondato su un partito che si autodefinisce “popolo della libertà”, messo in angolo per i legami “speciali” con una dittatura assassina.
Nella partita di influenza sul Mediterraneo che giochiamo da sempre con Francia e Regno Unito, eravamo punto di equilibrio nello scontro tra arabi e israeliani, avevamo sottratto la Tunisia a Parigi, ci eravamo garantiti la partnership energetica di Algeria e Libia.
L’improvvisazione (se non peggio), della politica estera del governo ci ha messo in difficoltà con gli stati della sponda sud e i partner Nato. Sotto una prospettiva storica, abbiamo contribuito a portare nel mare nostrum in funzione antitaliana quegli inglesi che, memori delle guerre napoleoniche, per stimolare la nascita di una potenza mediterranea alternativa alla Francia avevano coperto con le loro navi l’aggressione di Garibaldi al Borbone.
Una strategia che si sarebbe ritrovata, durante la seconda guerra mondiale, in certe esitazioni britanniche a distruggere le forze armate fasciste nel teatro nordafricano.