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ANALISI/ Napolitano: politica solo se c’è cultura

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
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A sinistra, il Presidente Giorgio Napolitano con il Prof. J.H.H. Weiler durante il "fire chat" alla New York University (Foto di Riccardo Chioni)

NEW YORK. L’ultima tappa di Giorgio Napolitano a New York stava per diventare la più insidiosa. Alla New York University, dove il Presidente della Repubblica è stato premiato martedì sera con la prestigiosa Presidential Medal dall’università privata più grande degli Stati Uniti, in programma c’era anche alla School of Law l’annuale Emile Noel Lecture, tenuta quest’anno dal Capo di Stato italiano. Ma per ragionare su “The State of The (European) Union”, invece che il tradizionale discorso, era stata preferita un’altra formula, quella del “fireside chat”, la conversazione al caminetto, in cui Napolitano avrebbe risposto alle domande del Professor J.H.H. Weiler, Direttore del Jean Monnet Center della NYU. E quando il “chat” è iniziato, si è capito subito che le domande di Weiler non si sarebbero limitate allo stato dell’Unione Europea.

In circa un’ora il professore di legge ha letteralmente bombardato il Presidente italiano con domande che spaziavano dalla gioventù vissuta a Napoli durante la guerra, alla politica italiana, alla musica, alla poesia, non dando limiti agli argomenti. E quando è arrivata la domanda più attesa dal gran pubblico, introdotta dal commento di Weiler così: “Dato il difficile momento nella vita politica dell’Italia, con un premier sotto processo…”, e in cui si chiedeva come i poteri del Presidente della Repubblica potessero condizionare le mosse del governo Berlusconi, ecco che il Presidente Napolitano, che per tutta la serata ha sfoderato un ottimo inglese e anche senso dell’humor, ha messo subito le mani avanti: “Già, è vero, non è un momento facile per l’Italia e per il lavoro del Presidente della Repubblica. Ma io non farò commenti su nessuna personalità politica italiana in particolare. Parlo quindi in generale e dico che il più grande problema della politica italiana è l’iper-partigianeria che produce una guerriglia quotidiana, rende impossibile il dialogo e il confronto, con i partiti che si delegittimano a vicenda. Una situazione in cui nessuno ascolta l’altro crea un rischio di gravi divisioni e di forte indebolimento del Paese”.

Poi, invece del governo, il Presidente della Repubblica è sembrato criticare più l’opposizione quando ad un certo punto ha detto: “Il funzionamento della democrazia richiede un governo forte e stabile, ma anche una opposizione forte. Io non ci posso fare nulla se a volte l’opposizione non è abbastanza forte”.

Napolitano ha spiegato all’audience composta da un misto di studenti, italiani che vivono a New York e accademici e personalità americane e italoamericane – abbiamo notato tra i tanti, lo scrittore Gay Talese, l’ex congressman Frank Guarini, il giudice Dominic Massaro – che lui deve rimanere fuori dalle lotte politiche, e non tiene alcun contatto col suo ex partito. Dal Quirinale lui deve “sottolineare tutto ciò che unisce l’Italia, e non ciò che la divide”. “Il mio è un potere neutro che viene esercitato allo scopo di garantire la Costituzione e l’equilibrio tra i poteri”.

Napolitano, al professore della NYU che provava a provocarlo, ha spiegato cosa la costituzione italiana prevede sui decreti legge, ricordando che sono misure legislative ritenute straordinarie del governo,  che non devono subito essere approvate dal Parlamento, ma devono però essere firmate dal Presidente della Repubblica prima di entrare in vigore. “In questi casi cerco di capire se certi decreti legge si meritino questa stato di urgenza”.

Ma il Professore Weiler non ha mollato la presa, e per esempio ha ricordato a Napolitano del recente caso in cui ha fatto sapere di non essere d’accordo con la nomina di un ministro da parte di Berlusconi (Saverio Romano nominato all’Agricoltura, indagato per mafia ndr) anche se poi ha comunque fatto passare la nomina. Napolitano ha spiegato che “il Presidente del Consiglio rappresenta la maggioranza parlamentare” e ci sono pertanto casi in cui “non si può obiettare più di tanto”. Quanto alla nomina di certi ministri, Napolitano ha detto: “Al premier si può dare qualche consiglio, ma se lui insiste non si può far altro che dirgli la responsabilità è tua”.

Ma torniamo agli inizi della conversazione, partita subito con un prolungato applauso quando il Prof. Weiler ha detto, con enfasi, che per tantissimi Napolitano rappresenta “the best of Italy”. Tutto il pubblico si è alzato di scatto in piedi ad applaudire, forse pensando a chi nella politica italiana negli ultimi tempi ha sfigurato l’immagine dell’Italia all’estero.

Weiler ha iniziato chiedendo a Napolitano dei suoi ricordi giovanile durante la guerra. “Dunque, non sono fatti avvenuti esattamente ieri, ma proverò a ricordare…. Ero a Napoli, la città era in condizioni terribili per i bombardamenti. Tra il 1942 e il ’43 ricordo si trascorreva molto tempo nei rifugi, e lì era un mondo tutto diverso, dove famiglie ricche o aristocratiche si mischiavano con la gente anche più povera. La paura ci faceva diventare tutti uguali!”

Poi il ricordo dell’arrivo degli americani: “Il primo ottobre ’43 Napoli fu liberata, le truppe americane vennero accolte con entusiasmo. Ricordo bene che a Napoli, quando gli alleati bombardavano nessuno li odiava, si pensava che la colpa fosse di Mussolini. Gli americani non furono mai sentiti come degli occupanti. Durante quel caos, ci furono anche dei curiosi cambiamenti sociali. La classe media si impoverì, mentre le classi più povere, grazie al loro lavoro nel mercato nero, cominciarono a stare meglio. Quel mercato nero era gestito insieme alle forze americane…”

Napolitano viene descritto dal Prof. Weiler come tra i partecipanti alla Resistenza armata per liberare l’Italia. Ma il presidente ci tiene a chiarire subito il suo ruolo: “Alla fine del ‘42 avevo solo 17 anni, ero appena entrato all’università, studi in legge. Mi avvicinai subito ad un gruppo di studenti universitari più grandi di me, e già prima del 25 luglio del ’43, quando cadde il fascismo con l’arresto di Mussolini, noi discutevamo sulla fine del regime. Nell’autunno del ’42 fu il momento in cui realizzai che l’Italia doveva perdere la guerra per liberarsi dal fascismo. Arrivare a quella conclusione non fu facile, ma di questo discutevamo con i miei amici di allora, tra i quali c’era anche il futuro regista Francesco Rosi. Quindi prima del luglio del ‘43 ero già un antifascista convinto, ma non ho avuto alcun ruolo nella resistenza armata”.

D’altronde la situazione a Napoli è del tutto diversa che nel Nord.  Gli americani appunto la liberano già nell’ottobre del ’43. A questo punto Weiner chiede a Napolitano notizie del padre: “Mio padre apparteneva alla classe media, era un avvocato penalista di successo. Era di formazione liberale, non era fascista ma neanche un antifascista, come la maggioranza degli italiani. Aveva una libreria immensa, e lì lessi tanto. Quando poi presi una posizione politica, ci fu un contrasto. Lui era un liberale, un crociano per intenderci, io invece stavo andando verso il Partito comunista. E questi contrasti durarono per molti anni”. E sua madre? “Mia madre era una cattolica praticante, madre di quattro figli che si dedicava alla famiglia. Era di origini piemontesi, il cognome era Bobbio”.

Weiner ha chiesto sulle sue aspirazioni di diventare attore… “Mi è sempre piaciuto il teatro, ma ho solo recitato una volta, non ero un granché come attore. Mi piaceva scrivere di teatro, da giovane ho scritto delle critiche per un quotidiano”.

A questo punto il professore chiede a Napolitano quale lettura o quale persona abbia influenzato di più la sua vita. “Sicuramente un libro pubblicato in Italia nel 1947, io avevo 22 anni. È ‘Quaderni dal carcere’ di Antonio Gramsci. C’era l’unione tra l’idea e il sacrificio… e c’era anche il fondamentale legame tra la politica e la cultura, che è stato una scelta fondamentale della mia vita, cercare di far convivere politica e cultura. Personalmente penso che questo sia un problema dell’Italia di oggi, la politica sempre più distante dalla cultura”.  A queste parole del Presidente Napolitano, nella sala della NYU si è liberato un grande applauso.

Poi le domande di Weiner sono andate a toccare le problematiche dell’Unione Europea, e a Napolitano è stato chiesto se dopo la bocciatura della Costituzione e dopo la firma del trattato di Lisbona, se fosse pessimista o ottimista sul futuro dell’Ue. “Nella mia posizione non mi posso permettere di essere pessimista” ha ripetuto Napolitano, che si è dichiarato però “impaziente”, vorrebbe vedere l’Europa andare più velocemente, ma sono passati soli 60 anni “in cui abbiamo cambiato secoli di storia. Ci vuole ancora molta pazienza per andare Avanti, fossi più giovane potrei averne, ma io sull’Europa sono impaziente… Bisogna costruire una più larga partecipazione democratica dei cittadini europei alle istituzioni, e l’Europa non può rallentare, la globalizzazione del mondo non lo permette, nessuno ci aspetta, l’Europa resterebbe indietro. La leadership europea ha l’obbligo morale di dire la verità, sempre, su cosa è deciso e su cosa non lo è ancora”.  “Troppi leader europei” ha continuato Napolitano, “quasi tutti, ormai considerano l’Unione Europea il capro espiatorio da indicare per i problemi che non riescono a risolvere nel loro paese”. Andare avanti a due velocità può essere una soluzione? “Schengen e l’Euro sono due esempi di un modo di procedere previsto non per dividere i Ventisette, ma consentire ad alcuni di marciare più rapidamente”.

Quando gli è stato chiesto della Libia, Napolitano con convinzione ha difeso le scelte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e si è anche detto d’accordo con il discorso pronunciato solo la sera prima dal Presidente Barack Obama. Poi il Presidente della Repubblica italiana ha attaccato la cancelliera tedesca Angela Merkel: “Il fatto che i principali paesi membri dell’UE si siano divisi sull’intervento militare in Libia è stato un errore. Non ho capito l’astensione della Germania alla risoluzione 1973. Scelte come queste non dovrebbero essere influenzate dal fatto che si deve votare nel  proprio paese. I leader politici non dovrebbero inseguire i sondaggi, ma guidare i cittadini. Chi per paura di perdere le elezioni rinuncia a scelte come questa, non si rivela un vero leader”.

E sul problema degli immigrati e di Lampedusa: “A Lampedusa c’é la frontiera dell’Italia, ma anche quella dell’Europa. Ci vuole una politica comune dei 27 paesi dell’UE, non 27 politiche nazionali, superando la riluttanza a fare questo passo”.

Il Prof. Weiner ha chiesto a Napolitano notizie su un certo antiamericanismo europeo, e cosa succede in Italia. “Gli italiani non lo sono mai stati convinti antiamericani, a differenza di qualche nostro vicino europeo che forse ha ancora qualche complesso di superiorità…” ha detto Napolitano. “Certamente durante gli anni della Guerra Fredda, con il mondo diviso in blocchi, c’è stato dell’antiamericanismo ma durò non più di due decenni. E poi noi italiani abbiamo un altro tipo di rapporto con gli Stati Uniti, abbiamo tanto nostro sangue in America”.

Uno dei momenti più gratificanti della sua vita politica? “Alcune battaglie vinte dentro il Pci per la democratizzazione della vita politica, come sullo statuto dei lavoratori. E poi anche l’elezione di Sandro Pertini alla presidenza della Repubblica”.

Uno dei momenti più drammatici? “Sicuramente il terrorismo, il rapimento di Aldo Moro. Non si sapeva chi sarebbe potuto cadere vittima del terrorismo il giorno dopo. Momenti tra i più drammatici”.

Alla fine per il presidente della Repubblica Napolitano ecco la medaglia della New YorkUniversity. E accanto a lui, a consegnargliela con grande orgoglio e fierezza, c’era la Baronessa Mariuccia Zerilli Marimò, fondatrice e presidente della Casa Italiana della NYU.


 

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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