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June 26, 2011
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FUORI DAL CORO/ Quel segreto francese

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
Time: 7 mins read

I resti del DC9 dell’Itavia esploso in volo il 27 giugno 1980

 In Libia le operazioni belliche –oh pardon!– umanitarie, proseguono ormai da tre mesi. E mercoledì scorso Rasmussen, Segretario Generale della Nato, lo ha formalmente comunicato, riducendo al silenzio la titubante iniziativa del Ministro Frattini, vago proponente di “corridoi” per soccorrere i civili. Niente da fare, Parigi e Londra, ancora una volta compatte sul fronte libico, si sono subito irrigidite e l’Italia ha abbozzato. Anche perché, come sempre in politica, si gioca contemporaneamente su più tavoli. Così, puntuale, è arrivato l’assenso francese alla candidatura di Draghi alla presidenza della BCE, cui ha fatto da contrappunto, però, l’irriggidimento sulla presenza di un secondo italiano, Lorenzo Bini Smaghi, nel board dell’Istituto. Così Barbara Spinelli, Repubblica e il loro spirito civico ne saranno contenti. Perché, sia chiaro, quando a Largo Fochetti si occupano di euro e di quartieri alti, che so Goldman Sachs, JP Morgan, Draghi, Padoa Schioppa, Prodi, lo fanno solo perché accorati verso le sorti del Paese; il loro status editorial-lobbistico non c’entra. Certe sovrapposizioni riguardano, com’è noto, solo altri.

Ma torniamo alla Libia. E alla Francia. Perchè, già che con Parigi siamo in vena di tiro alla fune, si potrebbe chiedere a Monsieur Le Presidènt, in cambio della nostra ritrovata vena missilistico-umanitaria, un piccolo cadeaux, una prova di buona volontà. E magari proprio con l’aiuto di cotanta intellighenzia, sia pure lacerata tra lo sgomento dolente per Strauss Khan e la compunzione internazional-legalitaria che fa da maschera alle sue interessenze pelose verso Quai D’Orsay, Quale cadeaux? Dando un occhiatina al calendario e considerando la fissa parigina per Gheddafi, ora divenuto il Cattivo Perfetto, forse, da qualche parte, in qualche archivio, si potrebbe pure frugare per onorare la memoria degli ottantuno italiani uccisi nei cieli di Ustica, il 27 giugno 1980. Domani saranno trentun’anni. Ora che l’eventuale ammissione sarebbe più comprensibile, vista la qualità di Cattivo Perfetto assunta dal Colonnello. Ammissione perché, probabilmente, il DC 9 Itavia fu erroneamente abbattuto per l’eterna ostilità tra i francesi e Gheddafi. Sebbene lo sfondo della guerra italo-francese nel Mediterraneo (chi volesse, può vedere il Fuori dal Coro del 27 Marzo), avviatasi subito dopo la fine della Seconda Guerra mondiale e, forse, giunta al suo epilogo in queste settimane di unilaterale e pasticciato furore paraeuropeista, indebolisca non poco l’ipotesi della tragica fatalità.

Eh sì, perché depistaggi o non depistaggi, le tracce radar dicono che quella sera il DC9 si era trovato in una “situazione complessa”. Poco dopo il suo decollo da Bologna, più o meno in Toscana, due aerei caccia comparvero sui radar dei centri a terra e scomparvero subito dopo. Quasi certamente nascosti sotto la fusoliera o dietro il DC9 Itavia, secondo una manovra diffusamente praticata da tutti gli aerei militari, quando non vogliono lasciare troppe tracce del loro passaggio (i radar, spazzando il cielo, non sono tanto precisi da individuare e distinguere due velivoli così ravvicinati, e li “spazzano” come uno solo). Nei paraggi ci sono anche due caccia italiani dello stormo di Grosseto e un Awacs, un sofisticato aereo radar, al tempo in dotazione solo agli Stati Uniti. E ci sono altri due caccia, che tengono una rotta parallela a quella del DC9. Che anche questi siano aerei militari lo si evince sia dalla velocità tenuta, detta, appunto, “velocità militare”, sia dalla manovra “a taglio”, cioè con una curvatura di novanta gradi, che solo un aereo militare, a quelle velocità, è in grado di fare. E sui radar dei centri militari, poco dopo le 21, si vede proprio una di queste manovre: pochi istanti dopo, una nuvola traccerà l’esplosione del DC9. I due aerei italiani, prima di rientrare alla base, nel comunicare quello che avevano visto (molto probabilmente un aereo non NATO dietro o sotto il DC9) erano stati così allarmati da evitare l’uso della radio, e avevano “scoqquato” elettronicamente il codice di emergenza (scoq è un acronimo inglese che allude ad una speciale codificazione comunicativa), compiendo, inoltre, una manovra a triangolo che, da manuale, segnala, situazioni della massima gravità (i due piloti italiani, Mario Naldini ed Ivo Nutarelli, prima di morire misteriosamente a Ramstein durante un’esibizione delle Frecce Tricolore, ai loro colleghi della base avevano detto di aver assistito ad “un vero e proprio combattimento aereo”). Dalla “nuvola” sul radar, emersero due tracce (ulteriore conferma della presenza “nascosta” di due aerei, dietro o sotto il DC9): una proseguì verso Sud, l’altra virò verso Est (venti giorni dopo, un Mig libico verrà trovato sulla Sila e il corpo del pilota, in putrefazione). Chi erano i caccia che viaggiavano paralleli al DC9, uno dei quali, avrebbe compiuto la manovra “a taglio”, come di chi punta un bersaglio, pochi istanti prima che si formasse la nuvola sui radar”? Bisogna precisare che, per individuare il DC9, era indispensabile un potente sistema di “guida caccia”, in grado di “vedere” anche da centinaia di chilometri, nonché basi a terra o su portaerei alla giusta distanza. Gli Stati Uniti avevano la Sesta Flotta, oltre alla basi sul nostro territorio. La Francia aveva la portaerei Clemenceau, a Sud della Corsica e, su quell’isola, la copertura a terra della base di Solenzara. 

La Francia, interpellata, laconicamente rispose che la Clemenceau era alla fonda di Tolone e che la base di Solenzara chiudeva alle 17. Ma il comando NATO che dirige la struttura radar dell’Alleanza ci aveva comunicato che tra Corsica e Sardegna, quella sera, c’era una portaerei; e il comandante della portaerei americana Saratoga, in rada nel Golfo di Napoli, James Flatley, testimoniò di aver notato un intensissimo traffico aereo a Sud di Napoli, proprio in coincidenza con l’esplosione del DC9. Quanto alla base, il generale dei Carabinieri Nicolò Bozzo (già vice di Dalla Chiesa nei Nuclei Antiterrorismo) aveva affermato di aver visto intensissimi movimenti, in atterraggio e in decollo, dalla base di Solenzara, trovandosi lì di fronte per vacanza; base che, dunque, era aperta e non chiusa, con tanto di “guida radar” funzionante. 

Gli Stati Uniti (brutalmente sommersi, per trent’anni, da una campagna di stampa incoercibile e saccente, come frequentemente accade a certe latitudini sottoculturali) avevano subito prestato la massima collaborazione, e sulla loro condotta complessiva non gravano menzogne del peso di quelle francesi. Anzi, si deve a due loro esperti, John Macidull, della Federal Aviation Agency e John Transue, del Pentagono, se, subito dopo la strage, fu sconfessata la reticenza della nostra Aeronautica Militare sulla presenza di altri velivoli, dimostrando che i “plotts”, cioè i punti, sui radar, non erano “falsi echi”, ma veri aerei. E poi l’amministrazione Carter aveva buoni rapporti con la Libia, la riforniva d’armi addirittura, e istituì un “Ustica Desk”, nelle ore immediatamente successive al fatto, rispondendo, suo tramite, ad un centinaio di rogatorie. Gli Stati Uniti, cioè, ci hanno fornito gli elementi per discolparsi; non dimentichiamo il loro Awacs in volo alle 21, in un’ora, cioè, in cui non c’erano esercitazioni, che costituiscono la più frequente ragione di impiego, per quel velivolo, in tempo di pace: l’aereo radar stava pattugliando una “situazione complessa”. Ma, ovviamente, non potevano spingersi fino ad accusare apertamente un altro Paese, specie se alleato, come la Francia. Questa, dal canto suo, sia con Giscard D’Estaing che con Mitterand ha sempre opposto un tetragono silenzio. Inoltre aveva più di un motivo per volere l’eliminazione di Gheddafi, il più importante “tramite” della guerra indiretta fra Italia e Francia. E la Francia sapeva che certi “buchi” della NADGE, la rete radar NATO, erano noti ai libici, che questi li utilizzavano e che, pertanto, quella sera, un’importantissima personalità libica sarebbe dovuta passare da uno di quei “buchi”, e solo da lì, per non essere scoperta; buchi, così, trasformati in vere e proprie forche caudine. Infatti, per solcare il Mediterraneo senza essere abbattuti, l’unico modo era di passare attraverso questi “buchi” della NADGE. Solo che i “leaks” (aree o passaggi) della rete, erano noti solo ai Paesi-Membri dell’Alleanza. E indovinate un po’ chi girava ai libici la preziosa mappatura? Il flusso di nostri ufficiali d’Aviazione in congedo verso la Libia, in quegli anni, era cospicuo e costante. Il Colonnello, “provvidenzialmente” avvisato da un  intelligence amica, il 27 Giugno1980, intorno alle ore 21, giunto all’altezza di Malta, potè rientrare in patria; i due Mig, che l’avrebbero dovuto scortare in Polonia (nei piani di volo custoditi anche presso la nostra Aeronautica, a quell’ora era previsto un volo VIP, da Tripoli a Varsavia), furono quasi abbattuti (uno, ripetiamo, finì sulla Sila) e l’Italia perse ottantuno inermi e innocenti cittadini.

Secondo una nota epigrafe di Horacio Verbitsky, il giornalista argentino che svelò le atrocità commesse sui desaparecidos, “Giornalismo è diffondere quello che qualcuno non vuole che si sappia, il resto è propaganda”.

Possiamo dunque dirci fiduciosi.

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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